Concludi Ciò Che Hai Iniziato. Kathryn Lively

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Concludi Ciò Che Hai Iniziato - Kathryn Lively

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cosa stava parlando? Aveva chiuso con lo spettacolo e con tutto ciò che lo riguardava, tranne che con Gabby. Ignorò il miniregistratore che lei gli stava puntando vicino al viso. “No comment.”

      Le porte del secondo ascensore si aprirono e la folla fece uno scatto. Diverse persone occupavano già l'ascensore, ma Dash si spinse in avanti e gridò il suo piano. L’uomo più vicino alla pulsantiera, guardando con occhi spalancati la folla, passò in rassegna diversi numeri finché le porte non si chiusero.

      “Grazie”, sospirò lui e si afflosciò in un angolo. Condivideva il viaggio con un gruppo di anziani, i quali lo fissavano con vari livelli di curiosità e paura.

      Dannazione, era entrata anche la giornalista.

      “Che diavolo stava succedendo là fuori? Fai parte di una specie di boy band?” chiese un uomo che indossava un berretto da camionista con sopra un marchio di tabacco da masticare.

      “E Gabby, Dash?” chiese la giornalista. “Hai intenzione di lavorare con lei in futuro? Avete una relazione? Da quanto tempo stai con lei?”

      “Zitta.” Dash voltò le spalle al gruppo, desiderando di possedere veramente alcuni dei poteri esercitati dagli studenti immaginari di Wondermancer High. Se avesse avuto la possibilità, sarebbe diventato invisibile, oppure avrebbe trasformato quella fastidiosa giovane donna in un attaccapanni.

      “Lo sai che i suoi genitori hanno cercato di rinnovare il contratto con lei? Come si sentono a sapere che hai una relazione con la figlia?”

       Beh, non mi dire. Dovresti conoscere la risposta. Sicuramente ti hanno avvertito del fatto che siamo qui.

      “Mi scusi”, disse una delle donne più anziane. “Non ha mai detto di essere il fidanzato della ragazza. Non è giusto che lei pensi il contrario.”

      Lo sguardo di Dash esaminò il gruppo di turisti. Tutti lo guardavano, in attesa di conferma. “No comment”, mormorò lui.

      “Hai sposato Gabby Randall? Hai intenzione di sposarla oggi? Hai...”

      “Signora,” intervenne il tipo col berretto, “credo che lui voglia che si calmi con le domande.”

      “Sì”, concordò una seconda donna. Una visiera verde copriva il suo casco di capelli color argento. “Lasci stare il ragazzo. È evidentemente esausto da questo terzo grado.”

      “Ehi”, sbottò la giornalista. “Sto facendo il mio lavoro, nonna.”

      La signora non prese bene il commento. “Quello che sta facendo è assillare il pover’uomo e dovrebbe smetterla. Lei è proprio come quegli avvoltoi che hanno portato alla morte la principessa Diana. Inseguendola lungo quel tunnel per scattare delle foto. Voi cosiddetti giornalisti non avete più valori.”

      “Oh, e di chi è la colpa, in realtà?” Le voci aumentavano insieme all’atmosfera dell’ascensore. “Se persone come lei non comprassero i tabloid per le notizie che scrivo...”

      “Internet vi lascerà tutti in mezzo alla strada, vedrete.”

      Poi la diga esplose. Dash si strofinava le tempie mentre tra la giornalista e i suoi nuovi detrattori volavano urla del tipo “Come si permette!” e “Ho tutti i diritti...”. Quando arrivarono al suo piano, gli anziani l’avevano messa con le spalle al muro, permettendogli di scappare.

      Da lontano vide che la loro porta era socchiusa e gli mancò il fiato. Dopo un secondo chiamò Gabby e si lanciò a capofitto nella stanza.

      Vuota.

      Controllò il bagno, nessuna traccia di lei.

      Nella stanza non era rimasto nulla di Gabby, tranne uno scarabocchio sul taccuino dell’hotel abbandonato sul letto.

       Mi dispiace. Ti prego, perdonami.

      Lo tenne in mano per molto tempo, fissando il letto dove ore prima avevano consumato il loro matrimonio, chiedendosi adesso se avessero un’altra possibilità.

      Dietro di lui, la giornalista entrò nella stanza, riprendendo fiato. “Dash, dov'è Gabby? Dash?”

      Capitolo Due

       Dieci anni dopo

      Neanche per sogno avrebbe alloggiato al Fitzgerald. Piuttosto avrebbe dormito su Fremont Street, sotto la tettoia illuminata, prima di rimettere piede in quell’albergo. Lasciando che la gente lo calpestasse come quando vai ai buffet di gamberetti e agli spettacoli di burlesque.

      Lo disse alla giovane donna terrorizzata con la maglietta nera con su scritto Volontaria FanCon. Erano seduti in un angolo di una sala riunioni utilizzata come punto di raccolta per gli ospiti VIP. Da quando era arrivato in hotel, aveva riconosciuto più di una dozzina di volti: autori di fantascienza, disegnatori di fumetti e attori di spettacoli attualmente in onda in prima visione. Dei pochi ospiti di “ritorno al passato” che aveva visto di sfuggita, ognuno era riuscito a trovare un impiego remunerativo da quando i programmi che li avevano resi delle star avevano cessato la produzione.

      Tutti tranne lui. Nessuno voleva scritturare Grody di Wondermancer High nelle loro commedie romantiche o thriller politici. O meglio, nessuna delle produzioni di successo.

      La volontaria con la vivace coda di cavallo bionda alla Sailor Moon non incrociò il suo sguardo, ma scorreva soltanto e cliccava sul suo tablet, scuotendo la testa.

      “Mi dispiace, ma qui non ci sono più stanze alle tariffe della convention”, disse lei. Se lo aspettava, visto che i biglietti per la convention erano tutti esauriti da mesi. Era logico che tutti i partecipanti desiderassero alloggiare al Plaza, vicino all'evento. Il suo errore era stato supporre che avrebbe trovato facilmente una stanza a Las Vegas dopo aver accettato all’ultimo minuto di presenziare a una reunion di Wondermancer High.

      Immaginava che se avesse cercato fuori dalla Strip e da altre zone turistiche avrebbe trovato qualcosa, ma a che scopo? Sarebbe anche potuto tornare a casa a quel punto.

      “Il Fitzgerald è carino, davvero”, insistette lei. “Ci sono già stata prima e...”

      “Non c'è niente al Golden Nugget? Al Four Queens?” la interruppe lui. Andiamo, la gente prendeva questa città come un tornello, andava e veniva in continuazione. Doveva esserci una camera per lui da qualche parte.

      No. Kait, così si leggeva sul suo tesserino della convention, gli rivolse un mite sorriso a mo’ di scusa. “C'è molto da fare questo fine settimana. Ma che dico, c’è qualcosa a Las Vegas ogni fine settimana.” La risata stupida che gli rivolse non riuscì ad alleggerire l’atmosfera. “Comunque,” proseguì lei, continuando a controllare il tablet, “se vuole posso chiamare gli hotel sulla Strip e vedere...”

      “Sa cosa posso fare? Parteciperò alla reunion, poi tornerò all'aeroporto.” Si prese mentalmente a calci per non aver contattato prima nessuno degli ospiti che conosceva per scroccare un posto sul divano o sul tappeto, ma erano passati troppi anni da quando si era messo in contatto con i suoi ex colleghi. Si sentiva a disagio a chiederlo.

      Avrebbe cercato di prendere un volo precedente per tornare a casa e mettersi a suo agio su una panchina imbottita al gate, se necessario. Meno tempo da trascorrere in

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