Il Castello Della Bestia. Aurora Russell

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Il Castello Della Bestia - Aurora Russell

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mio curriculum e un elenco di referenze...»

      «Non ce n’è bisogno» la interruppe Monsieur Reynard, facendo un gesto con la mano come per scacciare le sue parole. «Ho visto abbastanza. Il lavoro è suo.»

      La bocca di Veronica si spalancò. «Io, uh ... ci siamo appena conosciuti.»

      Lui sollevò le sopracciglia scure. «È vero.»

      Lei scosse la testa. Perché era così turbata? Santo cielo, di solito era più spigliata di così! «Voglio dire, non mi ha fatto il colloquio. Non vuole sapere... di più?»

      L’uomo si strinse nelle spalle e inclinò la testa di lato. «Mademoiselle, sono conosciuto per essere un ottimo giudice del carattere delle persone, con pochissime eccezioni. È ciò che mi ha reso un uomo di successo. Jean-Philippe ha bisogno di qualcuno che sia bravo con i bambini, esperto e parli francese. Da quello che ho potuto sentire, lei possiede questi requisiti.»

      Veronica avvertì un caldo rossore salirle dal collo, dritto alle guance e poi fino all’attaccatura dei capelli. Per qualche ragione l’idea di non conoscere nulla di quell’uomo, con la sua soverchiante personalità, la rendeva oltremodo agitata. «Stava ascoltando?» chiese con un tono di voce che, si congratulò con se stessa, apparve quasi normale.

      Lui si strinse nelle spalle in uno stile meravigliosamente mediterraneo. «Non di proposito, ma la porta era socchiusa e le voci sono arrivate al corridoio.»

      Ripensando alla sua conversazione con Jean-Philippe, Veronica non riuscì a capire cosa avesse potuto dire, per giustificare quella immediata accettazione. «E ho detto abbastanza per darle questa sicurezza?»

      Se aveva pensato di aver superato lo shock iniziale riguardo alla bellezza di lui, come qualcuno che dopo essere saltato nell’acqua fredda inizia ad acclimatarsi, aveva torto. Quando rivolse su di lei tutta la forza dei suoi occhi scuri e profondi e alzò gli angoli della bocca in quello che avrebbe potuto essere l’inizio di un sorriso, lei dovette quasi riprendere fiato. Sentì la pelle d’oca sollevarsi di nuovo sulle braccia.

      «Ha superato il controllo delle referenze a pieni voti e deve essere consapevole che il suo accento è perfetto. Ma, soprattutto, non ha perso un colpo, quando mio figlio ha insultato il suo ehm... ensemble.» Indicò con tatto il vestito e lei aprì la bocca per l’indignazione, solo per richiuderla di scatto alle parole che lui pronunciò di seguito. «Credo davvero che lei sia una giovane donna di buon senso, pazienza e gentilezza. Queste sono le qualità che apprezzo più di tutte le altre.»

      Le sue lodi la riscaldarono, ed erano così vicine a descrivere il tipo di persona che lei sperava di essere, che Veronica sentì come se un altro pezzo si fosse incastrato in quella connessione che stava iniziando a sentire con lui.

      «Grazie. In tal caso, accetto il lavoro.» Lui non ricambiò il suo sorriso, ma a lei sembrò che suoi occhi si fossero leggermente increspati agli angoli.

      «Chiederò a Monsieur Hormet di portarle i documenti. Vieni, Jean-Philippe» disse lui, voltandosi e dirigendosi verso la porta con passi lenti e misurati, con un’andatura che lei sospettò dissimulasse un dolore molto ben nascosto. Jean-Philippe lo superò per correre fuori dalla porta prima di suo padre.

      Tutto considerato, Veronica fu davvero soddisfatta e sollevata di aver evitato lo stress di un vero e proprio colloquio, poi udì le ultime parole di Monsieur Reynard prima che lasciasse la stanza.

      «Che sollievo incontrare una giovane donna che non si preoccupa troppo del proprio abbigliamento.»

      Capitolo Due

      Mentre consegnava a Veronica un fascio di carte da esaminare, Monsieur Hormet passò in rassegna qualche dettaglio, alcuni dei quali lei già conosceva e altri che le erano nuovi. Riassumendo brevemente, le disse che era desiderio del suo nuovo datore di lavoro che Jean-Philippe parlasse inglese per la maggior parte del tempo, ma che voleva anche che suo figlio si sentisse a suo agio a parlare francese con la sua ragazza alla pari se il bimbo lo avesse desiderato. A quanto sembrava, Jean-Philippe aveva avuto una tata che era andata in pensione solo di recente, subito dopo “l’incidente”. Monsieur Hormet lo disse in tono sommesso, quasi come se desiderasse non doverne parlare affatto. Da allora, una delle cameriere, Yvette, aveva fatto un lavoro extra, occupandosi anche di Jean-Philippe, e per questo motivo Veronica avrebbe dovuto iniziare immediatamente, se per lei fosse stato accettabile. Un po’ frastornata da quel vero e proprio diluvio di informazioni, soprattutto dopo tanta segretezza, Veronica annuì. Dopotutto, non aveva nessun altro posto dove stare.

      Dopo aver letto e firmato i numerosi documenti, compresi i dettagliati accordi di non divulgazione e riservatezza, che sembravano addirittura eccessivi anche per un milionario, o miliardario, o qualunque cosa fosse Monsieur Reynard, Monsieur Hormet la condusse in quella che sarebbe diventata la sua stanza. Era al secondo piano, sul lato rivolto verso l’oceano, e la vista era davvero mozzafiato. Anche la stanza stessa era incantevole, decorata con mobili antichi come l’enorme letto di mogano, completo di un copriletto di raso blu scuro. La cassettiera e il guardaroba sembravano appartenere a un museo, ma in qualche modo molto amati. Tutto era pulito e ben tenuto, nei colori blu, crema e oro. Veronica ripensò alla sua camera nell’appartamento di Boston e fece una smorfia, al confronto. Aveva sicuramente lasciato almeno un paio di abiti scartati buttati sul copriletto floreale, che non si abbinava per niente al resto dei colori della stanza, ma che lei adorava lo stesso.

      Prima che potesse avere il tempo di darsi la “rinfrescata”, che Monsieur Hormet aveva previsto che facesse, sentì una porta aprirsi su cardini ben oliati, e una sfera di energia dai capelli dorati corse nella stanza.

      «Mademoiselle Carson, rimani! Sono così emozionato! Quando andrai in città?»

      Veronica sorrise al mix entusiasta di francese e inglese. «Per favore, chiamami Veronica, visto che ho intenzione di chiamarti Jean-Philippe» iniziò. Le ci volle un altro secondo, accidenti, si stava arrugginendo, per rendersi conto del motivo per cui le aveva rivolto quella domanda. «E vuoi sapere quando ti porterò un regalo?»

      Jean-Philippe annuì, sorridendo ampiamente e mostrando una fila di denti da latte bianchi e uniformi.

      Veronica gli tese le mani. «Non so esattamente quando, ma penso che sarà presto, dato che devo comprare alcune cose. Nel frattempo, che ne dici se ci conoscessimo un po’? Puoi dirmi quali sono le tue attività preferite. Sai, molte delle cose che faremo, potrebbero essere una sorpresa divertente.»

      Il ragazzino annuì, chiaramente interessato, e si avvicinò.

      «Mi piace andare alla spiaggia. Papà dice che non posso andare da solo, ma a volte, quando mi promette che mi porterà, deve lavorare. Ti piacciono le conchiglie?»

      Sorridendo, Veronica ripensò ai giorni felici che aveva trascorso sulla spiaggia con i suoi fratelli minori, costruendo castelli di sabbia e decorandoli con finestre e porte fatte con le conchiglie. «Assolutamente. Le conchiglie sono meravigliose. Sapevi che un tempo erano la casa di alcune creature marine?»

      Jean-Philippe sembrava affascinato. «Sono come degli scheletri?»

      Veronica ci pensò su. «Beh, a volte suppongo che lo siano. Come gli esoscheletri di alcune creature, cioè scheletri che gli animali indossano all’esterno invece che all’interno. Ma altre creature escono dai loro gusci, quando trovano una nuova casa, come i paguri, per esempio: man mano che crescono, lasciano il loro vecchio guscio, perché diventa troppo piccolo.» Imitò il movimento di un granchio facendo strisciare le dita sul copriletto, con un leggero fruscìo sul raso. «Poi vanno,

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