Il Castello Della Bestia. Aurora Russell

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Il Castello Della Bestia - Aurora Russell

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via nave, mattone dopo mattone, dal nord della Francia come grande gesto romantico in onore della moglie americana. Era sempre stato un posto speciale e idilliaco per Alain e suo fratello, Marius, quando vi si erano recati durante alcune delle loro vacanze estive da bambini. Dopo la morte dei suoi genitori, anche Alain l’aveva condiviso con sua moglie Joëlle, quando si erano appena sposati. Una volta aveva pensato che potesse diventare anche il loro posto speciale, ma naturalmente alla fine si era sbagliato, come si era sbagliato su tante cose legate a Joëlle. Non ci avevano mai portato Jean-Philippe in vacanza. Alain non aveva mai avuto tempo per lunghe vacanze. O, per meglio dire, non aveva mai fatto in tempo. Ma ora, trovare tempo per suo figlio, considerando i suoi desideri e le sue necessità, era la cosa più importante per lui.

      A volte, nelle ultime due settimane, da quando erano arrivati, aveva avuto l’impressione di avvertire la presenza degli spiriti di coloro che non c’erano più. Una suggestione, ma aveva immaginato di aver sentito il profumo di sua madre o dei fiori che lui e suo fratello raccoglievano per lei ai margini della foresta vicina.

      Avrebbe potuto giurare di aver sentito anche la risata argentina di sua moglie. Era stato attratto da tante cose di Joëlle, quando si erano conosciuti, ma la sua risata, il modo in cui il suo bel viso si illuminava di felicità, era qualcosa che non avrebbe mai dimenticato. Poi l’aveva persa, ma la sua risata era qualcosa che aveva sentito spesso quando erano andati lì, insieme. Quel castello sembrava quasi infestato, non dalla malinconia ma da ricordi che ora erano ugualmente tristi. Sperò che Jean-Philippe e la sua nuova ragazza alla pari potessero scacciare quei ricordi, sostituendoli con altri nuovi... migliori.

      Si scosse di dosso quei pensieri malinconici: da quando era diventato così sdolcinato? Alain si diresse nel suo ufficio. I suoi passi erano ancora dolorosi, specialmente se aveva camminato molto durante il giorno, ma ormai, il più delle volte, riusciva a nascondere le smorfie e la rigidità, se si muoveva molto lentamente. Volutamente. Quel giorno, però, aveva decisamente camminato troppo e avrebbe dovuto sollevare la gamba, quando si fosse seduto. Poco prima di entrare nel suo ufficio, con l’intenzione di fare un’ultima chiamata in videoconferenza con un importante cliente parigino, prima che fosse troppo tardi in Europa, non poté fare a meno di sorridere, e la sensazione di usare quei muscoli facciali gli risultò insolita.

      Non gli era sfuggito il modo in cui gli occhi di Veronica avevano lampeggiato e il suo petto si era gonfiato per l’indignazione, quando le aveva suggerito di non essere troppo frugale nelle sue scelte, anche se lei aveva cercato di nasconderlo. Poteva magari essere modesta, ma sotto sotto c’era anche del fuoco... Sperò sinceramente che si divertisse a fare shopping in città e, incuriosito suo malgrado, si chiese cosa avrebbe preso per Jean-Philippe. Sentì una strana accelerazione nel suo polso ricordando le sue curve generose, a quanto sarebbe stata morbida se l’avesse toccata, baciata, tenuta contro il suo corpo. Poi si tolse ogni pensiero di lei dalla testa e si concentrò sugli affari.

      Capitolo Tre

      Grant’s Cliff si trovava a solo a un paio di miglia al massimo dal castello e la città era sorprendentemente grande, ma molti dei caffè e dei negozi di souvenir lungo la strada principale del centro erano ancora chiusi per la stagione. Contrariamente a quanto aveva detto il controllore, sembrava dopotutto una meta turistica, anche se piccola. Veronica era stata a Camden, una volta, in una gita estiva di tanto tempo prima, e in diverse città del Maine meridionale, ma Grant’s Cliff sembrava più... autentica, in qualche modo, come se fosse un luogo destinato agli abitanti del posto quanto ai turisti. Dato che un altro nome del Maine era “Vacationland” – diamine, lo avevano scritto anche sulle targhe automobilistiche – pensò che forse quell’aspetto fosse insolito per una città costiera. C’erano diverse boutique tra cui scegliere, ma era preoccupata che non fossero proprio il suo stile e che i vestiti in vendita non fossero del tutto appropriati per correre dietro tutto il giorno dietro a un bambino di quattro anni. Con sollievo, individuò un minuscolo centro commerciale proprio ai margini del centro della città: era la versione più piccola di un grande magazzino che avesse mai visto. Tuttavia, riconobbe il nome e immaginò che avrebbe trovato tutto il necessario.

      Monsieur Hormet, dopo averla aiutata a scendere dall’auto, la seguì all’interno e lei si sentì quasi come una celebrità con il suo piccolo entourage. Tutti, beh, tutti e cinque gli altri clienti, si girarono a guardarla, e lei arrossì, prima di dirigersi verso la sezione dei vestiti da donna. All’inizio fu parsimoniosa in quello che sceglieva, ma poi, ricordando le istruzioni di Monsieur Reynard di non essere troppo tradizionalista, aggiunse, alla sua pila di abiti, diversi top e maglioni fatti a maglia e pratici pantaloni. Quando arrivò a calze, biancheria intima e camicie da notte, Monsieur Hormet si schiarì la gola e guardò di proposito altrove, cosa che la fece sorridere. Avrebbe anche potuto giurare che un leggero rossore colorasse le guance consumate dal tempo di quel brav’uomo.

      Portò tutto quello che aveva scelto nel camerino, con l’aiuto di una commessa che doveva avere diciassette anni, e cominciò a provare il primo vestito. Mentre si infilava i jeans foderati di pile e il maglione, si rese conto di non essere sola.

      “...pericoloso lassù. Non lascerò che Caitlin e Connor vadano a giocare lì, visto che la bestia è tornata.”

      Non riuscì a distinguere ogni parola della conversazione sommessa delle donne, ma le sue orecchie praticamente bruciarono, sentendo qualcun altro menzionare la bestia. Che diamine?

      “...non sicuro ... dovrebbe essere illegale ... quel ragazzino.” La voce dell’altra donna era ancora più bassa, ma le sue parole più urgenti.

      Quando Veronica sentì le porte del camerino accanto al suo aprirsi, si affrettò a finire di infilarsi il maglione, ma era troppo tardi per vedere qualcosa di più delle spalle di due donne che camminavano lungo lo stretto corridoio centrale del reparto femminile. Cosa avevano voluto dire? Da come ne parlavano, sembrava più che si stessero riferendo a una persona piuttosto che a un animale, ma chi chiamerebbe una persona “bestia”? E perché? Lei e Jean-Philippe sarebbero stati al sicuro durante le escursioni giornaliere che lei stava già pianificando mentalmente per loro due?

      La commessa adolescente la stava aspettando, e l’entusiasmo genuino della ragazza per le sue scelte le fece presto dimenticare la strana conversazione. Finì per comprare un completo nuovo per ogni giorno della settimana – dimostrando che poteva essere non poi così pratica – insieme a un sufficiente assortimento di biancheria intima. Si sentì un po’ in colpa per aver comprato un paio di scarponi da trekking impermeabili super comodi, perché in realtà non possedeva quel tipo di scarpe da quando era bambina. Inoltre, era ragionevolmente certa che Monsieur Reynard sarebbe rimasto sconvolto da chiunque possedesse qualcosa di così pratico. Infatti, cercò di pagare lei stessa gli stivaletti, ma era già stato messo tutto insieme sul conto. Decise che avrebbe ripagato Monsieur Reynard e spiegato l’errore, dato che avrebbe comunque dovuto comprare qualcosa come quelle calzature per il nuovo lavoro. All’ultimo minuto, aggiunse anche un abito, dal momento che non era davvero sicura di cos’altro avrebbe comportato il suo lavoro. Non riusciva ancora a capire quale fosse lo stile di vita al castello e voleva essere preparata e, se possibile, evitare di indossare di nuovo il suo abito da colloquio.

      Sorrise tra sé e sé mentre se ne andavano, finché non si rese conto che tutti la stavano di nuovo fissando. La studiavano, a dire il vero. Rivolse un vago sorriso al negozio in generale e pensò che non dovevano esserci molti visitatori in quel periodo dell’anno. Tuttavia, era stato strano.

      Dopo aver messo le borse in macchina, fermò Monsieur Hormet prima che rientrassero. «C’è un negozio di caramelle o di giocattoli?»

      Lo scintillio nei suoi occhi le disse che sapeva perché lo stava chiedendo. «Ce ne sono diversi, ma la maggior parte sono ancora chiusi per la stagione. Lì c’è un bel negozietto di souvenir che vende cose buffe e dolcetti.» Le indicò l’isolato successivo, ma quando fece per seguirla,

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