Gli Isopodi Del Tempo. Angel Martinez

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Gli Isopodi Del Tempo - Angel Martinez

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risucchiò il lottatore acquatico, rimosse il tubo e cacciò una palla di gomma nell’apertura, intrappolando a tutti gli effetti l’acqua animata e lasciando Greg ad ansimare sul pavimento. La tenente Dunfee era appena emersa dal suo ufficio, le sopracciglia alzate.

      «Voglio saperlo?»

      Appollaiato sul telaio della porta della tenente, un mucchietto di penne blu acceso e rosa fluorescente batté le ali ed emise una gracchiante risata roca. Edgar, lo sboccato corvo della stazione, decise infine di metterci del suo. «Giochi d’acqua!» gridò. «Non adatti al lavoro! Dilettanti del cazzo!»

      La tenente Dunfee gli lanciò uno sguardo letale. «Basta con l’editoriale, Edgar. Che cavolo sta succedendo qua fuori?»

      «Sotto controllo, signora», disse Amanda impassibile. «Ma sto compilando una richiesta di rimborso per uno Shop-Vac. Per sua informazione».

      «Mettila sulla mia scrivania. La firmerò. Vediamo cosa pensano di quella i contafagioli». La tenente inchiodò Greg con uno sguardo duro. «Santos? Hai bisogno di assistenza medica?»

      Greg si rimise in piedi in fretta, passandosi il dorso di una mano sul labbro spaccato. «No, signora».

      «Buono a sapersi. Tornate al lavoro, signore e signori. Cercate di mantenere al minimo gli alterchi violenti oggi».

      Un Greg Santos piuttosto seccato e umido si diresse al bagno degli uomini per ripulirsi mentre Shira continuava a badare alla pozza combattiva.

      «Solo un altro giorno come tanti», mormorò Vikash mentre infine si sedeva al suo posto alla scrivania che condivideva con Kyle.

      «Uhm?» Kyle alzò lo sguardo da quello che stava scrivendo. «Oh. Già. Anche se sono grato per ogni giorno privo di esplosioni e morte imminente. O stai avendo di nuovo una crisi esistenziale paranormale?»

      «Una divertita».

      «Beh, accidenti. Se fosse stata dell’altro tipo avrei potuto prendere una cena da asporto da My Thai, accendere qualche candela e mettere su La storia fantastica una volta arrivati a casa».

      «Kyle. Lavoro». Vikash lo disse gentilmente, ma dovette faticare per impedire al suo sguardo di saettare in giro per vedere se qualcuno avesse sentito.

      «Non sto mica urlando», sibilò Kyle. «Buon Dio, Kash. La paranoia sta iniziando a fare un po’ la muffa».

      «Il lavoro è lavoro e casa è casa».

      «Sì, sì, e mai i due dovranno incontrarsi. Non è che ti stia mettendo all’angolo per una sveltina nella sala riunioni. O dandoti baci in bocca in bagno».

      «Sviluppo interessante».

      «Cosa?»

      «L’aumento di allitterazioni quando sei agitato».

      «Io non sono agitato. Solo un po’ irritato perché continui a saltare e contorcerti se mi avvicino troppo in qualunque posto al di fuori dei nostri appartamenti. Siamo entrambi del professionisti al lavoro. Non insisto che ci teniamo per mano le rare volte che andiamo a cena fuori. Mi urta che continui a sembrare, non so, imbarazzato da noi».

      «Hai promesso di mantenerti professionale al lavoro».

      «Calma, Soren». Carrington gli batté sulla spalla mentre gli passava accanto. «Proporre una cena da asporto non ha niente di poco professionale».

      «Hai sentito?» Il cuore di Vikash gli martellò contro lo sterno. Tutta la stazione lo sa. Tutti lo vedono.

      «Orecchie da vampiro, mio caro. Cosa c’è che non sento? Sul serio, però. Rilassati. Nessuno ha il tempo di interessarsi alla vostra piccola tresca illecita».

      Vikash avrebbe potuto accettare il consiglio se Virago non avesse tuonato dall’altra parte della stanza: «Ehi! Di che state sussurrando voi ragazze? Andate a qualche bar con arcobaleni e lustrini?»

      «Solo se vieni anche tu!» Kyle fece versi da bacio in direzione di Virago. «Non dimenticare la borsetta!»

      «Piantala, Vance», mormorò Amanda mentre passava accanto a Virago e gli dava uno scappellotto sulla nuca. «La tua quip… equicazz.. qual è quella parola, Carr?»

      «Equiparazione», disse di rimando Carrington senza la minima esitazione.

      «Già, quella parola… di uomini gay e vere ragazze è offensiva».

      «Scusa, Manda».

      Di norma, Vance Virago, autoproclamato duro, che si faceva piccolo mentre si scusava sarebbe stato divertente. Vance non poteva averli sentiti dall’altra parte della stanza. Stava solo bullizzando Kyle come faceva sempre. Ma il tempismo era stato orribile e, tra quelle parole omofobiche e i sussulti di Vikash, era riuscito a cancellare la tranquilla contentezza dal volto di Kyle. Lo addolorava il fatto che Vance potesse riuscirci. Peggio ancora, Vikash non aveva idea di cosa fare a riguardo.

      «Kyle…»

      Non ebbe la possibilità di dare neppure una minima spiegazione o scusa però, dato che un’allerta inviata dalla tenente comparve sullo schermo, ordinando loro di andare a indagare su un disturbo della quiete a Fairmount Park.

      Vance si spinse via con violenza dalla propria scrivania. «Oh, amico!»

      E il nostro omofobo locale è il nostro rinforzo. L’irritazione si arrampicò lungo la schiena di Vikash. Kyle non aveva mai fatto nulla a Vance tranne rifiutarsi di piegarsi al suo bullismo. Alcuni giorni era a un punto tale che Vikash avrebbe voluto compilare una denuncia di molestie sul lavoro per conto di Kyle, anche se a lui avrebbe dato fastidio l’intromissione. Era comunque sbagliato e… Oh, cavolo.

      Nella collera crescente, Vikash sentì la fastidiosa sfera riscaldata di potere al centro di lui che annunciava la manifestazione del suo strano talento. Quasi andò nel panico: l’istinto di allungare la mano sopra la scrivania e afferrare Kyle era possente. Assieme, avevano una possibilità di direzionare il fulmine di collera in qualche punto dove sarebbe stato innocuo. Magari verso il vecchio tritadocumenti che si inceppava dopo ogni pagina. Ma toccare Kyle significava anche che il potere si sarebbe amplificato in una bizzarra fusione dei loro talenti paranormali difettosi. Per non menzionare il fatto che toccare Kyle nella sala degli agenti non faceva che dare ulteriori munizioni a Vance.

      Poi fu troppo tardi per le scelte. Il potere eruppe da lui mentre stava seduto immobile, lottando per tenere qualunque reazione fuori dalla sua espressione. Uno schiocco e un distinto sfrigolio elettronico risuonarono alla sua sinistra facendolo rimpicciolire.

      «Vaffanculo!» urlò Vance, schiaffeggiando il monitor fumante del suo computer.

      Jeff si alzò per aiutarlo a soffocare le piccole fiamme con un asciugamano. «Maledizione, Vance. Che hai fatto stavolta?»

      «Non sono stato io! Giuro!»

      «La tenente non ti permetterà più di avere un computer se continui a romperli».

      Vikash si girò all’indietro e trovò Kyle che fissava lui anziché guardare la confusione, le labbra serrate assieme in una linea collerica.

      «Non mi serve che tu mi protegga, Kash».

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