Gli Isopodi Del Tempo. Angel Martinez

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Gli Isopodi Del Tempo - Angel Martinez

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sbuffò dal naso. «Certo».

      Trattenendo un sospiro, Vikash prese il cappello e seguì Kyle alla loro auto di pattuglia, bianca con la banda azzurra come tutte le autopattuglie della polizia della città di Philadelphia. La loro stazione però aveva anche il distintivo nero e oro del 77° sopra la striscia blu, a marchiarli permanentemente come qualcosa di diverso.

      Per una volta, Vikash avrebbe voluto che il viaggio verso la scena fosse più lungo. Non per la prima volta, avrebbe desiderato essere agile sui suoi piedi verbali. «Kyle…»

      «Mettilo in un posto sicuro per me, Kash». Kyle allungò una mano per dargli una pacca sul ginocchio. «Tieni stretto qualunque cosa stia filtrando e cuocendo là dentro. Al momento, abbiamo due frasi di cui dobbiamo preoccuparci. Disturbo e attaccato da una palla di rametti. Non perdiamo la concentrazione quando non sappiamo in cosa cazzo ci stiamo cacciando».

      «Come sempre».

      «Già. Amo le sorprese».

      «Le odi».

      «Shh. Sto tentando un po’ di autoconvincimento qui. Non rovinarmelo».

      Eccolo di nuovo. Nonostante tutti i suoi dubbi e il senso di colpa, Kyle aveva contorto la gruccia delle sue parole, si era insinuato dentro e aveva pescato un sorriso da Vikash. A volte, come in quel momento, un pochino di irritazione arrivava col sorriso, per il fatto che Kyle riuscisse a fargli perdere anche quella briciola di controllo. Ma comunque gli avvolgeva uno strato di calore attorno al cuore malandato. Kyle era come una coperta appena uscita dall’asciugatrice in una mattina invernale. L’immagine alquanto sdolcinata lo fece ridacchiare.

      «Che c’è?»

      «Niente. Coperte. E asciugatrici».

      «Certi giorni sei davvero tanto strano». Kyle fece un cenno della testa vero il loro computer di bordo. «Ti prego, dimmi che abbiamo un aggiornamento sull’ultima posizione. Dire a Fairmount Park è utile quanto dire da qualche parte tra qui e Lancaster».

      «Mount Pleasant».

      «Grazie, dio dei punti di riferimento specifici».

      Vikash girò la testa mentre un segnale stradale sfrecciava loro accanto. «Il GPS dice di prendere Kelly Drive».

      «Il GPS del cavolo può andare a fare in culo in silenzio in un angolo. Ho vissuto qui per tutta la vita, Kash. La Reservoir ci farà arrivare più in fretta».

      «Il GPS non è davvero progettato per quello».

      Kyle gli rivolse uno di quegli splendidi sorrisi storti che Vikash adorava così tanto. «Probabilmente no. Ma potrebbe divertirsi parecchio provandoci».

      Erano caduti dieci centimetri di neve la notte prima, ricoprendo i marroni e i verdi del parco di uno strato uniforme di bianco, addolcendo le linee aggressive dei piedistalli delle statue, nascondendo le imperfezioni che il disgelo di primavera avrebbe svelato come una spogliarellista impudica. Un forte sole invernale traeva scintille dorate dai capelli rossi di Kyle. Kyle Monroe, col suo naso rotto una volta e le mani con le cicatrici da ustione, che non avrebbe potuto essere più bello per Vikash neanche se degli angeli gli avessero brunito la pelle.

       Sono innamorato di lui. Sono innamorato del mio compagno e non posso dirglielo. Non oso dirglielo.

      Per Kyle, stare con un uomo non era un gran problema. Niente, per quel che riguardava le relazioni, sembrava esserlo per lui. Per quanto riusciva a dire Vikash, Kyle non aveva mai avuto un ragazzo serio di lunga durata, mentre Vikash? Lui aveva sempre lottato: per spiegare alla sua famiglia di essere bi, per rispiegare costantemente la stessa cosa a qualunque metà avesse mai avuto, per nascondere chi era al lavoro con meticolosa attenzione. Era già brutto abbastanza essere un poliziotto gay, ma un poliziotto bisessuale dichiarato? Sarebbe stato come gettare un unicorno di cioccolata in una stanza piena di scoiattoli affamati. Dilaniato un pezzetto alla volta finché non fossero rimaste altro che briciole.

      Ogni volta le sue riserve, la sua ansia ben nascosta, la sua incapacità di scegliere da che parte stare, come aveva detto la sua ultima ragazza, avevano fatto affondare le sue relazioni. L’avevano visto come una mancanza di impegno, come se la sua bisessualità fosse una strada diretta per l’infedeltà e la promiscuità. Kyle non gli stava chiedendo di cambiare. Kyle almeno diceva di capire, ma l’agitazione era iniziata, l’irritazione per il fatto di non poter semplicemente essere aperto ed esposto al pubblico, di dover continuare a tenere casa e lavoro in contenitori chiusi ermeticamente. Non ci sarebbe voluto molto ormai prima che Kyle arrivasse al limite.

      Vikash aveva insistito perché ognuno tenesse il proprio appartamento. Aveva insistito perché andassero al lavoro separatamente. Era lui quello che si scostava quando Kyle cercava di prendergli la mano al tavolo di un ristorante. Autosabotaggio? Probabilmente. Era bravo a farlo. Anche se stavolta era una scelta che non voleva fare tra la relazione e la carriera, e più evitava di affrontare quella scelta più si garantiva un fallimento spettacolare e incasinato della relazione.

      Quando Kyle svoltò sulla solitamente pacifica Mount Pleasant Drive tra due file di alberi, non potevano esserci dubbi che stessero andando nella direzione giusta. Piccoli gruppi di gente urlante correvano oltre la loro auto di pattuglia, e un uomo per poco non corse dritto contro il paraurti di Vance dietro di loro.

      In assenza di turisti e visitatori del parco, la rotonda davanti alla villa vera e propria era di una calma mortale. La casa principale in bianco con bordature di mattoni rossi con la sua dependance in tinta era rannicchiata in un mucchietto solitario contro la neve, eleganti pasticcini da tè persi in un’esplosione di glassa bianca. La scena ingannevolmente pacifica fece risalire un brivido lungo la schiena di Vikash. A meno che la folla in fuga avesse raggiunto tutta assieme la stessa dolorosa epifania sull’insignificanza dell’esistenza e fosse corsa via urlando in preda a un panico esistenziale di massa, qualcosa era in agguato nelle vicinanze.

      Vikash esaminò il terreno mentre scendeva dalla macchina, non volendo ancora fare una mossa in nessuna direzione.

      «È tranquillo. Troppo tranquillo», mormorò Kyle ripetendo il vecchio cliché dei film, e Vikash dovette soffocare una risatina nervosa.

      «Siamo a circa il cinquanta per cento di umidità». Jeff Gatling girò attorno all’auto verso il lato di Vikash. «Vance? Scintille?»

      Per fortuna, Vance era concentrato sulla caccia e non stava tormentando Kyle. Alzò una mano, le dita puntate al cielo. Del fumo si arricciò verso l’alto, poi uno sbuffo scuro eruppe prima che delle fiamme gli danzassero sulle punte delle dita. «Oh, sì. Abbiamo scintille. Fatti avanti».

      «Contenere se possibile», lo ammonì a bassa voce Jeff. «Incenerire come ultima risorsa. Capito, Vance?»

      Il suo compagno borbottò, ma si unì a loro mentre recuperavano tutti reti e borse dalle auto di pattuglia. Vikash colse un movimento con la vista periferica. Si voltò lentamente e notò un rapido lampo di qualcosa che svaniva dietro la dependance sulla sinistra.

      «Là». Indicò, muovendosi lentamente ma con decisione attraverso la neve.

      «L’hai visto, Kash? Quant’è grosso?» Kyle si spostò di qualche metro sulla sinistra, in caso il colpevole avesse deciso di fuggire.

      Vikash scosse la testa. «Non ho visto abbastanza».

      La neve era abbastanza fresca

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