Una Bellissima Storia Sbagliata. Margherita Guglielmino

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Una Bellissima Storia Sbagliata - Margherita Guglielmino

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La bimba era emozionata, nel suo paese non esisteva nulla di tutto ciò, non c'era la neve, l’ albero, il presepe, i regali e l’atmosfera di festa.

       Quella mattina il telefono suonò di buon’ora.

       Era Sara, aveva accompagnato Asmait alla scuola dell’infanzia internazionale e voleva andare in giro per Roma a fare shopping, voleva regalare ad Asmait il suo primo albero di Natale e voleva che Luisa, la sua amica Luisa le facesse compagnia.

       Sara era un’iniezione di energia, nonostante la sua disabilità era una forza della natura.

       Dopo i numerosi acquisti, chiese a Luisa di andare in un bar a bere un buon caffè. Erano a Trinità dei Monti e la scalinata di piazza di Spagna era bella da togliere il fiato ma Sara non poteva vederla, questo pensiero balenò per un attimo nella mente di Luisa, l’amica come se l’avesse intuito, le disse:

       - Ehi tutto ok? Ti sei zittita all’ improvviso.

       - Si, certo - rispose Luisa mascherando un certo imbarazzo.

       - Meglio così, perché davanti a questa meraviglia non si può essere giù. Sai da piccola venivo spesso a Roma con i miei genitori e a 25 anni ho sfilato con i miei gioielli proprio su questa scalinata. Ho un immagine nitida di ognuno dei 136 gradini - disse sorridendo.

       E poi continuò:

       - Luisa devo parlarti. Ormai sono qui da 5 mesi, amo Roma ma la mia vita è a Milano, lì ho il mio lavoro, le mie abitudini, il mio ambiente e tu capisci bene che nella mia condizione non è una cosa da poco.

       A casa mia so muovermi con una certa destrezza, qui è difficile, devo costantemente contare i passi che dividono il bagno dalla cucina o dalla stanza di Asmait.

       Quindi ho parlato con le assistenti sociali, le pratiche di adozione sono a buon punto e Asmait ormai ci considera la sua famiglia, perciò ho deciso che è giusto tornare a casa.

       Stasera ne parlerò con Giorgio, volevo prima che lo sapessi tu perché so quanto ami quella bambina, ma ovviamente casa nostra per te sarà sempre aperta.

       Quelle parole furono un pugno nello stomaco per Luisa. Avrebbe nuovamente perso Giorgio e la sua piccolina con quei ricci ribelli e quegli occhioni neri e profondi come l’ebano, gli stessi occhi di sua madre, che Luisa aveva scolpiti nei suoi ricordi, ma non voleva che quel dolore prendesse il sopravvento quindi disse semplicemente:

       - Quando partirete?

       - Pensavo dopo Natale. Era già previsto che trascorressimo il capodanno su dai miei, ma dopo le vacanze resteremo a Milano.

       Il giorno dopo nello sguardo di Giorgio c'era tutto il dispiacere per quella nuova piega che avrebbe preso la sua storia con Luisa.

       Si capirono all’istante , le parole erano superflue tra di loro, loro parlavano con gli occhi, con le mani e col cuore.

       La vigilia di Natale arrivò, erano tutti nel salone della grande casa di Luisa, ospiti del professore Martinelli.

       Asmait sgranava i grandi occhi neri, era uno stupore continuo, l’albero, i regali, Babbo Natale e le luci colorate che con un pulsante cambiavano intensità. Fu una cena formale come quelle che di solito davano in quella casa ma Asmait aveva portato un pizzico di allegria e perfino donna Bianca sembrava più umana del solito, tanto da lasciare la sua stanza e cenare con loro nel grande salone vittoriano.

       Pochi minuti dopo la mezzanotte squillò il cerca persone di Luisa. Era l’ospedale, c'era un’emergenza e lei quella notte era reperibile.

       Lo stupido rituale dei botti di Capodanno adesso aveva contagiato anche il Natale, un bimbo aveva perso una mano con un petardo inesploso. Luisa si scusò, salì in camera sua, tolse il tubino nero che si era concessa per quella sera di gala, forse inconsciamente voleva competere con Sara, ma nonostante il vestito, i tacchi ed il trucco, Sara era irraggiungibile, aveva un abito rosso Valentino strepitoso, gioielli di perla e stranamente i lunghi capelli sciolti. Asmait ogni tanto le prendeva una ciocca e ci giocava, lei sorrideva mostrando tutto l’amore del mondo per quella creatura.

       Appena fu pronta scese le scale di corsa per dirigersi in ospedale, a quel punto Giorgio decise di andare con lei per darle una mano.

       Il prof Martinelli lo rassicurò, dicendo che avrebbe fatto riaccompagnare la signora e la piccola a casa.

       Sara non era tranquilla, pregò il marito di non andare se non fosse proprio necessario, avevano la casa piena di scatoloni con tutti gli oggetti di Asmait pronti per il 27 per essere mandati a Milano e non era certa di riuscire a muoversi in perfetta autonomia, anche perché gli operai del trasloco erano andati a casa quando lei era dal parrucchiere con la piccola, poi Giorgio era passato a prenderle ed erano andate a villa Martinelli.

       Giorgio la tranquillizzò, avrebbe accompagnato Luisa e se il suo intervento non fosse stato necessario sarebbe tornato subito a casa. Ma non fu così. Appena Luisa uscì dal plesso operatorio Giorgio l’aspettava nel suo ufficio dove i due medici consumavano i loro incontri clandestini. Luisa gli disse di andare a casa dalla sua famiglia ma lui non volle sentire ragione, erano gli ultimi giorni che avrebbero potuto trascorrere insieme e anziché andare la prese in braccio, la poggiò sulla sua scrivania e iniziò a toglierle il camice di dosso.

       Travolti dalla loro passione, vivevano quegli attimi in un mondo tutto loro, nella loro bolla di sapone, dove ogni respiro, ogni gemito era amplificato e nulla poteva distrarli dal darsi l’uno all’altra, neanche la vibrazione insistente del cellulare di Giorgio che era finito a terra dentro le tasche dei suoi pantaloni. Perché mentre loro erano una fusione di corpo e anima a pochi passi la tragedia si stava consumando.

       L’autista dei Martinelli aveva riaccompagnato Sara e la piccola a casa.

       Salirono in ascensore ed entrarono nell'appartamento al settimo piano in un percorso che Sara conosceva bene, la bimba la guidava attraverso il salone dove c'erano gli scatoloni e un grande albero pieno di luci intermittenti.

       Andarono a dormire abbracciate e Sara prese subito sonno. Asmait era troppo eccitata dal suo primo Natale italiano, così sgattaiolò dal letto e si diresse nel salone.

       Restò li qualche oretta a giocare con il telecomando delle luci, poi vide che in cima la stella che faceva da puntale all’albero era storta ma era troppo in alto per lei che nonostante fosse abbastanza sviluppata per i suoi quattro anni era pur sempre un soldo di cacio.

       Allora avvicinò gli scatoloni all’abete e poggiò quelli più leggeri uno sull’ altro creando una rudimentale scala e vi si arrampicò ma le sue gambette erano ancora troppo fragili per reggere su quell’appoggio di fortuna così precipitò trascinandosi dietro l’albero che le cadde addosso imprigionandola tra gli aghi di pino e gli scatoloni.

       Impaurita e impossibilitata a muoversi iniziò ad urlare mamma mamma.

       Sara svegliata dalle urla si precipitò a tentoni nell’altra stanza dove improvvisamente la presa alla quale era attaccata la spina delle luci, che era fuoriuscita dal pozzetto per l’impatto della caduta, iniziò a fare scintille e a prendere fuoco.

       Furono attimi di terrore, Asmait immobilizzata urlava impaurita dal fuoco, un’altra volta il fuoco come un dejavu della sua vita in Sierra Leone, quella sera in cui i guerriglieri avevano

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