Sangue Scremato & Versi Violenti. Angel Martinez

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Sangue Scremato & Versi Violenti - Angel Martinez

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nella passeggiata della vergogna verso l’ufficio della tenente. Per fortuna erano arrivati presto, e Kash era l’unico altro agente presente per il momento.

      Se ne stava appoggiato con la schiena alla sua scrivania in tutta la sua gloria calma e concentrata. «Buona fortuna. La tenente non ha ancora preso il caffè».

      «Grazie mille. Dov’è Kyle?» Era ormai così insolito vedere Kash senza il suo compagno che il cuore di Carrington perse un colpo per la preoccupazione.

      «Ha detto che visto che eravamo in anticipo sarebbe andato a prendere il caffè. Da cui il non averlo ancora preso».

      Carrington si toccò il cappello mentre gli passava oltre. «È stato un piacere. Mandate la squadra delle pulizie a grattare via i resti».

      Non che temesse davvero per la sua vita. La loro tenente era l’antisacerdotessa di un’antica divinità e comprendeva la magia nera, ma lui non si era mai sentito a rischio con lei. Il suo lavoro, però, era un'altra storia. Non era che cercasse di infastidire la tenente Dunfee. Semplicemente aveva un talento per farlo. Quando arrivò al suo ufficio, lei stava camminando avanti e indietro, che non era mai un buon segno, con Edgar il corvo fluorescente appollaiato su una spalla.

      «Palle imbracate! Palle imbracate!» gracchiò Edgar mentre agitava le ali rosa e blu.

      «Fuori, Edgar. Ora», scattò la tenente Dunfee.

      In un frullio di penne troppo accese e starnazzi seccati, il corvo volò fuori dall’ufficio, sfiorando la testa di Carrington nel farlo. Lui chiuse la porta, si mise sul riposo da parata e attese che il cazziatone iniziasse.

      «Quattro ore per fare rapporto su un incontro, Loveless. Giustificati».

      «Nessuna scusa, signora».

      «Che non è una giustificazione».

      Si stava sforzando di trovare una possibile spiegazione che non iniziasse con non volevo irritare mia madre quando la tenente Dunfee sbatté un palmo sulla scrivania. Lui si fece piccolo e perse il filo dei propri pensieri.

      «Quattro ore, viziato vampiro snob. Quattro ore in un luogo in cui si trovavano ufficiali di spicco. Dove si trovava il sindaco, per amor di tutti gli dei!»

      «Sì, signora. Le mie scuse. Era la casa dei miei genitori. Abbiamo pensato…» Deglutì a forza. No, non avrebbe tirato Amanda sotto l’autobus con sé. «Io ho pensato che la zona fosse libera. L’entità si era spostata».

      «So che casa era, Loveless».

      Carrington fissò il pavimento mentre annuiva. «Mi dispiace, signora. Mia madre… avrebbe fatto difficoltà. Ostruzionismo. Se fosse stato prima. È stata orribile?»

      Le dita che tamburellavano sulla scrivania, la tenente Dunfee fece un lento, pesante sospiro e infine agitò una mano in segno di negazione. «No. Ho mandato Monroe e Soren, che sono stati educati e affascinanti, ne sono certa. Non hanno fatto alcuna lamentela. Ma tu fai rapporto e io prendo le decisioni. È così che funziona. Qualunque informazione incidentale tu abbia riguardo la difficoltà di accesso a un sito verrà presa nella dovuta considerazione. Capisci?»

      «Sì, signora». Quella sembrava la fine della ramanzina. Anche se si costrinse a restare dritto, dentro di sé si afflosciò per il sollievo. Avrebbe potuto andare molto peggio.

      «In libertà. Procedi». Il gesto della mano stavolta fu più stanco che irritato. Carrington si voltò per andarsene solo per essere bloccato da un «E, Loveless?»

      «Signora?»

      «Buon compleanno passato».

      «Grazie».

      Ecco. Lei non lo odiava. No. A essere onesti, l’aveva sempre saputo, e il loro rapporto spinoso era solo quello. Spinoso. Molto meglio dell’aperta ostilità dei “veri” vampiri all’Unità Paranormale Statale, prima che diventasse il primo agente assegnato al 77°. Le unità statali di tutto il paese erano state sovraccariche di casi e ad alcune città con grandi concentrazioni di incidenti paranormali erano stati concessi fondi per distretti paranormali, battezzati da qualche borioso pezzo grosso federale in base all’abusato adagio del “settimo figlio di un settimo figlio”. 77°.

      Alcuni stati si erano fatti avanti reclutando aggressivamente per riempire i nuovi dipartimenti. La Pennsylvania, assieme ad alcuni altri, aveva usato le nuove unità per scaricare i paranormali “aberranti” secondo la logica che alle città più grandi potevano sempre far comodo più agenti anche se i loro talenti paranormali si dimostravano inutili.

      Un’eccellente spinta al morale, quella.

      Gli arrivi del mattino resero lo spazio meno simile a un cavernoso magazzino vuoto, cosa che era, e più a una stanza degli agenti, altra cosa che era. Kyle era tornato con il caffè per tutti. Amanda stava ascoltando Greg Santos raccontare una qualche storia, una stravagante a giudicare dalle braccia agitate di lui e dalle risate di lei. Larry il fantasma stava portando la caraffa del caffè al lavandino per iniziare a fare la sua bevanda imbevibile.

      Nell’angolo opposto, Giubbotto di Pelle era seduto accasciato su una vecchia sedia da scrivania. Vikash era accosciato accanto a lui, parlava in tono urgente e gli porgeva un blocchetto e una penna. Con quello che parve uno sforzo erculeo, GP prese il blocchetto e vi scribacchiò sopra qualcosa prima di restituirlo a Kash. Fecero avanti e indietro alcune volte fino a quando Kash batté un dito su qualunque cosa GP avesse disegnato, chiaramente facendo una domanda. GP fece spallucce, si afflosciò di più su sé stesso e sollevò entrambe le maniche a coprirsi il volto inesistente. Si scosse a un ritmo di singhiozzo. Carrington era quasi certo che non stesse ridendo.

      Alla fine Kash si alzò, diede una pacca sulla spalla a GP e si allontanò col blocchetto.

      Carrington si risparmiò la classica domanda sta bene. La risposta era fin troppo ovvia. «Che è successo?»

      «Per quanto sono riuscito a mettere assieme…» Kash si massaggiò la mascella con aria confusa. «GP ha avuto una… beh, una sbandata».

      «Una sbandata? E per cosa, un trench prêt-à-porter?»

      Kash gli rivolse un’occhiata dall’alto del suo naso lungo e dritto. Blanda per molti, molto seccata per Kash. «Non prenderlo in giro, Carr. È molto agitato». Girò il blocchetto in modo da fargli vedere lo schizzo di quello che sembrava un caban. «Penso sia come lui. Un caban verde».

      «Interessante. Abbigliamento animato proprio come lui?» Carrington prese il blocchetto e indicò il disegno del vagone di un treno. «E questo allora cos’è?»

      «Lei lo ha lasciato. È chiaro che lui pensasse ci fosse qualcosa tra loro, ma lei è salita su un treno e se ne è andata».

      Carrington gettò un’occhiata furtiva all’angolo in cui GP era ancora seduto in un mucchietto sconfitto e gli si formò un duro groppo in gola. Non mi metterò a piangere per la storia fallita di un giubbotto di pelle. Ma la tensione rimase. «È…» Terribile. Trovare qualcuno come te quando pensi di essere un solitario fenomeno da baraccone. E poi essere lasciato. «Povero GP».

      «Uhm. Sì». Vikash sfilò gentilmente il blocchetto dalle mani di Carrington. «Lo farò sapere a tutti, almeno».

      «Per tenere gli occhi aperti per lei? Suppongo

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