Solo chi è coraggioso. Морган Райс

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Solo chi è coraggioso - Морган Райс

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che si trovava in quell’ampia radura nel cuore dell’isola, poteva vedere la capanna che vi era stata costruita, riparata sotto agli alberi di lato. Era di semplice fattura, ma sembrava robusta, costruita con alberi caduti e tagliati da mani che chiaramente sapevano quello che facevano.

      Royce si diresse verso la capanna, ragionando sul fatto che ciò che era venuto a cercare qui poteva solo trovarsi là dentro. Attraversò la radura, passò oltre le lastre di pietra e si trovò a fermarvisi accanto per leggere. Vi trovò le parole delle persone che erano state lì prima, e qualcosa in quelle parole parve risuonare nel profondo della sua anima. Alcuni rimasugli della chiarezza che aveva trovato nello specchio gli dicevano che quelle erano parole in una lingua antica riguardo ai suoi antenati, re e regine di cui le pietre avevano cantato e i cui regni erano stati pieni di magia.

      Royce andò fino alla capanna. Era semplice, ma poté vedere che qualcuno aveva iniziato a intagliare delle scritte nel legno, lavorando con un coltello lungo, o forse con un’accetta tenuta con mani attente. Royce fissò gli intagli, che sembravano raccontare la storia di un uomo che aveva attraversato il mare, che aveva fissato nello specchio e…

      Royce sentì Gwylim ringhiare accanto a sé e si girò giusto in tempo per vedere un’ascia che calava verso il suo volto. Royce si gettò di lato e l’arma si piantò nel legno, liberandosi subito dopo mentre un uomo grande e grosso con i capelli scompigliati e la barba incolta la tirava su di nuovo.

      “Carris finalmente mi ha trovato e ha mandato un assassino?” chiese l’uomo, pronto a colpire ancora con la sua accetta.

      Royce fece un salto indietro, schivando con fatica il fendente. Sguainò la spada di ossidiana e parò il colpo successivo, trovando solo a malapena la forza per tenere la lama alla larga dalla sua testa. Al suo fianco, Gwylim ringhiava, pronto a saltare da un momento all’altro.

      “No, Gwylim, non farlo,” disse Royce. La distrazione quasi gli costò la vita mentre il suo avversario lo colpiva allo stomaco con il manico dell’ascia, pronto poi a calarla contro di lui in un fendente mortale. Royce rotolò via e l’accetta colpì la terra dove si era trovato un istante prima.

      “Padre, ti prego,” gridò Royce. Gettò via la spada di ossidiana, intenzionato a fargli capire che non era lì per combattere.

      “Pensi che possa cascare in un trucchetto del genere?” chiese suo padre. “Pensi che gli assassini non abbiano finto di essere tutti coloro a cui voglio bene, ormai? Intendi indurmi ad abbracciarti così da potermi pugnalare? Ho dato a mio figlio un ciondolo con il mio sigillo in modo da poterlo riconoscere. Ce l’hai? No? Penso di no!”

      Fece un passo avanti, l’ascia sollevata sulla propria testa, e per un momento Royce temette che la magia dello specchio lo avesse reso pazzo come aveva fatto con Barihash, capace solo di vedere nemici ovunque. Royce alzò le mani per arrendersi, nella speranza che suo padre fosse un uomo ancora abbastanza buono almeno da riconoscere quel gesto.

      L’uomo rimase fermo fissando le mani di Royce, che presto si rese conto di cosa stava guardando: il simbolo impresso lì, le cicatrici di quando era stato bambino, quando aveva allungato la mano per afferrare il ciondolo che era finito in mezzo alle fiamme.

      Suo padre si fermò e lasciò cadere l’accetta. “Tu… quello è il mio simbolo. Quello è il ciondolo che ti ho dato. Tu sei mio figlio.”

      Royce sorrise. “Ciao, padre.”

      CAPITOLO CINQUE

      Royce stava fermo, i palmi tesi in avanti. L’uomo fece un passo indietro.

      “Royce, sei proprio tu?”

      “Sì, padre,” gli rispose, e anche lui stentava a crederlo. Dopo tutto quello che aveva passato per trovarlo, suo padre ora era lì davanti a lui. Quest’uomo dall’aspetto selvaggio, con la barba così lunga da sfiorargli l’ombelico, era suo padre. Il re.

      Era difficile da credere, ma Royce sapeva che era vero. Royce poteva vederlo ora, nella somiglianza con i suoi lineamenti, ma c’era di più. Suo padre portava un anello con il sigillo reale, e anche se i suoi abiti erano consumati e sbiancati dal sole, se ne riconosceva ancora la loro ricca origine.

      “Sei tu. Sei…”

      Suo padre corse in avanti e lo abbracciò con forza. “Ho aspettato… così tanto questo giorno.” La sua voce risuonava secca e un po’ rotta, come se non avesse parlato per molto tempo. Sembrava ricordare le parole con un po’ di difficoltà. “Sei sicuro… sei sicuro che sei tu? Che non sei un sogno?”

      Era il genere di domanda che poteva venire solo dall’essere rimasto solo così a lungo.

      “No, non importa. Sei tu. L’ho visto! Ho visto tutto! Dal momento in cui ho trovato tua madre tanto tempo fa, ho sperato così tanto di poterti rivedere quando fossi cresciuto.”

      Royce rispose all’abbraccio di suo padre. C’erano così tante domande che voleva fargli, così tante cose che voleva dirgli.

      “Vedi le pietre?” chiese suo padre, con l’orgoglio di un uomo che vuole fare mostra del poco che possiede. “Le storie dei tuoi antenati, Royce.”

      Fece strada accanto alla capanna, fino a un punto in cui si trovava un’altra lastra di roccia, screpolata e composta di diversi pezzi. Sopra c’era l’inizio di un’altra storia.

      “Ho cercato di aggiungere la mia vita alle loro,” disse re Filippo. “Su un’isola come questa, è facile trovare il tempo per farlo. Ho parlato con loro, anche se non mi hanno risposto. Non volevo dimenticare come si parla.”

      “Perché venire qui, però?” chiese Royce.

      Suo padre scrollò le spalle. “Ho guardato nello specchio.”

      Era una risposta, e allo stesso tempo non lo era. Per chiunque altro, non avrebbe avuto senso, ma anche Royce aveva guardato. Poteva capire cosa significava dover fare cose che non si potevano spiegare.

      “Ci sono cose che non si possono dire,” disse.

      Suo padre annuì. Allontanandosi da lui, si avvicinò a Gwylim e gli si piegò accanto, non nel modo in cui uomo avrebbe fatto con un cane, ma piuttosto come con un uomo seduto a terra. Tese il braccio e Bragia vi atterrò sopra.

      “Questi che hai trovato sono strani compagni, figlio mio,” disse. “Lo strumento di una strega e una cosa che non è sempre stata un lupo.”

      “Non sono gli unici,” disse Royce. “I miei amici sono ancora sulla barca.”

      “E se fossero venuti sull’isola, non mi sarei fatto vedere,” disse suo padre. “Sarei stato alla larga e avrei rubato la vostra barca per fuggire.”

      Royce annuì, perché quella parte la conosceva. L’aveva vista nello specchio.

      “Perché te ne sei andato?” gli chiese. “Perché sei venuto qui?”

      “Dovevo andarmene, altrimenti mi avrebbero ucciso,” disse suo padre. “E avrebbero ucciso anche te. Sono venuto qui perché questo posto un tempo era nostro, della nostra famiglia.”

      “E hai lasciato una pista da seguire per me, perché sapevi che sarei venuto a cercarti,” disse Royce.

      “Non

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