Gelatina Al Lime E Altri Mostri. Angel Martinez

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Gelatina Al Lime E Altri Mostri - Angel Martinez

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sotto le cosce e si fece piccolo sotto una pioggia di frammenti bruciati di piastrelle del soffitto e mortificazione.

      «Presente», disse strozzato.

      «Vance! Spostati!» urlò il tenente. «Maledizione, dovresti saperlo!»

      Virago si alzò subito dalla sua sedia e andò a prendere posto in piedi contro la parete opposta. «Sta piovendo, signora! Come dovrei sapere che Kirby può risucchiare la mia merda quando non riesco neanche a ottenere una scintilla?»

      «Bada a come parli, e che ti ho detto di quel soprannome?»

      Virago abbassò la testa mormorando delle scuse, ma più di una persona a portata d’udito di Kyle borbottò che il soprannome era fin troppo adatto.

      «Mi dispiace, signora».

      «Non è niente che tu possa controllare, Monroe. Ma queste altre teste vuote possono essere un po’ più consapevoli di dove si trovano in rapporto a te»

      «Sì, signora».

      Scuotendo la testa con aria esasperata, lei finì l’appello, confermò gli incarichi, poi fece cenno di avanzare dalla prima fila a qualcuno non familiare. «Ragazzi e ragazze, lui è il nostro nuovo agente, Vikash Soren».

      Kyle si drizzò a sedere, spostandosi per vedere tra le teste delle persone davanti a lui. Soren sembrava il ragazzo copertina dell’agente di polizia modello: alto e dritto, l’uniforme stirata e inamidata. Stava sul riposo accanto al tenente, a esaminare impassibile i suoi nuovi colleghi. Un piccolo nodo di risentimento si incastrò nello stomaco di Kyle. Durante la sua presentazione al 77°, lui era stato nervoso e agitato, spaventato da quella quantità di… fenomeni. Come fa a stare tanto calmo?

      «L’agente Soren si è trasferito dal dipartimento di polizia di Harrisburg…»

      «Non hanno già abbastanza merda per conto loro lassù?» gridò Wolf nel suo ringhio graffiante.

      «Dato che Harrisburg è nella nostra giurisdizione», proseguì il tenente, mettendolo a tacere con uno sguardo, «inizierà in coppia con Monroe».

      «Che cosa fa, signora? Perché sia sicuro metterlo con Kirby, ehm, Kyle?» chiese Shira Lourdes mentre gettava occhiate nervose a Kyle attraverso la stanza. Una sedia vuota scivolò via da lei e si ribaltò. Il suo partner, Greg Santos, scosse la testa e raddrizzò lo sfortunato complemento d’arredo.

      «Le abilità dell’agente Soren sono un suo problema, che potrebbe o meno scegliere di condividere se glielo chiedete. E non cercate di costringerlo, nessuno di voi». Il tenente Dunfee spazzò la stanza con il suo sguardo laser, trafiggendo ogni agente come una farfalla con uno spillo.

      «Monroe, nel mio ufficio dopo il briefing. Info sul tuo attuale caso».

      Li congedò, marciando fuori dalla stanza con nubi di tempesta nello sguardo. Kyle si ritrovò ad avvicinarsi al ragazzo nuovo e cercare di fare del suo meglio per non essere imbranato. Doveva offrirsi di stringergli la mano? Era sicuro? Il ragazzo si sarebbe fatto indietro come molti facevano alla vista delle sue mani sfregiate? Soren era perfino più alto così da vicino, centonovantadue centimetri di asciutta imperscrutabilità, gli occhi blu che brillavano in modo impressionante sullo sfondo della pelle bronzo affumicato.

      «Uh, ciao, sono Kyle Monroe». Kyle tentennò quando neppure Soren gli tese la mano. «Sei con me, credo. Ti farò vedere il nostro posto nella stanza degli agenti».

      Soren lo seguì in silenzio, e Kyle stava iniziando a chiedersi se fosse come Krisk per il fatto di non parlare fino a quando non lo fece in un basso e dolce baritono, facendolo sobbalzare e mancare un passo. «Perché ti chiamano Kirby?»

      «Lo sentirai dire prima o poi, immagino». Kyle si strinse nelle spalle. «È questa cosa che faccio, assorbire temporaneamente i talenti di altre persone. Se mi stanno vicine. O mi toccano. Come Kirby, il piccoletto rosa del videogioco».

      «Ah».

      Solo questo? Soren non prese le distanze, né cambiò minimamente espressione. Era fatto di pietra? «È una cosa. Tutti qui hanno una cosa».

      Dopo qualche altro passo, Soren chiese: «Sempre?»

      «Cosa…? Oh, sono sempre stato così? Chi lo sa. Insomma, magari ricevevo pensieri vaganti o qualcosa del genere, ma no. È piuttosto recente. Sapere che faccio questo».

      Kyle fece un lungo giro attorno a Vance entrando nella stanza degli agenti e indicò una doppia scrivania nell’angolo più lontano, ben distante da tutti gli altri. «Quella è nostra. Il caffè è laggiù, ma potresti non volerne. Lascia che prenda il mio fascicolo e andiamo a vedere il tenente».

      Si udì un frullio di ali sopra di loro… un lampo brillante di piume che schizzò davanti a Kyle per atterrare sulla scrivania di Carrington in fondo alla stanza. Con un verso rauco, il corvo rosa e blu fluorescente ripiegò le ali e avanzò per beccare la penna di Carrington.

      «Piantala, Edgar».

      «Non riusciresti a far sesso a un’orgia!» gracchiò Edgar, facendo un altro tentativo per prendere la penna.

      Carrington sospirò e gliela porse. «Ecco. Vai a giocare. Cerca di non sporcarti tutte le zampe d’inchiostro stavolta».

      Edgar afferrò la penna nel becco color Pepto-Bismol e volò fino al suo trespolo dall’altra parte della stanza, da dove gridò «Grazie e vaffanculo!», per poi procedere a disegnare linee casuali sui fogli attaccati dietro di lui con delle puntine per i suoi lavori artistici.

      «Allora, qual è la tua storia, Soren?» gridò Vance attraverso la stanza. «Cosa fa sventolare la tua bandiera di freak?»

      «Già, cos’è che fai?» Jeff Gatling smise di teletrasportare la sua banana da un angolo all’altro della scrivania.

      «In effetti non faccio niente», rispose Soren mentre sollevava la caraffa vuota del caffè. «Immagino ne farò dell’altro, visto che sono l’ultimo arrivato».

      Aprì il coperchio per togliere il filtro e ogni voce umana nella stanza urlò «No!»

      La maggioranza delle persone sarebbero sobbalzate, magari avrebbero anche lasciato cadere la caraffa. Soren si limitò a guardare la stanza piena di gente che gesticolava agitata. Tolse il filtro e lo svuotò nel cestino. «Perché no?»

      «Meglio non farlo». Kyle rimase accanto alla sua scrivania, a una bella distanza di sicurezza dall’area del caffè. «È compito di Larry».

      «Allora Larry non sta al passo». Il contenitore delle bustine di dolcificante iniziò a tremare. Vibrò attraverso il bancone e saltò verso una sgraziata fine, spargendo schegge di ceramica a scivolare lungo tutto il pavimento. La scrivania condivisa da Krisk e Wolf si sollevò da terra di parecchi centimetri e poi vi piombò di nuovo. Wolf fuggì con un latrato squittente appena prima che si ribaltasse su un lato. Soren rivolse uno sguardo a Kyle.

      «Larry non è un poliziotto, vero?»

      «Lo è… lo era! Un poliziotto morto. Larry è un fantasma. Si innervosisce se chiunque altro fa il caffè. Rimetti quella roba a posto, per favore!»

      «Larry?» Soren alzò la voce, ma sotto ogni aspetto rimase del tutto inalterato. «Sono nuovo qui. Mi dispiace

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