Una Bellissima Storia Sbagliata. Margherita Guglielmino

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Una Bellissima Storia Sbagliata - Margherita Guglielmino

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del famoso prof Branciforte, chirurgo di fama mondiale al Bambin Gesù di Roma ed ora vice primario al maggiore di Bologna, certo il suo cognome pesava come un macigno per lei così schiva e riservata, ma era abituata a conviverci da sempre.

       Prima era stata per anni la figlia del Rettore universitario e ora anche la nipote del segretario del partito di maggioranza al governo, nonché Presidente del consiglio. Ma a Luisa quel genere di politica fatta di bustarelle e raccomandazioni non era mai interessata.

       Fu proprio per questo che, tre anni prima, quando suo padre aveva spinto per quel posto al Bambin Gesù, lei era fuggita in Africa con medici senza frontiere.

       Già l’Africa, la Sierra Leone, il fuoco, la guerra civile, Giorgio e Asmait. Scacciò velocemente i ricordi che bruciavano come un marchio infuocato sulla pelle, si cambiò rapidamente e uscì dall’ospedale.

       Erano più o meno le 7 del mattino, la sua bici era legata con catena e lucchetto ad un palo della luce, accanto alle fuoriserie dei colleghi, un vero paradosso, lei la raccomandata nipote del Premier girava per la città in bicicletta e i suoi colleghi comunisti poggiavano il culo su Porsche e BMW. E già, non esistevano più i comunisti di una volta pensava, come non esisteva più distinzione tra destra e sinistra. Con questo pensiero fece un timido sorriso e iniziò a pedalare. L’aria era tersa, ottobre le era sempre piaciuto, non era ancora pieno autunno e i viali alberati colmi di foglie arancioni le davano tanta pace, quell’arancio le ricordava i tramonti africani, dietro quelle dune l’orizzonte scompariva a perdita d'occhio e il silenzio l’avvolgeva.

       Arrivò davanti all’ edicola di Ivan.

       - Buongiorno bella dottoressa il suo malloppo culturale è già pronto.

       - Grazie Ivan sei unico. C'è tutto?

       - Ma certo… il resto del Carlino, la Repubblica e il Corriere. Poi un giorno mi dirà come fa a leggere tutto nel poco tempo che ha.

       - Sai Ivan col tempo ho imparato che la verità è soggettiva e spesso le verità dei giornali sono bugie camuffate bene, per questo voglio avere un quadro chiaro, leggendo più fonti posso farmi un'idea obiettiva.

       - Sarà come dice lei, ma con tutto il rispetto siamo stanchi di leggere in prima pagine le avventure galanti di suo zio, distolgono il popolo dai problemi veri del nostro paese.

       Luisa sorrise a mezza bocca, Ivan aveva ragione, non approvava nulla di ciò che aveva fatto lo zio negli ultimi anni, né il programma politico né il comportamento privato, non l’avrebbe mai votato come figura politica ma in privato era il suo zione, quello che le faceva fare il cavalluccio da piccola e che le aveva insegnato le costellazioni. Il potere l’aveva logorato e corrotto, aveva perso il contatto con la realtà, si sentiva onnipotente, lui che essendo il fratello minore era cresciuto all’ombra del fratello maggiore il rettore Giovanni Martinelli, sposato con Bianca De Nardo, figlia di un armatore.

       Che fortuna nascere in quella famiglia, Luisa se l’era sentito ripetere centinaia di volte, ma solo lei sapeva che la famiglia del “mulino bianco” non esisteva e che quel guscio era vuoto. Una volta da adolescente aveva letto "va dove ti porta il cuore" di Susanna Tamaro ed era rimasta molto colpita dal sillogismo che la scrittrice aveva fatto tra la protagonista e una pecorella del presepe che ogni anno le suore allestivano nell’atrio del collegio.

       Ogni alunna era una pecorella e a seconda delle sue azioni poteva avvicinarsi alla grotta della natività o al precipizio. Luisa, esattamente come la protagonista della Tamaro, qualsiasi cosa facesse si sentiva sempre in bilico ad un passo dal baratro. Aveva amato così tanto quel romanzo e quel brano, che l’aveva letto, sottolineato e riletto centinaia di volte e anche ora che era adulta e la sua pecorella si era sfracellata al suolo, quel libro era intoccabile sul suo comodino.

       La sua infanzia non era stata affatto felice come poteva apparire. Chiusa in una gabbia dorata, unica compagnia i suoi amati libri.

       Suo padre sempre preso dalle apparenze e timorato di Dio, a detta di tutti era un esimio docente ma un padre assente che pretendeva sempre il massimo da Luisa.

       Sua madre invece anaffettiva e ipocondriaca era sempre malata o credeva di esserlo, forse inconsciamente Luisa era diventata medico per curare le malattie immaginarie della madre, da piccola glielo ripeteva sempre: "mammina da grande ti curerò io".

       Sua madre era così invisibile, evanescente perfino al tatto, mai un bacio, una carezza, una confidenza madre figlia. Per fortuna in quella grande casa sulla via Appia c'era Francesca, la sua tata, che le aveva insegnato tutto ciò che Luisa sapeva sui sentimenti, forse non molto visto il disastro amoroso che era stata la sua vita fino ad allora, ma almeno le aveva dato il calore di un bacio e di una buona cioccolata calda nelle lunghe sere invernali.

       Presi i quotidiani si diresse da Nanni, entrò e subito fu investita da quell’odore di burro e vaniglia che solo i cornetti caldi (perché per lei romana quelli erano cornetti, ma al nord diventano tutte brioches ) sanno fare.

       Prese il solito caffè schiumato in vetro con cannella e un cornetto vuoto. Era stanca, le notti cominciavano a pesare e nella sua posizione poteva anche rifiutarsi di farle ma in Sierra Leone aveva capito il vero significato del giuramento di Ippocrate. Pagò e uscì dalla caffetteria, ormai il brusio della città la circondava, iniziò a pedalare, arrivò in via D’Azeglio, sotto il balcone della casa che era stata di Lucio Dalla e subito nella sua mente le note di "Anna e Marco" si fecero strada, svoltò a destra, altri settecento metri e finalmente sarebbe giunta a casa.

       2

       Lasciò la bici davanti al portone e salì le scale a chiocciola che la conducevano nel suo piccolo regno. Aprì la porta e respirò quell’odore di agrumi sprigionato dalle tante candele sparse per casa. Theo si era impossessato del suo letto e sarebbe stata dura farlo scendere ma aveva già deciso di farsi una doccia perciò quel pigrone di un gatto poteva anche dormire un altro po’.

       Si tolse i vestiti e li gettò nel cesto dei panni sporchi, rimase con gli slip e il reggiseno e mentre li sfilava passò davanti lo specchio del bagno, aveva ancora un bel fisico nonostante i suoi 37 anni, pensò a quanti uomini sarebbero stati ancora attratti da lei e all’astinenza sessuale a cui si era sottoposta. Erano ormai più di due anni che un uomo non la sfiorava e la possedeva, l’ ultima volta era stata quella maledetta notte dell’incidente di Asmait, la notte che aveva cambiato la sua vita. Con quel pensiero aprì l’acqua entrò nella doccia e mentre era avvolta in una nuvola di vapore iniziò a ricordare.

       - Perché no, papà? Ma ti rendi conto del perché non voglio quell’incarico? Sono stanca di essere la figlia di..., voglio costruire qualcosa con le mie forze perciò mi dispiace tanto ma hai scomodato gli amici tuoi per nulla, io al Bambin Gesù non ci vado, anzi sappi che la settimana prossima parto per la Sierra Leone con medici senza frontiere, il tempo di ottenere i visti e di fare le vaccinazioni necessarie.

       - Sei la solita ingrata anticonformista, quando la smetterai di sputare nel piatto in cui mangi? Farai venire un infarto a tua madre uno di questi giorni.

       - Tanto la mamma ipocondriaca com’è un infarto se lo farà venire da sola, mi sembra un personaggio di Verdone.

       Comunque io ho già deciso di partire, ma tranquillo papà non ti farò sfigurare davanti a nessuno, ho chiesto un aspettativa temporanea in ospedale. E ora scusami ma devo iniziare a preparare i bagagli.

       È così

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