Una Bellissima Storia Sbagliata. Margherita Guglielmino

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Una Bellissima Storia Sbagliata - Margherita Guglielmino

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facevano tanto "la mia Africa".

       Arrivata in Sierra Leone, durante il tragitto che la portò dall’aeroporto al campo di medici senza frontiere, Luisa capì subito la drammaticità di quei luoghi.

       Vedeva capanne bruciate, bambini mal nutriti sommersi da mosche e carcasse di animali ad ogni angolo. Per un attimo si chiese se era ciò che voleva ma soprattutto se era in grado di farcela, di essere utile a quella gente che non aveva nulla o se il suo era stato solo un moto di ribellione di una ragazza viziata e capricciosa. Respirò a fondo e si fece coraggio. La jeep si fermò e fu invitata a scendere. Fu accolta velocemente dai colleghi che le indicarono le procedure, il suo accampamento e la invitarono a seguirli per conoscere colui che era stato l’artefice di quella spedizione in un paese così martoriato dalla guerra civile, il dottor Giorgio Di Pietro.

       Luisa lo conosceva di fama, aveva dato un esame universitario basandosi su un testo scritto da quel medico e ricordò lo stupore che ebbe appena aprì la copertina del libro. Si aspettava uno di quei luminari settantenni, invece in quella foto era ritratto un quarantenne molto affascinante ed abbronzato sulla sua barca a vela.

       Biondo con dei profondi occhi azzurri, Luisa pensò... cavolo bello e intelligente un connubio molto raro.

       Ed ora a qualche anno di distanza da quel pensiero eccolo davanti a lei, il dottor Di Pietro.

       Sempre abbronzato, qualche ruga in più e qualche capello biondo in meno era ancora molto affascinante nei suoi 47 anni, di cui gli ultimi tre vissuti in zone martoriate del nostro pianeta.

       Aveva lasciato una cattedra universitaria e un posto di rilievo al Gaslini di Genova per buttarsi in prima linea dove c'era veramente bisogno di tutto: di braccia, gambe, di cuore, anima e cervello perché lì ogni gesto ogni mossa doveva essere pensata, era una questione di vita o di morte.

       - Accomodati, disse sorridendo.

       Un sorriso aperto da togliere il fiato e mentre lui le sorrideva lei stranamente si sentiva sprofondare sotto la bianca camicia.

       - Prima regola del campo, qui ci si dà tutti del tu, quindi accomodati Luisa, io sono Giorgio - le disse porgendole la mano che afferrò con una stretta vigorosa - e spiegami che diavolo ci fai all’inferno.

       Luisa non si aspettava quell’accoglienza e quelle parole, e ora cosa avrebbe detto? Sono qui perché paparino mi ha raccomandato per un posto di prestigio ma io sono una ricca e viziata ragazza che gioca a fare l’attivista dei centri sociali? No certamente non poteva dire quello, respirò e prese fiato.

       - Non so perché sono qui, ma ci sono e sono pronta a mettermi a disposizione per tutto ciò di cui avete bisogno, dimmi cosa devo fare e lo farò.

       Giorgio sorrise e lei si sentì improvvisamente nuda sotto quello sguardo e iniziò a sudare freddo.

       - Bene, sia ben chiaro che qui non si gioca quindi se sei qui per trovare te stessa, per scappare da una delusione amorosa o per fare un dispetto alla tua famiglia, hai sbagliato luogo, gira i tacchi e tornatene in Italia.

       Se, invece sei qui perché hai ben presente che questa non è una fiction di quart’ordine e questa gente muore ogni giorno per una guerra che arricchisce sempre più i signori del potere, mentre noi non abbiamo a volte neanche i mezzi per curarli e vuoi realmente renderti utile, sbracciati le maniche, va nella tenda che ti è stata assegnata e tra 10 minuti inizia il turno, nella tendopoli che utilizziamo come ospedale da campo. Ma attenta non ti darò tregua e respiro, chi viene qui deve sapere ciò che l’aspetta e i miei occhi vigileranno sempre su di te. Buona giornata Luisa, si alzò e uscì.

       Lei impietrita restò al centro della stanza, sentiva la rabbia montarle dentro.

       Come si permetteva quell’arrogante, chi si credeva di essere, lei era lì per… per… fuggire da suo padre e dagli schemi prefissati dove l’aveva rinchiusa.

       Touchè quell’arrogante aveva visto giusto. Stava a lei dimostrargli che si sbagliava e fargli cambiare idea con il lavoro sul campo.

       I tre mesi successivi furono terribili, turni massacranti, infezioni, zanzare, caldo ustionante ma soprattutto miseria e morte. Samir fu il primo bambino a spirargli tra le braccia, era arrivato al campo in condizioni disperate, una mina antiuomo gli aveva fatto saltare gli arti inferiori, Luisa aveva fatto di tutto per salvarlo, aveva tentato l’impossibile, non l’aveva lasciato un attimo, per tre giorni e tre notti l’aveva vegliato ai piedi del letto e quando lui se n'era andato, Luisa aveva sentito per la prima volta il sapore salato delle sue lacrime in quella calda serata africana, era stato un attimo poi lo scirocco le avrebbe asciugate rapidamente. Mentre era lì davanti quel corpicino inerte sentì una voce.

       -Vieni Luisa, non possiamo più fare nulla per lui e ammalarti non ti aiuterà e soprattutto non aiuterà tutti gli altri Samir che hanno bisogno di un bravo medico come te. Era la prima volta che le rivolgeva parole simili.

       L’aveva chiamata bravo medico, lei si girò e tentò un mezzo sorriso. Grazie fu l’unica cosa che riuscì a dirgli.

       - Devo andare in città a fare scorta di medicine, ti va di venire con me?

       - Si, grazie!

       - Se l'avessi scordato mi chiamo Giorgio e non grazie e allargò sul viso un sorriso che lo illuminò.

       Anche Luisa sorrise e dopo cinque minuti erano insieme sulla jeep diretti a Freetown.

       Durante il tragitto parlarono un po’delle loro vite o meglio Giorgio parlava, era lui l’avventuriero, aveva girato il mondo, conosciuto paesi e culture diverse ed era sposato da 6 anni con Sara, una creatrice di gioielli che viveva a Milano, non avevano figli perché lei dopo un intervento non poteva più averne.

       Parlava di lei con molto entusiasmo, era una donna forte e determinata che neanche la retinite pigmentosa, che l’aveva costretta ad una quasi totale cecità fin dall’ età di 25 anni, aveva saputo domare. Si erano conosciuti sette anni prima alla fiera orafa di Vicenza, c'era una raccolta fondi di beneficenza in favore di medici senza frontiere e Giorgio era lì per ringraziare i partecipanti e ritirare le laute donazioni.

       Lei era lì seduta in prima fila, bellissima, indossava un vestito porpora ed oro ed aveva i lunghi capelli castani raccolti con uno chignon, ai lobi delle orecchie due splendide foglie filigranate, una dea. Si accorse della sua cecità solo quando per consegnargli l’assegno, in qualità di presidentessa dell’Assoorafi, fu accompagnata sul palco dal suo assistente. Giorgio raccontava con dovizia di particolari gli incontri successivi con Sara e il fulmineo matrimonio su una spiaggia nelle cinque terre, che a Luisa sembrò quasi di conoscerla.

       - Scusa ma se non vede come fa a creare gioielli?

       - Li immagina nella sua mente e poi col tatto sviluppato che ha, riesce a ricrearli sul suo tavolo da lavoro dove ogni cosa è sistemata da lei personalmente, attrezzi, pietre, colori ecc.

       Il suono prolungato del cellulare la destò dai suoi ricordi. Chiuse l’acqua, indossò in fretta e furia l’accappatoio e andò a rispondere.

       - Pronto?

       - Salve dottoressa, scusi il disturbo, so che ha fatto il turno di notte e forse stava riposando.

       Era Ester la sua segretaria e sapeva benissimo che lei non stava riposando.

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