La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке. Данте Алигьери

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La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке - Данте Алигьери Lettura classica

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mi tenne in la vita serena.

      52 Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:

      per la dannosa colpa de la gola,

      come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.

      55 E io anima trista non son sola,

      ché tutte queste a simil pena stanno

      per simil colpa». E più non fé parola.

      58 Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno

      mi pesa sì, ch’a lagrimar mi ’nvita;

      ma dimmi, se tu sai, a che verranno

      61 li cittadin de la città partita;

      s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione

      per che l’ha tanta discordia assalita».

      64 E quelli a me: «Dopo lunga tencione

      verranno al sangue, e la parte selvaggia

      caccerà l’altra con molta offensione.

      67 Poi appresso convien che questa caggia

      infra tre soli, e che l’altra sormonti

      con la forza di tal che testé piaggia.

      70 Alte terrà lungo tempo le fronti,

      tenendo l’altra sotto gravi pesi,

      come che di ciò pianga o che n’adonti.

      73 Giusti son due, e non vi sono intesi;

      superbia, invidia e avarizia sono

      le tre faville c’hanno i cuori accesi».

      76 Qui puose fine al lagrimabil suono.

      E io a lui: «Ancor vo’ che mi ’nsegni

      e che di più parlar mi facci dono.

      79 Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni,

      Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Mosca

      e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni,

      82 dimmi ove sono e fa ch’io li conosca;

      ché gran disio mi stringe di savere

      se ’l ciel li addolcia o lo ’nferno li attosca».

      85 E quelli: «Ei son tra l’anime più nere;

      diverse colpe giù li grava al fondo:

      se tanto scendi, là i potrai vedere.

      88 Ma quando tu sarai nel dolce mondo,

      priegoti ch’a la mente altrui mi rechi:

      più non ti dico e più non ti rispondo».

      91 Li diritti occhi torse allora in biechi;

      guardommi un poco e poi chinò la testa:

      cadde con essa a par de li altri ciechi.

      94 E ’l duca disse a me: «Più non si desta

      di qua dal suon de l’angelica tromba,

      quando verrà la nimica podesta:

      97 ciascun rivederà la trista tomba,

      ripiglierà sua carne e sua figura,

      udirà quel ch’in etterno rimbomba».

      100 Sì trapassammo per sozza mistura

      de l’ombre e de la pioggia, a passi lenti,

      toccando un poco la vita futura;

      103 per ch’io dissi: «Maestro, esti tormenti

      crescerann’ ei dopo la gran sentenza,

      o fier minori, o saran sì cocenti?».

      106 Ed elli a me: «Ritorna a tua scienza,

      che vuol, quanto la cosa è più perfetta,

      più senta il bene, e così la doglienza.

      109 Tutto che questa gente maladetta

      in vera perfezion già mai non vada,

      di là più che di qua essere aspetta».

      112 Noi aggirammo a tondo quella strada,

      parlando più assai ch’i’ non ridico;

      venimmo al punto dove si digrada:

      115 quivi trovammo Pluto, il gran nemico.

      Canto VII

      «Pape Satàn, pape Satàn aleppe!»,

      cominciò Pluto con la voce chioccia;

      e quel savio gentil, che tutto seppe,

      4 disse per confortarmi: «Non ti noccia

      la tua paura; ché, poder ch’elli abbia,

      non ci torrà lo scender questa roccia».

      7 Poi si rivolse a quella ’nfiata labbia,

      e disse: «Taci, maladetto lupo!

      consuma dentro te con la tua rabbia.

      10 Non è sanza cagion l’andare al cupo:

      vuolsi ne l’alto, là dove Michele

      fé la vendetta del superbo strupo».

      13 Quali dal vento le gonfiate vele

      caggiono avvolte, poi che l’alber fiacca,

      tal cadde a terra la fiera crudele.

      16 Così scendemmo nella quarta lacca,

      pigliando più de la dolente ripa

      che ’l mal de l’universo tutto insacca.

      19 Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa

      nove travaglie e pene quant’ io viddi?

      e perché nostra colpa sì ne scipa?

      22 Come fa l’onda là sovra Cariddi,

      che si frange con quella in cui s’intoppa,

      così convien che qui la gente riddi.

      25 Qui vid’ i’ gente più ch’altrove troppa,

      e d’una parte e d’altra, con grand’ urli,

      voltando pesi per forza di poppa.

      28 Percoteansi ’ncontro; e poscia pur lì

      si rivolgea ciascun, voltando a retro,

      gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?».

      31 Così tornavan per lo cerchio tetro

      da ogne mano a l’opposito punto,

      gridandosi anche loro ontoso metro;

      34 poi si volgea ciascun, quand’ era giunto,

      per lo suo mezzo cerchio a l’altra giostra.

      E io, ch’avea lo cor quasi compunto,

      37 dissi: «Maestro mio, or mi dimostra

      che gente è questa, e se tutti fuor cherci

      questi chercuti a la sinistra nostra».

      40 Ed elli a me: «Tutti quanti fuor guerci

      sì de la mente in la vita primaia,

      che con misura nullo spendio ferci.

      43 Assai la voce lor chiaro l’abbaia,

      quando vegnono a’ due punti del cerchio

      dove colpa contraria li dispaia.

      46 Questi fuor cherci, che non han coperchio

      piloso al capo, e papi e cardinali,

      in cui usa avarizia il suo soperchio».

      49

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