La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке. Данте Алигьери

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La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке - Данте Алигьери Lettura classica

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furo immondi di cotesti mali».

      52 Ed elli a me: «Vano pensiero aduni:

      la sconoscente vita che i fé sozzi,

      ad ogne conoscenza or li fa bruni.

      55 In etterno verranno a li due cozzi:

      questi resurgeranno del sepulcro

      col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.

      58 Mal dare e mal tener lo mondo pulcro

      ha tolto loro, e posti a questa zuffa:

      qual ella sia, parole non ci appulcro.

      61 Or puoi, figliuol, veder la corta buffa

      d’i ben che son commessi a la fortuna,

      per che l’umana gente si rabuffa;

      64 ché tutto l’oro ch’è sotto la luna

      e che già fu, di quest’ anime stanche

      non poterebbe farne posare una».

      67 «Maestro mio», diss’ io, «or mi dì anche:

      questa fortuna di che tu mi tocche,

      che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?».

      70 E quelli a me: «Oh creature sciocche,

      quanta ignoranza è quella che v’offende!

      Or vo’ che tu mia sentenza ne ’mbocche.

      73 Colui lo cui saver tutto trascende,

      fece li cieli e diè lor chi conduce

      sì, ch’ogne parte ad ogne parte splende,

      76 distribuendo igualmente la luce.

      Similemente a li splendor mondani

      ordinò general ministra e duce

      79 che permutasse a tempo li ben vani

      di gente in gente e d’uno in altro sangue,

      oltre la difension d’i senni umani;

      82 per ch’una gente impera e l’altra langue,

      seguendo lo giudicio di costei,

      che è occulto come in erba l’angue.

      85 Vostro saver non ha contasto a lei:

      questa provede, giudica, e persegue

      suo regno come il loro li altri dèi.

      88 Le sue permutazion non hanno triegue:

      necessità la fa esser veloce;

      sì spesso vien chi vicenda consegue.

      91 Quest’ è colei ch’è tanto posta in croce

      pur da color che le dovrien dar lode,

      dandole biasmo a torto e mala voce;

      94 ma ella s’è beata e ciò non ode:

      con l’altre prime creature lieta

      volve sua spera e beata si gode.

      97 Or discendiamo omai a maggior pieta;

      già ogne stella cade che saliva

      quand’ io mi mossi, e ’l troppo star si vieta».

      100 Noi ricidemmo il cerchio a l’altra riva

      sovr’ una fonte che bolle e riversa

      per un fossato che da lei deriva.

      103 L’acqua era buia assai più che persa;

      e noi, in compagnia de l’onde bige,

      intrammo giù per una via diversa.

      106 In la palude va c’ha nome Stige

      questo tristo ruscel, quand’ è disceso

      al piè de le maligne piagge grige.

      109 E io, che di mirare stava inteso,

      vidi genti fangose in quel pantano,

      ignude tutte, con sembiante offeso.

      112 Queste si percotean non pur con mano,

      ma con la testa e col petto e coi piedi,

      troncandosi co’ denti a brano a brano.

      115 Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi

      l’anime di color cui vinse l’ira;

      e anche vo’ che tu per certo credi

      118 che sotto l’acqua è gente che sospira,

      e fanno pullular quest’ acqua al summo,

      come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira.

      121 Fitti nel limo dicon: «Tristi fummo

      ne l’aere dolce che dal sol s’allegra,

      portando dentro accidioso fummo:

      124 or ci attristiam ne la belletta negra».

      Quest’ inno si gorgoglian ne la strozza,

      ché dir nol posson con parola integra».

      127 Così girammo de la lorda pozza

      grand’ arco, tra la ripa secca e ’l mézzo,

      con li occhi vòlti a chi del fango ingozza.

      130 Venimmo al piè d’una torre al da sezzo.

      Canto VIII

      Io dico, seguitando, ch’assai prima

      che noi fossimo al piè de l’alta torre,

      li occhi nostri n’andar suso a la cima

      4 per due fiammette che i vedemmo porre,

      e un’altra da lungi render cenno,

      tanto ch’a pena il potea l’occhio tòrre.

      7 E io mi volsi al mar di tutto ’l senno;

      dissi: «Questo che dice? e che risponde

      quell’ altro foco? e chi son quei che ’l fenno?».

      10 Ed elli a me: «Su per le sucide onde

      già scorgere puoi quello che s’aspetta,

      se ’l fummo del pantan nol ti nasconde».

      13 Corda non pinse mai da sé saetta

      che sì corresse via per l’aere snella,

      com’ io vidi una nave piccioletta

      16 venir per l’acqua verso noi in quella,

      sotto ’l governo d’un sol galeoto,

      che gridava: «Or se’ giunta, anima fella!».

      19 «Flegiàs, Flegiàs, tu gridi a vòto»,

      disse lo mio segnore, «a questa volta:

      più non ci avrai che sol passando il loto».

      22 Qual è colui che grande inganno ascolta

      che li sia fatto, e poi se ne rammarca,

      fecesi Flegiàs ne l’ira accolta.

      25 Lo duca mio discese ne la barca,

      e poi mi fece entrare appresso lui;

      e sol quand’ io fui dentro parve carca.

      28 Tosto che ’l duca e io nel legno fui,

      segando se ne va l’antica prora

      de l’acqua più che non suol con altrui.

      31 Mentre noi corravam la morta gora,

      dinanzi mi si fece un pien di fango,

      e disse: «Chi se’ tu che vieni anzi

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