Tuareg. Alberto Vazquez-Figueroa
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу Tuareg - Alberto Vazquez-Figueroa страница 10
Si domandò poi perché fosse sempre stata importante per i tuareg quella legge non scritta dell’ospitalità che si anteponeva a tutte le altre leggi, perfino a quelle coraniche, e cercò di immaginare come sarebbe stato il deserto se il viaggiatore non avesse avuto l’assoluta sicurezza che ovunque fosse andato sarebbe stato ben accolto, aiutato e rispettato.
Raccontano le leggende che in una certa occasione due uomini si odiavano in tale modo che uno di loro, il più debole, si presentò improvvisamente nella jaima del suo nemico sollecitandone l’ospitalità. Rispettoso della tradizione, il targuf accettò il suo ospite, gli offrì la sua protezione e dopo qualche mese, stanco di sopportarlo e di dargli da mangiare, gli promise che poteva andare via in pace perché mai avrebbe attentato contro la sua vita. Da allora, e ciò sembrava accadere da moltissimi anni, quella era diventata una pratica abituale tra i tuareg che risolvevano in quel modo i loro dissensi e ponevano fine ai loro dissidi.
Come avrebbe reagito lui stesso, se Mubarrak si fosse recato al suo accampamento a chiedere ospitalità cercando di farsi perdonare la colpa commessa? Non poteva saperlo, ma probabilmente avrebbe agito come il targuf della leggenda, perché non sarebbe stato logico commettere un delitto per punire chi aveva commesso esattamente quello stesso delitto.
In quel tempo, in cui gli aerei solcavano gli altissimi cieli del deserto e i camion transitavano per le piste più conosciute spingendo la sua razza verso i più nascosti angoli della pianura, non era facile immaginare
per quanto tempo sarebbe vissuta ancora la sua razza in quella pianura, ma per Gacel era chiaro che, finché uno solo di loro fosse sopravvissuto sulle sabbie, sulle infinite pianure senza vita o sulle pietraie senza orizzonti della hamada, la legge dell’ospitalità doveva continuare a essere sacra, in caso contrario nessun viaggiatore si sarebbe più arrischiato ad attraversare il deserto.
Il delitto di Mubarrak non ammetteva discolpe e lui, Gacel Sayah, si sarebbe incaricato di far comprendere a quelli che non erano tuareg che nel Sahara le leggi della sua razza dovevano continuare a essere rispettate, perché erano leggi adatte all’ambiente, senza le quali non sarebbe esistita alcuna possibilità di sopravvivenza.
Arrivò il vento e con lui il giorno. Iene e sciacalli compresero che ormai avevano perso le loro scarse possibilità di mangiarsi un pezzo di antilope e si allontanarono, grugnendo e lamentandosi, verso le loro oscure tane, come tutti gli altri abitanti della notte: il fenec dalle lunghe orecchie, il topo del deserto, il serpente, la lepre e la volpe.
Quando il sole cominciò a riscaldare stavano già dormendo, conservando le loro forze fino a che le ombre della notte avessero nuovamente reso sopportabile la vita nella più desolata regione del paese perché lì, al contrario che nel resto del mondo, le attività si svolgevano di notte e il riposo di giorno.
Solamente l’uomo, nonostante i secoli, non era riuscito ad adattarsi completamente alla notte, e con il primo albeggiare, Gacel cercò il suo cammello che pascolava a poco più di un chilometro di distanza, lo prese per la cavezza e riprese, senza fretta, la sua marcia verso ovest.
IL posto militare di Adoras occupava un’oasi a forma di triangolo, poco più di un centinaio di palme e quattro pozzi, proprio nel cuore dell’estesissimo fiume di dune, per cui poteva considerarsi un autentico miracolo di sopravvivenza minacciato costantemente dalla sabbia che lo accerchiava proteggendolo dal vento e trasformandolo, proprio per questo, in una specie di forno che a mezzogiorno raggiungeva a volte i sessanta gradi centigradi.
Le tre dozzine di soldati che componevano la guarnigione passavano la metà della loro vita maledicendo la loro sorte all’ombra delle palme e l’altra metà spalando sabbia nel disperato sforzo di farla retrocedere per mantenere libera la stretta pista di terra che permetteva di comunicare col mondo esterno e di ricevere provviste e corrispondenza una volta ogni due mesi.
Da quando trent’anni prima un colonnello impazzito aveva avuto l’assurda idea che l’esercito dovesse controllare quei quattro pozzi che erano, d’altra parte, gli unici esistenti in quasi cento chilometri intorno, Adoras era divenuto il «destino maledetto», dapprima solo per le truppe coloniali, in seguito anche per gli indigeni come dimostravano le tombe che si elevavano all’estremità del palmeto, nove dovute a «morte naturale» e sei al suicidio di chi non era riuscito a sopportare l’idea di sopravvivere in un simile inferno.
Quando un tribunale era incerto se mandare un colpevole al muro, condannarlo all’ergastolo o commutargli la pena in quindici anni di servizio obbligatorio ad Adoras, aveva piena coscienza di quello che faceva, per quanto all’inizio il colpevole considerasse che tale commutazione gli fosse favorevole.
Per il capitano Kaleb-el-Fasi, comandante in capo della guarnigione e autorità suprema in una regione estesa quanto metà Italia, ma nella quale vivevano poco più di ottocento persone, i sette anni che trascorreva ad Adoras costituivano la punizione per aver ucciso un giovane tenente che aveva minacciato di svelare le irregolarità dei conti del reggimento nella sua precedente destinazione. Era stato condannato a morte, ma suo zio, il famoso generale Obeid-el-Fasi, eroe dell’indipendenza, grazie al fatto che era stato uno dei suoi aiutanti e uomini di fiducia durante la guerra di liberazione, aveva ottenuto che gli si permettesse di riabilitarsi al comando di un distaccamento militare dove non si poteva inviare nessun altro militare di carriera che non si trovasse nelle stesse condizioni.
Tre anni prima, basandosi unicamente sulle informazioni che erano in suo possesso, il capitano Kaleb era giunto alla conclusione che i componenti del suo reggimento erano colpevoli di più di una ventina di omicidi, di quindici violenze carnali, di sessanta rapine a mano armata e di uno svariato numero di furti, di truffe, di diserzioni e di reati di minore importanza per cui, per dominare una simile truppa, aveva dovuto dare fondo a tutta la sua esperienza, astuzia e violenza. Il
rispetto che infondeva era superato soltanto da quello che imponeva il suo uomo di fiducia, il sergente maggiore Malik-el-Haideri, un uomo magro, piccolo e apparentemente debole e infermo ma così crudele, astuto e valido che era riuscito a controllare una tale combriccola di bestie sopravvivendo a cinque tentativi di omicidio e a due duelli al coltello.
Malik era la «morte naturale» più normale ad Adoras e due dei suicidi erano dovuti a un’estrema insofferenza nei suoi confronti.
Ora, seduto in cima alla più alta duna che dominava l’oasi da est, una vecchia ghourds di più di cento metri di altezza, dorata dal tempo e indurita nel suo interno tanto da trasformare la sabbia quasi in pietra, il sergente Malik osservava senza interesse come i suoi uomini spalavano sabbia dalle giovani dune che minacciavano di sommergere il pozzo più lontano, fino a quando mise a fuoco il binocolo verso il solitario cavaliere che aveva fatto la sua apparizione montando un bianco mehari e che avanzava senza fretta in direzione del posto militare. Si domandò che cosa cercasse un targuf in quei luoghi fuori mano, quando ormai da sei anni avevano smesso di frequentare i pozzi di Adoras evitando ogni contatto con i loro occupanti. Le carovane beduine arrivavano sempre più raramente, facevano rifornimento d’acqua, riposavano un paio di giorni nel punto più appartato dell’oasi cercando di nascondere le loro donne e di non frequentare assolutamente i soldati e riprendevano la marcia sospirando di sollievo che non ci fosse stato alcun incidente. Ma i tuareg no. I tuareg quando sostavano nell’oasi, assumevano un atteggiamento altero e sfrontato e permettevano che le loro donne girassero liberamente con il viso scoperto e le braccia e gambe nude, indifferenti al fatto che quegli uomini non toccavano una donna da anni, e imbracciavano i fucili e le loro affilate sciabole quando qualcuno cercava di eccedere.
Da quando due guerrieri e tre soldati morirono in una rissa, i Figli del Vento avevano preferito