Tranquilla Cittadina Di Provincia. Stefano Vignaroli
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Visto che eravamo sole, in quanto Mauro era uscito a prendere della legna per il camino, le confessai ciò che credo già sapesse.
«È stata Aurora Della Rosa a inculcare le parole nella mia mente, ma di questo non ho fatto mai parola con nessuno. Credo che solo tu mi possa capire. In effetti, dopo aver avuto il rapporto con la maga, io sono cambiata, ho delle percezioni che prima non mi sarei neanche sognata di avere. Se mi concentro, vedo l'aura delle persone, e ho l'impressione di poter anche intuire i pensieri di chi mi sta di fronte.»
«Sono poteri, mia cara Caterina, che ognuno di noi ha in maniera innata. Le frontiere della mente umana sono ancora inesplorate. C'è chi impara a far uso di certe capacità e chi invece le tralascia, non si allena a utilizzarle e pertanto è come se non le possedesse.»
«Comunque sia, ritengo che sia stata Aurora Della Rosa a favorire lo sviluppo in me di queste percezioni, nuove e fantastiche per me, e così ho deciso che mia figlia si chiamerà Aurora, in suo onore e in sua memoria, e anche perché mi sento in parte responsabile della sua morte, o quanto meno di non aver fatto abbastanza per evitarla.»
Vidi che, sentendo quel nome, gli occhi di Clara erano diventati lucidi.
«Tutto questo ti fa onore, Caterina. Di certo la tua bambina, indipendentemente dal nome che le darai, avrà una personalità eccezionale, e ce lo sapremo ridire. Non credere che, per via della lontananza, non venga a conoscere tua figlia! Non saranno certo qualche centinaio di chilometri a impedirmelo!»
Mauro era rientrato con una bracciata di legna, tagliata a ciocchi, riversandola vicino al caminetto.
«Se le chiacchiere delle comari sono finite, gradirei salutare anch'io la mia collega, prima che parta per una remota regione del Centro Italia. La Polizia di Stato laggiù sarà ancora rimasta all'età della pietra!»
«Oh, di certo una Lamborghini Gallardo in dotazione non ce l'hanno», dissi, imitando il suo tono sarcastico. «Ma nulla mi vieterà di richiedere la tua specifica collaborazione, quando sarò invischiata in un'indagine particolarmente intricata.»
«Ah, per come te le tiri dietro tu, non credo che tarderai molto a chiamarmi!»
Mi fermai a cena da loro e, tra una battuta e l'altra, un bicchiere di vino rosso, una grappa e un punch al mandarino, risalii in auto con un tasso alcolemico superiore al consentito, ma felice di aver passato una serata tra veri amici.
Decisi di ritornare nelle Marche non in aereo, ma affrontando il lungo viaggio con la mia auto, così anche Furia avrebbe viaggiato con me.
Autunno/inverno 2009/2010
VERONICA…
L’autunno è ormai avanzato, anche se la temperatura è anc ora gradevole. Le giornate si sono accorciate e già alle 20,30 è notte fonda. La ragazza, esile anche se piuttosto alta, dai capelli biondi corti, tagliati a maschietto, avanza lentamente, claudicante, aiutandosi con una stampella. Nella mano libera dalla stampella, un sacchettino di carta contenente la sua frugale cena. Raggiunge la tettoia della fermata dell’autobus, all’inizio di Viale Trieste e si siede a fatica sulla panchina. Si guarda intorno per assicurarsi che non ci sia alcun malintenzionato in circolazione. L’unico passante è il veterinario che continua ad abitare in quel quartiere, forse perché ha casa e studio lì e, al contrario della maggior parte delle famiglie italiane non ha ceduto alla tentazione di trasferirsi dall’altra parte della città. Fortunatamente una presenza rassicurante, che a quell’ora fa fare la passeggiata serale al suo simpatico cagnolino bianco. La ragazza consuma il suo panino in pochi morsi, poi cerca il pacchetto delle sigarette, ma si accorge che quello che ha in tasca è ormai vuoto. Leonardo Albini si materializza dall’oscurità come solo lui sa fare, come fuoriuscisse all’improvviso da un mantello d’invisibilità. I suoi movimenti non riescono a sfuggire solamente ad un’altra persona, la Dottoressa Zanardi, la Commissario del Distretto di Polizia, che immancabilmente è sul marciapiede dell’altro lato della strada, appoggiata con le spalle al muro mentre finge di giocherellare con le chiavi della sua auto. Leonardo si siede nella panchina accanto alla ragazza e le depone sulle ginocchia delle cartine e del tabacco. Lei si fa la sua sigaretta e se l’accende.
«Sei sicura di voler sapere? Credimi, la vendetta non paga.»
«Ma lascia in bocca un buon sapore, come questo tabacco.»
Leonardo scrive un nome e un indirizzo su una cartina, lasciandola in mano alla ragazza.
«È una persona in vista. Sei sicura che la targa fosse quella?»
«Ce l’ho stampata nella mente. Mi ha investito lì, su quelle strisce pedonali, ed è scappato via. Ma prima di sprofondare nel buio ho letto bene quella targa.»
«E perché non l’hai riferito alla polizia?»
«L’ho fatto, eccome, dopo che mi sono risvegliata dal coma. Hanno controllato e mi hanno detto che forse avevo visto o ricordavo male, sulla carrozzeria non c’era alcun segno relativo all’incidente. E certo, nel frattempo il tipo avrebbe avuto tutto il tempo di far ripulire l’auto! E poi ormai della polizia non mi fido più da tempo.»
Solo un leggero accento tradisce l’origine slava della ragazza, di nome Anna. Più di sedici anni fa era giunta dalla Serbia insieme ai suoi genitori, era una bimba di poco più di 4 anni. Suo padre, per sbarcare il lunario, aveva subito indotto la moglie alla prostituzione. La donna era giovane e attraente e il quartiere si prestava bene a quel tipo di “business”. Ma una sera il papà di Anna, ubriaco fradicio, cominciò ad accusare sua moglie di non mettere giù tutti gli introiti per la famiglia ma di tenersi qualcosa per le sue civetterie, per i vestiti, per le scarpe, per le calze. La lite finì con una coltellata. Anna vide il padre scappare, per non fare mai più ritorno, mentre la madre giaceva sul pavimento in preda a un’abbondante emorragia. La bambina sapeva digitare i numeri di emergenza sul cellulare. Riuscì a comporre il 118 e far giungere i soccorsi in tempo. Ma la polizia non rintracciò mai il padre, che probabilmente era riuscito a ritornare al suo paese d’origine. La sua mamma tirò avanti a malapena, facendo lavoretti improvvisati, come donna delle pulizie o badante per gli anziani, senza più vendere il suo corpo, ma guadagnando molto meno. Anna aveva 14 anni quando la sua mamma, stanca della vita, fece l’insano gesto. Scese in strada avanti casa, si versò della benzina addosso e si diede fuoco. Una fine orribile, di cui fortunatamente Anna non fu testimone diretta. Tornando da scuola, vide una specie di fantoccio annerito sul marciapiede, come se qualcuno avesse bruciato una grossa bambola, e fece fatica a capire che quello era il corpo della sua povera mamma. Un capannello di curiosi intorno a quel tizzone ancora fumante, ma nessuno che avesse preso il coraggio di cercare di soccorrerla. E il tutto era avvenuto in pieno giorno.
Anna fu affidata a una casa famiglia, ma se ne scappò subito, andandosene a vivere per strada e iniziando a fare lo stesso lavoro che aveva visto fare alla sua mamma quando lei era piccina, con il risultato di guadagnare quel poco per poter mangiare. Spesso, quando i suoi “clienti” vedevano che era poco più che una bambina, o se la davano a gambe levate per paura di essere accusati di pedofilia, o la ricompensavano al massimo con 20 Euro, tanto era una ragazzina, le bastava poco per vivere, giusto quanto bastava per comprarsi da mangiare.
«Vai da un avvocato, portagli quel nome e ci penserà lui a farti risarcire», le consiglia Leonardo.
La ragazza scuote la testa.
«Non ho soldi da dare a un avvocato. Quel