La coscienza di Zeno. Italo Svevo
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Читать онлайн книгу La coscienza di Zeno - Italo Svevo страница 21
Mi arrestai per un istante sulle scale, stupito io stesso del mio atto assolutamente non premeditato. V’era ancora la possibilità di ritornare a quella porta che avevo chiusa dietro di me, suonare il campanello e domandar di poter dire ad Ada quelle parole ch’essa sulla propria mano aveva cercato invano? Non mi parve! Avrei mancato di dignità dimostrando troppa impazienza. Eppoi avendola prevenuta che sarei ritornato le avevo preannunziate le mie spiegazioni. Non dipendeva ora che da lei di averle, procurandomi l’opportunità di dargliele. Ecco che avevo finalmente cessato di raccontare delle storie a tre fanciulle e avevo invece baciata la mano ad una sola di esse.
Ma il resto della giornata fu piuttosto sgradevole. Ero inquieto e ansioso. Io andavo dicendomi che la mia inquietudine provenisse solo dall’impazienza di veder chiarita quell’avventura. Mi figuravo che se Ada m’avesse rifiutato, io avrei potuto con tutta calma correre in cerca di altre donne. Tutto il mio attaccamento per lei proveniva da una mia libera risoluzione che ora avrebbe potuto essere annullata da un’altra che la cancellasse! Non compresi allora che per il momento a questo mondo non v’erano altre donne per me e che abbisognavo proprio di Ada.
Anche la notte che seguì mi sembrò lunghissima; la passai quasi del tutto insonne. Dopo la morte di mio padre, io avevo abbandonate le mie abitudini di nottambulo e ora, dacché avevo risolto di sposarmi, sarebbe stato strano di ritornarvi. M’ero perciò coricato di buon’ora col desiderio del sonno che fa passare tanto presto il tempo.
Di giorno io avevo accolte con la più cieca fiducia le spiegazioni di Ada su quelle sue tre assenze dal suo salotto nelle ore in cui io vi era, fiducia dovuta alla mia salda convinzione che la donna seria ch’io avevo scelta non sapesse mentire. Ma nella notte tale fiducia diminuì. Dubitavo che non fossi stato io ad informarla che Alberta – quando Augusta aveva rifiutato di parlare – aveva addotta a sua scusa quella visita alla zia. Non ricordavo bene le parole che le avevo dirette con la testa in fiamme, ma credevo di esser certo di averle riferita quella scusa. Peccato! Se non l’avessi fatto, forse lei, per scusarsi, avrebbe inventato qualche cosa di diverso e io, avendola còlta in bugia, avrei già avuto il chiarimento che anelavo.
Qui avrei pur potuto accorgermi dell’importanza che Ada aveva oramai per me, perché per quietarmi io andavo dicendomi che se essa non m’avesse voluto, avrei rinunziato per sempre al matrimonio. Il suo rifiuto avrebbe dunque mutata la mia vita. E continuavo a sognare confortandomi nel pensiero che forse quel rifiuto sarebbe stato una fortuna per me. Ricordavo quel filosofo greco che prevedeva il pentimento tanto per chi si sposava quanto per chi restava celibe. Insomma non avevo ancora perduta la capacità di ridere della mia avventura; la sola capacità che mi mancasse era quella di dormire.
Presi sonno che già albeggiava. Quando mi destai era tanto tardi che poche ore ancora mi dividevano da quella in cui la visita in casa Malfenti m’era permessa. Perciò non vi sarebbe stato più bisogno di fantasticare e raccogliere degli altri indizii che mi chiarissero l’animo di Ada. Ma è difficile di trattenere il proprio pensiero dall’occuparsi di un argomento che troppo c’importa. L’uomo sarebbe un animale più fortunato se sapesse farlo. In mezzo alle cure della mia persona che quel giorno esagerai, io non pensai ad altro: Avevo fatto bene baciando la mano di Ada o avevo fatto male di non baciarla anche sulle labbra?
Proprio quella mattina ebbi un’idea che credo m’abbia fortemente danneggiato privandomi di quel poco d’iniziativa virile che quel mio curioso stato d’adolescenza m’avrebbe concesso. Un dubbio doloroso: e se Ada m’avesse sposato solo perché indottavi dai genitori, senz’amarmi ed anzi avendo una vera avversione per me? Perché certamente tutti in quella famiglia, cioè Giovanni, la signora Malfenti, Augusta e Alberta mi volevano bene; potevo dubitare della sola Ada. Sull’orizzonte si delineava proprio il solito romanzo popolare della giovinetta costretta dalla famiglia ad un matrimonio odioso. Ma io non l’avrei permesso. Ecco la nuova ragione per cui dovevo parlare con Ada, anzi con la sola Ada. Non sarebbe bastato di dirigerle la frase fatta che avevo preparata. Guardandola negli occhi le avrei domandato: «Mi ami tu?» E se essa m’avesse detto di sì, io l’avrei serrata fra le mie braccia per sentirne vibrare la sincerità.
Così mi parve d’essermi preparato a tutto. Invece dovetti accorgermi d’esser arrivato a quella specie d’esame dimenticando di rivedere proprio quelle pagine di testo di cui mi sarebbe stato imposto di parlare.
Fui ricevuto dalla sola signora Malfenti che mi fece accomodare in un angolo del grande salotto e si mise subito a chiacchierare vivacemente impedendomi persino di domandare delle notizie delle fanciulle. Ero perciò alquanto distratto e mi ripetevo la lezione per non dimenticarla al momento buono. Tutt’ad un tratto fui richiamato all’attenzione come da uno squillo di tromba. La signora stava elaborando un preambolo. M’assicurava dell’amicizia sua e del marito e dell’affetto di tutta la famiglia loro, compresavi la piccola Anna. Ci conoscevamo da tanto tempo. Ci eravamo visti giornalmente da quattro mesi.
– Cinque! – corressi io che ne avevo fatto il calcolo nella notte, ricordando che la mia prima visita era stata fatta d’autunno e che ora ci trovavamo in piena primavera.
– Sì! Cinque! – disse la signora pensandoci su come se avesse voluto rivedere il mio calcolo. Poi, con aria di rimprovero: – A me sembra che voi compromettiate Augusta.
– Augusta? – domandai io credendo di aver sentito male.
– Sì! – confermò la signora. – Voi la lusingate e la compromettete.
Ingenuamente rivelai il mio sentimento.
– Ma io l’Augusta non la vedo mai.
Essa ebbe un gesto di sorpresa e (o mi parve?) di sorpresa dolorosa.
Io intanto tentavo di pensare intensamente per arrivare presto a spiegare quello che mi sembrava un equivoco di cui però subito intesi l’importanza. Mi rivedevo in pensiero, visita per visita, durante quei cinque mesi, intento a spiare Ada. Avevo suonato con Augusta e, infatti, talvolta avevo parlato più con lei, che mi stava a sentire, che non con Ada, ma solo perché essa spiegasse ad Ada le mie storie accompagnate dalla sua approvazione. Dovevo parlare chiaramente con la signora e dirle delle mie mire su Ada? Ma poco prima io avevo risolto di parlare con la sola Ada e d’indagarne l’animo. Forse se avessi parlato chiaramente con la signora Malfenti, le cose sarebbero andate altrimenti e cioè non potendo sposare Ada non avrei sposata neppure Augusta. Lasciandomi dirigere dalla risoluzione presa prima ch’io avessi veduta la signora Malfenti e, sentite le cose sorprendenti ch’essa m’aveva dette, tacqui.
Pensavo intensamente, ma perciò con un po’ di confusione. Volevo intendere, volevo indovinare e presto. Si vedono meno bene le cose quando si spalancano troppo gli occhi. Intravvidi la possibilità che volessero buttarmi fuori di casa. Mi parve di poter escluderla. Io ero innocente, visto che non facevo la corte ad Augusta ch’essi volevano proteggere. Ma forse m’attribuivano delle intenzioni su Augusta per non compromettere Ada. E perché proteggere a quel modo Ada, che non era più una fanciullina? Io ero certo di non averla afferrata per le chiome che in sogno. In realtà non avevo che sfiorata la sua mano con le mie labbra. Non volevo mi si interdicesse l’accesso a quella casa, perché prima di abbandonarla volevo parlare con Ada. Perciò con voce tremante domandai:
– Mi dica Lei, signora, quello che debbo fare per non spiacere a nessuno.
Essa esitò. Io avrei preferito di aver da fare con Giovanni che pensava urlando. Poi, risoluta, ma con uno sforzo di apparire cortese che si manifestava evidente nel