Decameron. Giovanni Boccaccio
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Читать онлайн книгу Decameron - Giovanni Boccaccio страница 11
Fu in Lunigiana, paese non molto da questo lontano, un monistero già di santità e di monaci più copioso che oggi non è, nel quale tra gli altri era un monaco giovane, il vigore del quale né la freschezza né i digiuni né le vigilie potevano macerare. Il quale per ventura un giorno in sul mezzodì, quando gli altri monaci tutti dormivano, andandosi tutto solo da torno alla sua chiesa, la quale in luogo assai solitario era, gli venne veduta una giovinetta assai bella, forse figliuola d’alcuno de’ lavoratori della contrada, la quale andava per li campi certe erbe cogliendo: né prima veduta l’ebbe, che egli fieramente assalito fu dalla concupiscenza carnale. Per che, fattolesi più presso, con lei entrò in parole e tanto andò d’una in altra, che egli si fu accordato con lei e seco nella sua cella ne la menò, che niuna persona se n’accorse.
E mentre che egli, da troppa volontà trasportato, men cautamente con le’ scherzava, avvenne che l’abate, da dormir levatosi e pianamente passando davanti alla cella di costui, sentio lo schiamazzio che costoro insieme faceano; e per conoscere meglio le voci s’accostò chetamente all’uscio della cella a ascoltare, e manifestamente conobbe che dentro a quella era femina e tutto fu tentato di farsi aprire; poi pensò di volere tenere in ciò altra maniera, e tornatosi alla sua camera aspettò che il monaco fuori uscisse. Il monaco, ancora che da grandissimo suo piacere e diletto fosse con questa giovane occupato, pur nondimeno tuttavia sospettava; e parendogli aver sentito alcuno stropicio di piedi per lo dormitoro, a un piccol pertugio pose l’occhio e vide apertissimamente l’abate stare a ascoltarlo, e molto ben comprese l’abate aver potuto conoscere quella giovane esser nella sua cella. Di che egli, sappiendo che di questo gran pena gli dovea seguire, oltre modo fu dolente: ma pur, sanza del suo cruccio niente mostrare alla giovane, prestamente seco molte cose rivolse, cercando se a lui alcuna salutifera trovar ne potesse. E, occorsagli una nuova malizia, la quale al fine imaginato da lui dirittamente pervenne, e faccendo sembiante che esser gli paresse stato assai con quella giovane, le disse: «Io voglio andare a trovar modo come tu esca di qua entro senza esser veduta; e per ciò statti pianamente infino alla mia tornata.»
E uscito fuori e serrata la cella con la chiave, dirittamente se n’andò alla camera dell’abate; e, presentatagli quella secondo che ciascun monaco facea quando fuori andava, con un buon volto disse: «Messere, io non potei stamane farne venire tutte le legne le quali io aveva fatte fare, e per ciò con vostra licenzia io voglio andare al bosco e farlene venire.»
L’abate, per potersi più pienamente informare del fallo commesso da costui, avvisando che questi accorto non se ne fosse che egli fosse stato da lui veduto, fu lieto di tale accidente e volentier prese la chiave e similmente gli diè licenzia. E come il vide andato via, cominciò a pensare qual far volesse più tosto: o in presenza di tutti i monaci aprir la cella di costui e far loro vedere il suo difetto, acciò che poi non avesser cagione di mormorare contro di lui quando il monaco punisse, o di voler prima da lei sentire come andata fosse la bisogna. E pensando seco stesso che questa potrebbe esser tal femina o figliuola di tale uomo, che egli non le vorrebbe aver fatta quella vergogna d’averla a tutti i monaci fatta vedere, s’avisò di voler prima veder chi fosse e poi prender partito; e chetamente andatose alla cella, quella aprì e entrò dentro e l’uscio richiuse. La giovane vedendo venir l’abate tutta smarrì, e temendo di vergogna cominciò a piagnere.
Messer l’abate, postole l’occhio adosso e veggendola bella e fresca, ancora che vecchio fosse sentì subitamente non meno cocenti gli stimoli della carne che sentiti avesse il suo giovane monaco; e fra se stesso cominciò a dire: «Deh, perché non prendo io del piacere quando io ne posso avere, con ciò sia cosa che il dispiacere e la noia, sempre che io ne vorrò, sieno apparecchiati? Costei è una bella giovane e è qui che niuna persona del mondo il sa: se io la posso recare a fare i piacer miei, io non so perché io nol mi faccia. Chi il saprà? Egli nol saprà persona mai, e peccato celato è mezzo perdonato. Questo caso non avverrà forse mai più: io estimo ch’egli sia gran senno a pigliarsi del bene, quando Domenedio ne manda altrui.»
E così dicendo e avendo del tutto mutato proposito da quello per che andato v’era, fattosi più presso alla giovane, pianamente la cominciò a confortare e a pregarla che non piagnesse; e d’una parola in un’altra procedendo, a aprirle il suo disidero pervenne. La giovane, che non era di ferro né di diamante, assai agevolmente si piegò a’ piaceri dell’abate: il quale, abbracciatala e basciatala più volte, in su il letticello del monaco salitosene, avendo forse riguardo al grave peso della sua dignità e alla tenera età della giovane, temendo forse di non offenderla per troppa gravezza, non sopra il petto di lei salì ma lei sopra il suo petto pose, e per lungo spazio con lei si trastullò.
Il monaco, che fatto avea sembiante d’andare al bosco, essendo nel dormentoro occultato, come vide l’abate solo nella sua cella entrare, così tutto rassicurato estimò il suo avviso dovere avere effetto; e veggendol serrar dentro, l’ebbe per certissimo. E uscito di là dove era, chetamente n’andò a un pertugio per lo quale ciò che l’abate fece o disse e udì e vide. Parendo all’abate essere assai con la giovanetta dimorato, serratala nella cella, alla sua camera se ne tornò; e dopo alquanto, sentendo il monaco e credendo lui esser tornato dal bosco, avvisò di riprenderlo forte e di farlo incarcerare acciò che esso solo possedesse la guadagnata preda: e fattoselo chiamare, gravissimamente e con mal viso il riprese e comandò che fosse in carcere messo.
Il monaco prontissimamente rispose: «Messere, io non sono ancora tanto all’Ordine di san Benedetto stato, che io possa avere ogni particularità di quello apparata; e voi ancora non m’avevate monstrato che’ monaci si debban far dalle femine premiere come da’ digiuni e dalle vigilie; ma ora che mostrato me l’avete, vi prometto, se questa mi perdonate, di mai più in ciò non peccare, anzi farò sempre come io a voi ho veduto fare.»
L’abate, che accorto uomo era, prestamente conobbe costui non solamente aver più di lui saputo, ma veduto ciò che esso aveva fatto; per che, dalla sua colpa stessa rimorso, si vergognò di fare al monaco quello che egli, sì come lui, aveva meritato. E perdonatogli e impostogli di ciò che veduto aveva silenzio, onestamente misero la giovanetta di fuori e poi più volte si dee credere ve la facesser tornare.
NOVELLA QUINTA
La marchesana di Monferrato con un convito di galline e con alquante leggiadre parolette reprime il folle amore del re di Francia.
La novella da Dioneo raccontata prima con un poco di vergogna punse i cuori delle donne ascoltanti e con onesto rossore nel loro viso apparito ne diede segno; e poi quella, l’una l’altra guardando, appena del rider potendosi abstenere, soghignando ascoltarono. Ma venuta di questa la fine, poi che lui con alquante dolci parolette ebber morso, volendo mostrare che simili novelle non fossero tra donne da raccontare, la reina, verso la Fiammetta che appresso di lui sopra l’erba sedeva rivolta, che essa l’ordine seguitasse le comandò. La quale vezzosamente e con lieto viso incominciò.
Sì perché mi piace noi essere entrati a dimostrare con le novelle quanta sia la forza delle belle e pronte risposte, e sì ancora perché quanto negli uomini è gran senno il cercar d’amar sempre donna di più alto legnaggio che egli non è, così nelle donne è grandissimo avvedimento il sapersi guardare dal prendersi dell’amore di maggiore uomo che ella non è, m’è caduto nell’animo, donne mie belle, di mostrarvi, nella novella che a me tocca di dire, come e con opere e con parole una gentil donna sé da questo guardasse e altrui ne rimovesse.
Era il marchese di Monferrato, uomo d’alto valore, gonfaloniere della Chiesa, oltremare passato in un general passaggio da’ cristiani fatto con armata mano. E del suo valore ragionandosi nella corte del re Filippo il bornio, il quale a quello medesimo passaggio andar di Francia s’aparecchiava, fu per un cavalier detto non esser sotto le stelle una simile coppia a quella del marchese e della sua donna: però che, quanto tra’ cavalieri era d’ogni virtù il marchese famoso, tanto la donna tra tutte l’altre donne del mondo era bellissima e valorosa. Le quali parole per sì fatta maniera nell’animo del re di Francia