I figli dell'aria. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу I figli dell'aria - Emilio Salgari страница 20
– Come sapete questo? – esclamò Fedoro.
– Lo so e basta, è vero, signor Rokoff? – disse il capitano. – Più tardi mi racconterete le vostre avventure; per ora occupiamoci del mio «Sparviero».
I PRODIGI DELL’ARIA LIQUIDA
Il capitano si alzò, fece il giro del ponte guardando l’immensa pianura che si estendeva sotto la macchina volante, si fermò un istante dinanzi ai barometri ed ai termometri appesi alla balaustrata, scambiò alcune parole col macchinista in una lingua sconosciuta, poi tornando verso la tavola, accese una sigaretta e si sedette.
– Ditemi, signori miei, – disse, guardando con aria di grande condiscendenza i suoi due compagni di viaggio – siete soddisfatti delle evoluzioni compiute dal mio «Sparviero»?
– È una macchina perfetta, davvero stupefacente – disse Rokoff con convinzione.
– È lo scioglimento della questione della navigazione aerea – aggiunse Fedoro.
– Sì, il vero scioglimento – disse il capitano, – Da parecchi lustri, gli scienziati studiano invano per trovare un pallone dirigibile che permetta all’uomo di solcare l’aria con piena sicurezza e senza porsi in balia delle correnti aeree così mutabili e sovente così pericolose. Quali risultati hanno ottenuto i loro studi? Nessuno di certo che sia per lo meno pratico. E sapete il perché? Perché hanno trascurato la meccanica, ostinandosi invece coll’idrogeno. Le innumerevoli catastrofi che si sono susseguite dall’innalzamento delle prime mongolfiere agli ultimi e più perfezionati palloni, non li hanno ancora persuasi che col gas non si deve avere troppa sicurezza. Si è fatto un gran chiasso intorno agli esperimenti di Giffard e di Renard coi loro palloni dirigibili, perché quest’ultimo era riuscito, con tempo calmo, a compiere un breve tragitto tornando al punto di partenza; ha sollevato immenso entusiasmo il brasiliano Santos Dumont; si attendono meraviglie dal pallone del conte da Schio, un italiano, e da altri ancora. Ebbene si provino costoro a tentare una lunga traversata, a sfidare venti impetuosi, ad affrontare uragani. I loro palloni, nonostante le loro eliche e la forza delle loro macchine, verranno abbattutti, squilibrati, trascinati e altre catastrofi si seguiranno.
– Lo credo anch’io – disse Rokoff.
– Per molto tempo – proseguì il capitano – mi sono pur io ostinato coi palloni dirigibili. Ho fatto costruire fusi semplici e accoppiati, ho fatto perfezionare macchine a petrolio ed a benzina, spendendo somme enormi e senza risultati pratici. Eppure oggi abbiamo motori potenti e leggeri, abbiamo metalli del pari leggeri e solidi quanto il ferro, abbiamo mille perfezionamenti nella meccanica e anche delle forze che ieri ancora erano sconosciute e che se fossero state note trentanni or sono, avrebbero segnato un completo trionfo per Spencer e per Kaufmann.
– Chi sono costoro? – chiese Fedoro, il quale ascoltava attentamente il capitano.
– È qui che vi aspettavo per dimostrarvi che la questione della navigazione aerea, avrebbe potuto essere stata risolta da trenta e più anni. Nel 1868, all’esposizione del classico Palazzo di cristallo di Londra, fra i vari palloni più o meno dirigibili, venivano presentate due macchine volanti: una ideata da Spencer, l’altra da Kaufmann. Salvo alcune modificazioni da me introdotte, rassomigliavano nelle forme al mio «Sparviero». Provate su corde tese, lunghe quattrocento metri, e trattenute da pulegge scorrenti, avevano dato risultati stupefacenti. Che fossero perfette, io non lo credo, ma se lo Spencer e Kaufmann avessero proseguito i loro studi, io sono convinto che a quest’ora gli uomini volerebbero per l’aria gareggiando cogli uccelli. Che cosa ho fatto io? Ho modificato le loro macchine, scartando però i loro motori a carbone, troppo pesanti e poco maneggiabili. Al ferro ho surrogato l’alluminio, molto più leggero ed egualmente resistente; al carbone… una forza ben più poderosa, poco costosa, ieri ancora ignota e che domani metterà in azione locomotive, corazzate, telai, automobili e che risolverà tutti i problemi della dinamica. Questa forza me l’ha data l’aria liquida.
– L’aria liquida! – esclamarono Rokoff e Fedoro.
– Quando Tripler pel primo riuscì ad ottenerla, non si immaginava certo di aver scoperta una forza che porterà la rivoluzione nel mondo. Solamente molto più tardi doveva accorgersi dell’importanza straordinaria della sua scoperta. Pensate che l’aria liquida ha circa cento volte il potere espansivo del vapore e che essa comincia a produrre la sua forza nel medesimo istante in cui è esposta all’aria esterna. Per ottenere il vapore è necessario che l’acqua raggiunga una temperatura di 212° Fahrenheit, ossia che se l’acqua entra nelle caldaie a 50° di calore, se ne devono immettere in essa altri 162° prima che possa fornire una libbra di pressione. L’aria liquida invece ne dà venti. Valendomi dunque degli studi fatti dal Tripler e da altri scienziati, e specialmente dall’Estergren, che ha già applicato l’aria liquida a molti meravigliosi congegni, ho costruito un motore d’una solidità a tutta prova, d’una leggerezza unica, il quale mi fornisce a esuberanza la forza necessaria per far muovere le ali del mio «Sparviero» e le eliche. Come vedete, una cosa semplicissima. Un’altra macchina, costruita nelle officine dell’Estergren, mi fornisce l’aria necessaria con una spesa modicissima ed in tale quantità da non saper che cosa farne, perché in una sola ora me ne procura tanta da bastarmi per una settimana. Ma vi è di più. Fa troppo caldo? Metto in azione il mio ventilatore e ottengo in pochi istanti una temperatura da Siberia. Ho dei viveri da conservare? Li metto nelle celle refrigeranti del mio fuso e li gelo ed ecco perché posso farvi assaggiare delle trote pescate due mesi or sono nel San Lorenzo o dei pasticci acquistati a San Francisco o della frutta raccolta nelle isole dell’Oceano Pacifico. Voglio sparare il cannoncino che tengo là dietro la macchina? È l’aria liquida che me ne dà la forza, senza ricorrere alla polvere. Voglio far saltare mezza città? Non faccio altro che immergere un pezzo di lana nella mia aria liquida ed ecco che infiammandosi esplode con tutta la terribile violenza del cotone fulminante. A suo tempo, se le circostanze lo esigeranno, ve ne darò la prova.
– Ma da dove venite voi? Chi siete? – domandò Rokoff, che lo guardava quasi con terrore.
– Da dove vengo? Dall’Oceano Pacifico, per ora. Chi sono io? Il capitano dello «Sparviero». Venite: ecco delle cose interessanti da vedere. Le tombe dei Ming! Un’altra meraviglia che vale veramente la pena di guardare con attenzione.
Quello strano personaggio si era vivamente alzato dirigendosi verso la prora, dove la grande elica che serviva di rimorchio e fors’anche di direzione, turbinava velocemente.
Rokoff e Fedoro, che non si erano ancora rimessi dal loro stupore, stettero un momento seduti, guardandosi l’un l’altro, poi seguirono il capitano senza parlare.
Lo «Sparviero» si dirigeva verso una collina verdeggiante, sulla quale si vedevano biancheggiare delle strane costruzioni.
Sotto, la pianura s’alzava gradatamente, coltivata a piante di gelso e di cotone, intersecata da torrentelli che parevano nastri d’argento e cosparsa di capanne di fango secco e di paglia.
Dei contadini di quando in quando apparivano fra i solchi e dopo un momento di stupore, fuggivano urlando come ossessi, alla vista della macchina volante.
– Sapete come si chiama quella collina? – chiese il capitano ai suoi ospiti?
– No, signore – rispose Fedoro. – Non sono mai andato oltre Pechino. Dopo la distruzione di Taku, la presa di Tient-tsin e l’entrata delle truppe europee nella capitale, l’uomo bianco non osa più inoltrarsi nelle provincie interne della Cina.
– È vero – disse il capitano. – Gli europei e gli americani, colla loro grande spedizione,