I figli dell'aria. Emilio Salgari

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I figli dell'aria - Emilio Salgari

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siano morti? – si chiese.

      Quasi nello stesso momento gli parve di vedere un lembo della parete aprirsi e sbucare fuori delle forme umane armate di pugnali.

      La visione però non ebbe che la durata d’un lampo, perché senti che le forse lo abbandonavano e che le palpebre si chiudevano irresistibilmente, come se fossero diventate di piombo.

      . . . . . . . . . . . . . . .

      Quando si risvegliò, Rokoff si trovò a letto, nella stanza che la sera innanzi gli era stata destinata dal maggiordomo del ricco cinese.

      Su un altro letto Fedoro dormiva profondamente, senza fare alcun gesto che annunciasse un prossimo risveglio.

      Il cosacco, stupito, girò intorno un lungo sguardo, non potendo credere ai propri occhi.

      – Che io abbia sognato? – si chiese Rokoff. – Le società segrete… le ombre misteriose… i terrori… Sì, devo aver fatto un cattivo sogno.

      A un tratto si slanciò verso il letto di Fedoro, mandando un urlo.

      Nelle vicine stanze, nei corridoi, sulle verande, aveva udito alzarsi acute grida improntate al più vivo terrore:

      – L’hanno assassinato! Ah! Povero padrone! L’hanno ucciso!

      – Fedoro! Svegliati! – urlò.

      Il russo si era alzato bruscamente, stropicciandosi gli occhi. Vedendo Rokoff fermo dinanzi al letto, col viso sconvolto e gli occhi strabuzzati, fece un gesto di meraviglia.

      – Che cos’hai?

      Poi, prima che l’amico potesse rispondergli, gli sfuggì un grido.

      – E Sing-Sing?

      – Ucciso! Lo hanno ucciso! – disse Rokoff facendo un gesto disperato.

      – Sing-Sing morto! Ah! Ma dove siamo noi?… Ieri sera non eravamo in questa stanza!… Rokoff! Che cosa è successo? Chi ci ha portati qui?

      – Non so… non so nulla… è tutto un mistero inesplicabile… Vieni… usciamo… l’hanno ucciso

      Le grida, i pianti, i singhiozzi della numerosa servitù del ricco cinese, echeggiavano dovunque.

      Fedoro e Rokoff, non essendo stati spogliati dai misteriosi nemici che li avevano trasportati in quella stanza, approfittando dell’inesplicabile sonno che li aveva colpiti, si slanciarono verso la porta.

      Nel corridoio s’incontrarono col maggiordomo, il quale singhiozzava.

      – È vero che è morto il tuo padrone? – chiese Fedoro, afferrandolo per le braccia.

      – Sì, signore… assassinato… assassinato!

      – E i suoi uccisori?

      – Scomparsi.

      – E non sai dirmi chi ci ha trasportati qui, mentre eravamo col tuo padrone?

      Il maggiordomo li guardò con sorpresa.

      – Voi… col padrone! – esclamò.

      – Eravamo nella sua stanza per vegliare su di lui e ci siamo svegliati in questa, sui nostri letti.

      – È impossibile!… Voi avete sognato!

      – Andiamo da Sing-Sing – disse Rokoff. – A più tardi le spiegazioni. Preceduti dal maggiordomo, il quale pareva inebetito, entrarono nella stanza del ricco cinese, che era guardata da quattro servi.

      Sing-Sing giaceva sul letto, cogli occhi sbarrati esprimenti un terrore impossibile a descriversi, colle labbra aperte e lorde d’una schiuma sanguigna, colle braccia penzolanti.

      Una macchia di sangue si era allargata sopra la ricca casacca in direzione del cuore e altro sangue si vedeva sulle lenzuola di seta bianca.

      – Morto! – esclamò Rokoff, indietreggiando.

      Fedoro si curvò sull’assassinato, aprì la casacca, strappò la camicia e mise allo scoperto il petto.

      Una ferita, che pareva prodotta da un pugnale triangolare, a margini taglienti, si vedeva dal lato sinistro, un po’ sotto la mammella.

      Il colpo, vibrato da una mano robusta e sicura, doveva aver spaccato il cuore del povero cinese e la morte era stata certo fulminante.

      – I miserabili hanno mantenuto la parola! – esclamò. – E da dove sono entrati? Rokoff, non eri appoggiato contro la porta tu?

      – Sì – rispose il giovine.

      – Non l’hai udita aprirsi?

      – No, almeno fino a che ero sveglio.

      – Ah! Sì, mi ricordo che un sonno irresistibile mi aveva preso. Anche tu?

      – Sì, Fedoro, ma prima di chiudere gli occhi ho veduto un lembo della parete aprirsi ed entrare degli uomini.

      – E non hai fatto fuoco?

      – Mi è mancato il tempo; un momento dopo cadevo addormentato.

      – Allora ci hanno dato qualche narcotico per ridurci all’impotenza!

      – E chi? Io non avevo bevuto nulla dopo il banchetto – disse Rokoff.

      – Prima di addormentarti non hai notato alcun che di straordinario?

      – Assolutamente nulla.

      – Non hai avvertito alcun odore?

      – Non mi parve.

      – Devono aver bruciato qualche sostanza per farci addormentare.

      – Lo credi?

      – Ne sono certo – rispose Fedoro.

      – Eppure prima non ho veduto entrare nessuno.

      – Da qual parte si sono introdotti quegli uomini?

      – Da quella – rispose Rokoff, indicando un angolo della stanza.

      – Stavo per addormentarmi, eppure ho veduto aprirsi una porta o qualche cosa di simile.

      Fedoro si recò a visitare la parete battendola col calcio della rivoltella e udì un suono sordo che non annunciava di certo che al di là ci fosse un vuoto.

      – È strano! – disse. – Eppure tu li hai veduti entrare per di qui?

      – Sì, me lo ricordo.

      – E non vedo alcuna traccia sulla tappezzeria; tuttavia non mi stupisco. Questi cinesi hanno inventato mille segreti. Dov’è il maggiordomo?

      – Eccomi, signore – rispose il cinese, il quale stava ritto accanto al letto, piangendo silenziosamente.

      – Sono devoti i servi di questa casa?

      – Lo

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