Il Corsaro Nero. Emilio Salgari
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу Il Corsaro Nero - Emilio Salgari страница 5
I tre filibustieri, sempre nel piú profondo silenzio, continuavano la marcia, non lasciando le loro precauzioni, poiché oltre gli uomini, avevano da temere anche gli abitanti delle foreste, i sanguinari giaguari e soprattutto i serpenti, specialmente gli jaracarà, rettili velenosissimi, che sono difficili a scorgersi anche di giorno essendo la loro pelle del colore delle foglie secche.
Dovevano aver percorso due miglia, quando Carmaux, che si trovava sempre dinanzi, essendo il piú pratico dei luoghi, s’arrestò bruscamente armando con precipitazione una delle sue pistole.
– Un giaguaro od un uomo? – chiese il Corsaro, senza la minima apprensione.
– Può essere stato un giaguaro, ma anche una spia, – rispose Carmaux. – In questo paese non si è mai certi di vedere l’indomani.
– Dov’è passato?
– A venti passi da me.
Il Corsaro si curvò verso terra ed ascoltò attentamente, trattenendo il respiro. Un leggero scrosciare di foglie giunse fino a lui; era però cosí debole che solamente un orecchio molto esercitato ed acuto poteva udirlo.
– Può essere un animale, – rispose rialzandosi. – Bah!… Noi non siamo uomini da spaventarci. Impugnate le sciabole e seguitemi.
Girò intorno al tronco di un albero enorme che torreggiava in mezzo alle palme, poi sostò in mezzo ad un gruppo di foglie giganti scrutando le tenebre.
Lo scrosciare delle foglie secche era cessato, tuttavia al suo orecchio giunse un tintinnio metallico e poco dopo un colpo secco come se il cane d’un fucile venisse alzato.
– Fermi! Qui vi è qualcuno che ci spia e che aspetta il momento opportuno per farci fuoco addosso.
– Che ci abbiano veduti sbarcare? – borbottò Carmaux, con inquietudine. – Questi spagnuoli hanno spie dappertutto.
Il Corsaro aveva impugnata colla destra la spada e colla sinistra una pistola e cercava di girare quell’ammasso di foglie, senza produrre il minimo rumore. Ad un tratto Carmaux e Wan Stiller lo videro slanciarsi innanzi e piombare, con un solo salto, addosso ad una forma umana, che si era improvvisamente alzata in mezzo ad un cespuglio.
L’assalto del Corsaro era stato cosi improvviso ed impetuoso che l’uomo che si teneva imboscato era andato a gambe levate, percosso in pieno viso dalla guardia della spada.
Carmaux e Wan Stiller si erano subito precipitati su di lui, e mentre il primo s’affrettava a raccogliere il fucile che l’uomo imboscato aveva lasciato cadere, senza avere avuto il tempo di scaricarlo, l’altro puntava la pistola dicendo:
– Se ti muovi sei un uomo spacciato.
– È uno dei nostri nemici, – disse il Corsaro che si era curvato.
– Un soldato di quel dannato Wan Guld, – rispose Wan Stiller. – Che cosa faceva imboscato in questo luogo? Sarei curioso di saperlo.
Lo spagnuolo, che era stato stordito dalla guardia della spada del Corsaro, cominciava a riaversi, accennando ad alzarsi.
– Carrai! – borbottò con un tremito nella voce. – Che sia caduto tra le mani del diavolo?
– L’hai indovinato, – disse Carmaux. – Giacché a voi piace chiamare cosí noi filibustieri.
Lo spagnuolo provò un brivido cosí forte, che Carmaux se ne accorse.
– Non aver tanta paura, per ora, – gli disse, ridendo. – Risparmiala per piú tardi, per quando danzerai nel vuoto un fandango disordinato con un bel pezzo di solida canapa stretto alla gola.
Poi volgendosi verso il Corsaro, che guardava in silenzio il prigioniero, gli chiese:
– Devo finirlo con un colpo di pistola?
– No, – rispose il capitano.
– Preferite appiccarlo ai rami di quell’albero?
– Nemmeno.
– Forse è uno di quelli che hanno appiccato i Fratelli della Costa ed il Corsaro Rosso, mio capitano.
A quel ricordo un lampo terribile balenò negli occhi del Corsaro Nero, ma subito si spense.
– Non voglio che muoia, – disse con voce sorda. – Può esserci piú utile d’un appiccato.
– Allora leghiamolo per bene, – dissero i due filibustieri.
Si levarono le fasce di lana rossa che portavano ai fianchi e strinsero le braccia del prigioniero, senza che questi osasse fare resistenza.
– Ora vediamo un pò chi sei, – diesse Carmaux.
Accese un pezzo di miccia da cannone che teneva in tasca e l’accostò al viso dello spagnuolo.
Quel povero diavolo, caduto nelle mani dei formidabili corsari della Tortue, era un uomo di appena trent’anni, lungo e magro come il suo compatriota Don Chisciotte, con un viso angoloso, coperto da una barba rossiccia e due occhi grigi, dilatati dallo spavento.
Indossava una casacca di pelle gialla con qualche rabesco, corti e larghi calzoni a righe nere e rosse e calzava lunghi stivali di pelle nera. Sul capo invece portava un elmetto d’acciaio adorno di una vecchia piuma, la quale non aveva piú che rade barbe e dalla cintura gli pendeva una lunga spada, la cui guaina era assai irruginita alle sue estremità.
– Per Belzebú mio patrono!… – esclamò Carmaux, ridendo. – Se il Governatore di Maracaybo ha di questi prodi vuol dire che non li nutre di certo con capponi, poiché è piú magro di un’aringa affumicata. Credo, capitano, che valga la pena d’appiccarlo.
– Non ho detto d’appiccarlo – rispose il Corsaro.
Poi toccando il prigioniero con la punta della spada gli disse:
– Ora parlerai se ti preme la pelle.
– La pelle è già perduta – rispose lo spagnuolo. – Non si esce vivi dalle vostre mani e quando io avessi narrato a voi quanto vorreste sapere, non sarei certo di rivedere egualmente l’indomani.
– Lo spagnuolo ha del coraggio, – disse Wan Stiller.
– E la sua risposta vale la sua grazia, – aggiunse il Corsaro. – Via, parlerai?
– No, – rispose il prigioniero.
– Ti ho promesso salva la vita.
– E chi vi crederà?
– Chi?… Ma sai chi sono io?
– Un filibustiere.
– Sí, ma che si chiama il Corsaro Nero.
– Per la nostra Signora di Guadalupa! – esclamò lo spagnuolo, diventando