Il re del mare. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу Il re del mare - Emilio Salgari страница 4
– Chi potrà essere quel pellegrino? Quale misterioso motivo lo spinge contro Tremal-Naik? L’hai visto tu?
– Sì, mentre scappavo dalle mani dei dayaki.
– È giovane, vecchio…
– Vecchio, signore, alto di statura e magrissimo, un tipo da vero pellegrino che ha fame e sete. E vi è di più ancora che aggrava il mistero, – aggiunse il meticcio. – Mi hanno detto che due settimane or sono è giunta qui una nave a vapore che portava la bandiera inglese e che il pellegrino ha avuto un lungo colloquio con quel comandante.
– È partita subito quella nave?
– La mattina seguente ed ho il sospetto che, durante la notte, abbia sbarcato delle armi, perchè ora non pochi dayaki posseggono dei moschetti e anche delle pistole, mentre prima non avevano che delle cerbottane e delle sciabole.
– Che gli inglesi c’entrino in tutta questa faccenda? – si domandò Yanez, che appariva molto preoccupato.
– Possibile, signor Yanez!
– Sai la voce che corre a Labuan? Che il governo inglese abbia intenzione di occupare la nostra isola di Mompracem col pretesto che noi costituiamo un pericolo costante per la sua colonia e di mandarci a occupare qualche altra terra più lontana.
– Gli inglesi che devono a voi tanta riconoscenza, per averli sbarazzati dei thugs che infestavano l’India!
– Mio caro, credi tu che un leopardo possa avere della riconoscenza verso una scimmia, supponiamo, che l’ha sbarazzato degli insetti che lo tormentavano?
– No, signore, quei carnivori non hanno quel sentimento.
– E non ne avrà nemmeno il governo inglese che viene chiamato il leopardo dell’Europa.
– E voi vi lascerete cacciare da Mompracem?
Un sorriso comparve sulle labbra di Yanez. Accese una sigaretta, aspirò due o tre boccate di fumo, poi disse con voce calma:
– Non sarebbe già la prima volta che le tigri di Mompracem si mettono in guerra col leopardo inglese. Un giorno hanno tremato e Labuan ha corso il pericolo di vedere i suoi coloni divorati da noi o cacciati in acqua. Non ci lasceremo nè sorprendere, nè sopraffare.
– Sandokan ha mandato dei suoi prahos a Tiga ad arruolare uomini? – chiese il meticcio.
– Che non varranno meno per coraggio, delle ultime tigri di Mompracem – rispose Yanez. – L’Inghilterra ci vuole scacciare dalla nostra isola, che da trent’anni occupiamo? Si provi e noi metteremo la Malesia intera in fiamme e daremo battaglia, senza quartiere, all’insaziabile leopardo inglese. Vedremo se sarà la Tigre della Malesia che soccomberà nella lotta.
In quel momento si udì la voce di Sambigliong, il mastro della Marianna, a gridare:
– In coperta, capitano!
– Giungi in buon punto, malese mio, – rispose Yanez. – Ho appena terminato ora il mio colloquio con Tangusa. Che cosa c’è di nuovo?
– S’avanzano.
– I dayaki?
– Sì, capitano.
– Va bene.
Il portoghese uscì dal quadro, salì la scala e giunse in coperta. Il sole stava allora per tramontare in mezzo ad una nuvola d’oro, tingendo di rosso il mare, che la brezza lievemente corrugava.
La Marianna era sempre immobile, anzi essendo quello il momento della massima marea bassa, si era un po’ coricata sul fianco di babordo, in maniera che la coperta rimaneva sbandata.
Verso le isolette che facevano argine all’irrompere del fiume, una dozzina di grossi canotti, fra cui quattro doppi, s’avanzava lentamente verso il mezzo della baia, preceduta da un piccolo praho che era armato d’un mirim, un pezzo d’artiglieria un po’ più grosso dei lilà, quantunque fuso allo stesso modo, con ottone grossolano, rame e piombo.
– Ah! – fece Yanez, colla sua solita flemma. – Vogliono misurarsi con noi? Benissimo, avremo polvere in abbondanza da regalare, è vero Sambigliong?
– La provvista è copiosa, capitano, – rispose il malese.
– Noto che s’avanzano molto adagio. Pare che non abbiano nessuna fretta, mio caro Sambigliong!
– Aspettano che la notte scenda.
– Prima che la luce se ne fugga vediamo che musi sono. – Prese il cannocchiale e lo puntò sul piccolo praho che precedeva sempre la flottiglia delle scialuppe.
Vi erano quindici o venti uomini a bordo, che indossavano l’abito guerresco; pantaloni stretti, abbottonati all’anca e al collo dei piedi, sarong cortissimo, in testa il tudung, un curioso berretto con lunga visiera e molte piume. Alcuni erano armati di fucile; i più avevano invece dei kampilang, quelle pesanti sciabole a doccia d’un acciaio finissimo, dei pisau-raut, ossia specie di pugnali dalla lama larga e non serpeggiante come i kriss malesi, e avevano dei grandi scudi di pelle di bufalo di forma quadrata.
– Bei tipi, – disse Yanez colla sua solita calma.
– Sono molti, signore.
– Ouff! Un centinaio e mezzo, mio caro Sambigliong.
Si volse guardando la tolda della Marianna.
I suoi quaranta uomini erano tutti ai loro posti di combattimento. Gli artiglieri dietro ai due cannoni da caccia e alle quattro spingarde, i fucilieri dietro alle murate i cui bordi erano coperti di fasci di spine acutissime e gli uomini di manovra, che pel momento non avevano nulla da fare essendo il veliero sempre arenato, sulle coffe muniti di bombe da lanciare a mano e armati di carabine indiane di lunga portata.
– Vengano a trovarci! – mormorò, visibilmente soddisfatto degli ordini impartiti da Sambigliong.
Il sole stava per scomparire, diffondendo i suoi ultimi raggi e bagnando di luce aurea o rossastra le coste dell’immensa isola e le scogliere contro cui si frangevano rumoreggiando le onde che venivano dal largo.
Il grande globo incandescente calava superbamente in acqua, incendiando un gran ventaglio di nubi al di sopra delle quali s’innalzavano grandi zone d’oro e lembi ampi di porpora, smaglianti sull’azzurro chiaro del cielo.
Finalmente s’immerse, quasi bruscamente, infiammando per alcuni istanti tutto l’orizzonte, poi quell’onda di luce si attenuò rapidamente, non essendovi crepuscoli sotto quelle latitudini, la grande fantasmagoria solare si estinse e le tenebre piombarono avvolgendo la baia, le isole e le coste bornesi.
– Buona notte per gli altri e cattiva per noi, – disse Yanez, che non aveva potuto fare a meno di contemplare quello splendido tramonto.
Guardò la flottiglia nemica. Il piccolo praho, le doppie scialuppe e quelle semplici affrettavano la corsa.
– Siamo pronti? – chiese Yanez.
– Sì, – rispose Sambigliong per tutti.
– Allora, Tigrotti di Mompracem, non vi trattengo più.