Jolanda, la figlia del Corsaro Nero. Emilio Salgari

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Jolanda, la figlia del Corsaro Nero - Emilio Salgari

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con un sospiro. «Mio padre aveva qui, fra gli eroi del mare, ancora molti devoti camerati».

      «Signora» disse Morgan con impeto. «Vi hanno usata qualche villania gli spagnoli? Parlate e, parola di Morgan, voi ne avrete pronta vendetta».

      Jolanda lo guardò a lungo in silenzio, quasi sorridendo, poi disse: «No».

      «Nemmeno il governatore?»

      «No».

      «Eppure io so che meditava di farvi sparire».

      «Farni… sparire?»

      «Sì, signora».

      «Per qual motivo?» chiese la fanciulla con stupore.

      «Ve lo dirò in un altro momento».

      «Queste parole mi sorprendono. So che il governatore insisteva perché rinunciassi in favore del governo spagnolo ai miei diritti sulle vaste possessioni che appartenevano a mia madre, dopo la morte del duca, mio nonno».

      «E avete rinunciato?»

      «Oh, mai!…»

      «Non vi ha minacciato?»

      La fanciulla parve riflettere qualche istante, poi disse:

      «Mi ha parlato di vendetta, che egli era stato incaricato di compiere».

      «Miserabile!» gridò Morgan. «Il giaguaro voleva ingannarvi, prima di divorarvi».

      «Dite?» chiese Jolanda.

      «Signora, si dice che il governatore sia fuggito a Gibraltar. In questo momento i miei uomini stanno imbarcandosi per andarlo a trovare, non potendo essere io tranquillo finché quell’uomo non sarà in mia mano. Vi offro sulla mia nave, che porta il nome glorioso e temuto della invincibile Folgore che comandava vostro padre, un posto. Mi seguirete voi? Sarete sotto la protezione della bandiera dei Fratelli della Costa e nessuno potrà giungere fino a voi, se prima non ci avranno distrutti dal primo all’ultimo. Accettate?»

      «Ho fede nella lealtà dei filibustieri, compagni di mio padre» rispose la fanciulla. «Capitano Morgan, io appartengo alla filibusteria».

      «Venite, signora, e si provino gli spagnoli a strapparvi agli scorridori del mare della Tortue».

      Capitolo decimo. Il sacco di Gibraltar

      La sera stessa, la flotta corsara abbandonava Maracaybo, non lasciando in città che una piccola partita di filibustieri, incaricati di scovare gli abitanti, che dovevano trovarsi ancora in buon numero nascosti nei boschi dei dintorni, e di sorvegliare l’entrata della laguna, onde le navi spagnole già segnalate non chiudessero il passo.

      Morgan sperava, come già avevano fatto diciassette anni prima il Corsaro Nero, l’Olonese ed il Basco, di sorprendere Gibraltar e di averla in sua mano senza troppa resistenza.

      Sapeva che la città era risorta più bella e più ricca, in quel periodo di calma relativamente lungo e che gli spagnoli l’avevano fortificata. Era quindi quasi certo che il conte di Medina avesse trovato colà un rifugio, non essendovene altri di considerevoli, in quell’epoca, in tutta la vasta laguna di Maracaybo.

      A mezzanotte, la flotta, forte di sette navi, avendone lasciata una ai filibustieri rimasti a terra, si trovava già in mezzo al lago, avendo il vento favorevole e muoveva velocemente verso la baia de la Mochila, sulle cui rive sorgeva la città!

      Morgan, come al solito, guidava in persona la sua nave, essendo più pratico di quei bassifondi. Era d’altronde un uomo a cui bastava qualche ora di riposo per rimettersi completamente, tanto era gagliarda la sua fibra.

      Carmaux e Wan Stiller, che erano, si può dire, i suoi aiutanti di campo e che godevano la sua completa fiducia, gli tenevano compagnia, fumando dei grossi sigari spagnoli e chiacchierando fra di loro.

      La notte, abbastanza chiara, quantunque la luna mancasse, permetteva alla flotta di tenersi al largo dalle numerose isole che ingombravano allora, molto più di adesso, la laguna. I piloti d’altronde, seguivano perfettamente la rotta della nave ammiraglia, mantenendosi su una sola linea, non essendo tutti pratici di quelle acque, che nascondevano banchi e bassifondi in gran numero.

      Cominciava ad albeggiare, quando la flotta giunse in vista delle coste verdeggianti de la Mochila. Qualche lume si discerneva sull’orizzonte, ancora piuttosto fosco, annunciante l’entrata del piccolo porto di Gibraltar.

      «Carmaux» disse Morgan, che non aveva lasciato, durante tutta la notte, la ribolla del timore. «Ti ricordi ancora del porto?»

      «Sì, mio capitano, quantunque siano trascorsi ormai tanti anni».

      «Dobbiamo governare a levante?»

      «Con una quarta a greco».

      «Il tuo piantatore ti ha detto di quali mezzi di difesa può disporre la guarnigione?»

      «Quel povero diavolo da ieri mi sembra assolutamente imbecillito e non ha saputo dirmi nulla».

      «L’hai imbarcato con noi?»

      «Si trova nella mia cabina. È stato a pregarmi d’imbarcarlo, mentre io avrei fatto a meno di quel poltrone, che non ha ormai più alcun valore per noi».

      «Forse t’inganni, mio bravo Carmaux. Può diventare ancora un uomo prezioso, essendo uno dei notabili di Maracaybo e conoscendo il governatore. Ho più fiducia in lui, che in tutti gli altri prigionieri».

      «Colla paura che lo ha preso, mi pare che non valga più d’un negro. Si è fisso in capo che quel capitano Valera si sia accorto che è stato lui a guidare me e Wan Stiller al monastero e trema continuamente per la sua pelle».

      «Lo lasceremo andare senza riscatto».

      «Se avrà il coraggio di andarsene» disse l’amburghese, ridendo.

      «Va a svegliarlo» disse Morgan.

      Wan Stiller vuotò la pipa e pochi istanti dopo tornava in coperta, spingendosi innanzi il piantatore.

      Il povero uomo pareva che fosse diventato veramente un imbecille. Si vedeva perfino troppo evidentemente che non era mai stato un uomo di guerra.

      «Io ho ancora un vecchio conto da saldare con voi» gli disse Morgan, quando se lo vide dinanzi. «Direttamente od indirettamente voi foste la causa dell’impiccagione dei marinai che vi scortavano Non ve l’ho perdonato, come forse speravate».

      «Ah, signore» gemette il povero diavolo. «Voi credete ancora che…»

      «Basta: ho bisogno di voi».

      «Ancora? Allora uccidetemi».

      «Vi farò impiccare, se lo desiderate, ma più tardi. Conoscete Gibraltar?»

      «Sì, signore».

      «Vi mando colà come mio parlamentario».

      «Io sono un povero piantatore, senza influenza alcuna».

      «Ve la procureremo noi l’influenza che vi manca» disse Morgan, con accento secco «appoggiata dai novantasei cannoni della nostra squadra».

      «E

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