La perla sanguinosa. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу La perla sanguinosa - Emilio Salgari страница 4
«Calmati, Palicur, – disse il quartiermastro, che pareva profondamente commosso dal dolore del malabaro. – Chi è quella Juga? Che cos’è quella perla sanguinosa? Quale terribile dramma vi è nella tua vita? Quantunque tu sia indiano ed io europeo, puoi considerarmi come tuo fratello. Te ne ho dato la prova quando otto giorni or sono ti strappai dalle fauci del coccodrillo che stava per mozzarti le gambe.»
«Sì, è vero, voi siete troppo buono, signor Will, – rispose il pescatore di perle; – vi devo la vita, siete per me come un secondo padre e perciò devo narrarvi tutto, purché mi promettiate di unire i vostri sforzi ai miei per fuggire da questo luogo infame.»
«Non ho meno desiderio di te d›andarmene, mio povero Palicur, – rispose l›europeo. – Gli uomini di mare male si adattano a vivere nei penitenziari e ne ho abbastanza di questa esistenza che trascino da tredici mesi. Anch’io ho sete di libertà, d’aria pura e non vedo l’ora di ritornare sul mare.»
«Allora ascoltatemi, signor Will. Quantunque non ci conosciamo che da otto giorni, ho piena fiducia in voi e sono certo che non tradirete il mio segreto. Qui i cingalesi non mancano e sarebbero capaci d’informare i sacerdoti di Candy della mia fuga e di metterli in guardia.»
«Che storia stai per narrarmi tu?» chiese il quartiermastro, che s›interessava straordinariamente ed a cui quel preambolo aveva aguzzato la curiosità.
«Non crediate, innanzi tutto, che io sia un semplice pescatore di perle. I miei padri furono un tempo i sovrani di Calicut, che la Compagnia delle Indie disperse dopo averli vinti e spodestati, per non aver essi voluto accettare il suo protettorato che privava il Malabar d’ogni libertà.
«Derubati delle loro fortune e dei loro possessi, emigrarono nell›India meridionale, rotolando giù dagli ultimi gradini della loro grandezza, finché l’ultimo principe, che fu mio padre, dovette diventare un povero pescatore di perle per campare la vita.»
«Mi accorsi che tu dovevi appartenere a qualche alta casta, dalla purezza dei tuoi lineamenti, – disse il quartiermastro della Britannia. – Continua.»
«Morto mio padre, tagliato in due da uno squalo mentre raccoglieva perle nello stretto di Manaar, presi il comando della sua barca, trasferendomi sulle coste di Ceylon, ove si diceva che si trovassero le più belle perle e che si celasse la famosa perla sanguinosa, rubata anni or sono nella gran pagoda di Candy, dove serviva di terzo occhio alla gigantesca statua di Godama.»
«Una perla sanguinosa!» esclamò Will.
«Sì, ma di ciò vi parlerò in seguito, – disse il malabaro. – Fu al Nigamuwa che conobbi per la prima volta Juga, mentre stavo esplorando quei banchi perliferi.»
«Chi era costei?»
«La più bella fanciulla cingalese che io avessi veduto fino allora, così bella che tutti la invidiavano. Suo padre era pure un pescatore di perle e quando s›accorse che i nostri cuori si erano compresi e che battevano insieme d’egual affetto, non oppose ostacoli e lasciò che ella diventasse la mia fidanzata, purché m’impegnassi a versargli duecento rupie come prezzo del matrimonio.»
«Avevo già raggranellato la somma e credevo di essere ormai vicino alla realizzazione del mio sogno, quando un avvenimento inaspettato distrusse d’un colpo tutte le mie speranze.»
«Si celebrava a Candy la festa di Godama e tutti gli abitanti delle coste partivano in pellegrinaggio pel monte Hamales, sulla cui cima, come voi sapete, esiste un albero consacrato al dio dei cingalesi e dove si vede l’impronta d’un piede gigantesco che si suppone lasciato da lui, slanciatosi di lassù in cielo, dopo le novecento e novantanove sue metamorfosi.»
«E che noi europei riteniamo sia un’orma lasciata da Adamo prima di abbandonare quell’isola meravigliosa, ritenuta il famoso paradiso terrestre, e di passare in India,» disse il quartiermastro sorridendo.
«Il padre di Juga, – continuò il malabaro, – fervente buddista, mi aveva chiesto il permesso di condurre a Candy la mia fidanzata perché assistesse alla grande processione e ricevesse la benedizione del dio ed io glielo avevo concesso, non prevedendo che quella gita sarebbe stata fatale a me ed alla fanciulla. Ahimè! Non doveva più tornare la diletta del mio cuore.»
«Te la rapirono?»
«Sì, ma ascoltatemi, signor Will. Dopo le feste di Candy, suo padre volle seguire i pellegrini che si recavano a visitare il famoso albero di Annarodgburro, che secondo le tradizioni antiche un uragano trasportò da lontani paesi, e che sprofondò colà le sue radici per servire di ricovero a Godama. In quel luogo vi è una pagoda celebre, dove riposano gli antichi rajah di Candy che hanno meritato di essere ammessi in quella terra santa per aver innalzato templi e statue in onore del dio protettore dell’isola, e che è abitata da sacerdoti e da sacerdotesse che vengono scelte fra le più belle fanciulle cingalesi.»
«Per procurarsi quelle sacerdotesse, i monaci attendono il giorno in cui viene condotta in processione la statua colossale di Godama, quindi si cacciano fra gli spettatori, scegliendo le fanciulle che meglio a loro talenta, e che sono destinate a diventare le spose del dio.»
«Nessuno può resistere loro, né le rapite, né i parenti e nessuna protesta varrebbe a salvarle. Una volta afferrate da quei monaci sono perdute. D’altronde i parenti si tengono anzi onorati che le loro figlie vadano a servire il dio, credendo di assicurarsi la protezione del cielo, la remissione dei peccati ed un posto nel nirwana dopo la morte.»
«Sfortuna volle che uno di quei tiruvamska – così si chiamano i sacerdoti cingalesi – adocchiasse Juga, che stava a fianco di suo padre. La sua bellezza e la sua giovinezza avevano già attirato l’attenzione dei vicini, sicché, ad un gesto del tiruvamska, quattro o cinque pellegrini si gettarono sulla mia fidanzata, trascinandola verso un carro dove già si trovavano altre future spose di Godama.»
«Alla sera era già prigioniera nella pagoda. Suo padre, spaventato dagli orribili castighi che i sacerdoti gli minacciavano in questa e nell’altra vita, aveva dovuto dare il suo consenso. Quando tornò alla costa per informarmi di quanto era avvenuto, non era più che un’ombra di se stesso, tanto era stato il suo dolore nel vedersi privare della sua unica figlia che amava alla follia, e tanto soffriva di doversi presentare a me con quella terribile notizia. Morì tre giorni dopo di crepacuore ed io fui lì lì per smarrire la ragione. Caddi ammalato e rimasi parecchi giorni fra la vita e la morte.»
«Appena guarito partii per Annarodgburro, risoluto a strappare a quei monaci la mia Juga. Riuscii infatti una notte, mentre sulla montagna imperversava una furiosa bufera, ad introdurmi nella pagoda e a trovare la fanciulla amata.»
«Credendo che nessuno mi avesse veduto, la trassi fuori dal tempio dove ci aspettavano due veloci cavalli, quando fu dato l’allarme. In meno che non si dica mi vidi piombare addosso una dozzina di monaci, che mi strapparono a viva forza la fanciulla.»
«Cieco di rabbia, trassi dalla fascia il mio coltello di pescatore di perle. Colpii due o tre volte, all’impazzata, ma fui ben presto atterrato, disarmato e legato.»
«Quindici giorni dopo venivo consegnato alle autorità inglesi di Colombo, sotto l›imputazione d›aver ucciso un sacerdote e di averne feriti altri due. Ogni difesa fu vana. Fui condannato a dodici anni di relegazione e condotto in questo inferno.»
Il quartiermastro l’aveva ascoltato senza interromperlo. Posò una mano sulla spalla del povero malabaro, che si era accasciato e piangeva in silenzio, dicendogli