La riconquista di Monpracem. Emilio Salgari

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La riconquista di Monpracem - Emilio Salgari

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dalle cui balconate si potevano scorgere benissimo le navi che entravano ed uscivano dalla baia.

      Una tavola lunghissima era stata preparata.

      Vasellame d’argento scolpito, bicchieri di vero cristallo scintillavano sotto le venti lampade cinesi.

      Il Sultano, che indossava il solito costume di seta bianca e che portava al fianco una scimitarra dalla guaina d’oro, troppo pesante per le sue braccia, era già a tavola insieme coi suoi due ministri ed una mezza dozzina di cortigiani dalla pelle assai oscura e che indossavano dei sarongs assai vistosi, a fiorami larghi.

      – Ah, siete qui, milord! – esclamò vedendo entrare Yanez. – Vi fate aspettare.

      – Sono tornato tardi, Altezza.

      – Dove siete stato dunque?

      – A cacciare in alto mare.

      – Ed avete preso?

      – Quattro miserabili rondoni di mare, che i pesci-cani si sono mangiati sotto i miei occhi.

      – Deve essere bello cacciare in mare, a bordo d’una rapida nave come la vostra.

      – Qualche volta sì, Altezza.

      – M’inviterete domani a fare una corsa?

      – Il mio yacht è a vostra disposizione.

      – Allora possiamo cenare. —

      Dei giovani malesi s’avanzarono tosto, portando su dei grandi piatti d’argento fritture di pesce, arrosto di babirussa, cavallette in salsa piccante, delle mostruose frittate.

      Yanez aveva fatto cenno all’uomo che portava il canestro pieno di bottiglie.

      – Altezza, – disse permettete di offrirvi quanto ho di meglio a bordo del mio yacht.

      – Voi siete ben gentile, milord, – rispose il Sultano con un certo sorrisetto che non tranquillizzò affatto Yanez.

      La cena, quantunque assai abbondante, fu rapidamente divorata, poi, dopo le frutta, Yanez sturò una bottiglia di champagne ed empì il bicchiere del Sultano, dicendo:

      – Lunga vita a Vostra Altezza.

      – Dove si fabbrica questo vino? – chiese il Sultano, il quale aveva già vuotato d’un colpo il bicchiere.

      – In Francia, Altezza.

      – È un paese che ho udito solo vagamente nominare.

      – Vi piace, Altezza?

      – Domani, se ne avete delle altre di queste bottiglie, le vuoteremo a bordo del vostro yacht. —

      Quella insistenza di recarsi a bordo della sua piccola nave aveva messo una pulce in un orecchio a Yanez. Guai se non si fosse sbarazzato del vero ambasciatore!

      Il capitombolo sarebbe stato completo.

      Fu portato del moka eccellente, servito in tazze giapponesi color del cielo dopo la pioggia, poi il Sultano, che pareva molto di buon umore, rovesciandosi improvvisamente sullo schienale della sua larga e comoda sedia di bambù sormontata da uno stemma vistoso che rappresentava un’isola fra il mare burrascoso, chiese bruscamente a Yanez, il quale non aveva mancato di accendere la sua sigaretta, mentre i ministri ed i favoriti masticavano noci d’areca, con una sensualità bestiale, lanciando sul bianco pavimento dei ripugnanti getti di saliva rossastra.

      – Sapete, milord, che cosa si dice nella mia capitale?

      – Non mi sono mai occupato dei pettegolezzi degli altri – rispose il portoghese, il quale conservava un sangue freddo meraviglioso.

      – La voce è grave, milord e nella mia qualità di Sultano io devo appurare che cosa ci può essere di vero in quelle dicerie che vi offendono molto da vicino.

      – Chi, Altezza? – chiese Yanez.

      – Voi.

      – Che cosa si dice dunque di me? Dite pure Altezza. —

      Il Sultano esitò qualche istante a rispondere, poi disse:

      – Quando siete uscito dalla baia, non avete incontrato delle scialuppe piene di naufraghi, rimorchiate da una cannoniera?

      – Sì, le ho incontrate.

      – Quella cannoniera ora non è più ritornata, milord, – disse il Sultano, con voce grave.

      – E spero che non tornerà mai più – rispose audacemente il portoghese.

      – Perché?

      – Perché in questo momento si trova coricata sul fondo del mare, completamente crivellata dalle mie artiglierie.

      – L’avete assalita?

      – Avevo ricevuto ordine formale dal mio governo di dare la caccia a quella nave a vapore che apparteneva al rajah di Balaba.

      – Non è possibile! – esclamò il Sultano. – Aveva la bandiera olandese sul suo albero. Io l’ho veduta perfettamente da questa galleria.

      – Una bandiera non vuol dir nulla, Altezza, – rispose Yanez sorridendo. – Si fa presto a cambiarla. Come vi ho detto quella cannoniera era stata acquistata, non si sa ancora presso quale stato, dal rajah delle isole, coll’evidente intenzione di corseggiare il mare. Spero che non vorrete darmi a bere, Altezza, che quel rajah non eserciti la pirateria su vasta scala.

      – Non lo nego – rispose il Sultano. Ho avuto da dolermi di lui parecchie volte e la lezione che gli avete data in nome dell’Inghilterra l’approvo pienamente. L’avete dunque affondata quella nave?

      – Dopo un combattimento durato appena qualche ora.

      – È bene armato il vostro yacht?

      – Ed anche bene montato, – aggiunse Yanez.

      – E ditemi, milord, i vostri pezzi non hanno fatto fuoco su nessuna altra nave?

      – No, Altezza.

      – Eppure vi sono delle persone che hanno lanciato contro di voi delle terribili accuse. Voi sareste responsabile dell’affondamento d’un vapore che veniva dal nord.

      – Devono aver scambiato il mio yacht per un altro e può anche darsi, poiché mentre navigavo verso la baia, mi parve d’averne veduto uno filare a tutta velocità all’orizzonte.

      – Un altro yacht?

      – Sì, Altezza.

      – Appartenente a chi?

      – Ah, questo non lo so.

      – Che il rajah delle isole si prepari a farmi la guerra? – si chiese il Sultano con voce tremante.

      – Finché ci sarò io, nessuna nave entrerà nel porto, se non sarà di commercio. Siete ora convinto della mia innocenza?

      – Mi resta ancora un dubbio.

      – Che

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