La riconquista di Monpracem. Emilio Salgari

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La riconquista di Monpracem - Emilio Salgari

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pilota pratico di quelle scogliere e di quei frangenti.

      – Vi manderò a bordo il mio grande ammiraglio.

      – Benissimo, Altezza.

      Faremo colazione a bordo del mio yacht, poi andremo a cacciare le rondini di mare sulle sponde di quelle isole. Si dice che siano salangane, è vero?

      – Sì, milord.

      Voi mi permettete di far tuonare i vostri pezzi contro la capitale del rajah delle isole.

      – Gliela incendieremo, Altezza.

      – Milord, buona notte. —

      Yanez aveva ridato il braccio alla bella dama bionda, la quale, pur conservando un gran sangue freddo, apparve piuttosto inquieta per le minacce di John Foster.

      – Non tremate, signora, – le disse Yanez – sono qui io a proteggervi e tengo sotto le mie mani una scorta capace di montare all’abbordaggio anche in questo momento. Quel Foster avrà da fare con me. Altezza, a domani. —

      La scorta si era messa in fila, colle carabine ad armacollo per essere più pronta a far fuoco, e con i pesanti e terribili parangs alla cintola.

      Il drappello staccò una lanterna cinese e lasciò il palazzo del Sultano, inoltrandosi attraverso le oscurissime viuzze della capitale del sultanato.

      – Grazie, signora, – le disse Yanez.

      – Di che cosa? – gli domandò la flemmatica olandese.

      – Di avermi salvato.

      – È costato così poco. Una semplice menzogna, che nessuno poteva contraddire.

      – E che, ritardata, mi avrebbe creato dei gravissimi imbarazzi col Sultano.

      – Tutto è finito bene ora, milord, ed il Sultano non vi seccherà due volte.

      – Eh, non bisogna fidarsi di questi orientali doppi e falsi. —

      Così discorrendo, sempre seguiti dalla scorta, si erano avanzati su una via piuttosto larga, fiancheggiata da un numero infinito di viuzze.

      Yanez che si teneva in guardia, aspettandosi qualche brutto tiro da parte dell’irascibile John Foster, ad un certo momento si era fermato, dicendo:

      – Passate dietro di me, signora. Attenti! —

      Delle ombre erano sbucate da un viottolo ed avevano invasa la strada.

      Dovevano essere certamente i marinai del piroscafo affondato.

      Due colpi di pistola rintronarono, squarciando coi lampi la profondissima oscurità.

      Yanez si gettò prontamente da un lato e comandò:

      – Fuoco! —

      La scorta fece una scarica, spazzando la via. Si udirono urli, bestemmie, gemiti; poi una voce minacciosa tonò in mezzo all’oscurità:

      – Cane! Avrò la tua pelle! —

      Era John Foster.

      6. Una pesca emozionante

      Erano appena suonate le due, quando S. A. Selim-Bargasci-Amparlang giungeva a bordo dello yacht nella solita scialuppa colorita di rosso e coi bordi d’oro.

      Era accompagnato da due ministri, dal suo segretario particolare e da una piccola scorta formata da sei rajaputi tutti d’aspetto brigantesco, con barbe immense e baffi irsuti che salivano fin quasi ai turbanti.

      Yanez era già a bordo colla bella olandese, che voleva sottrarre a qualunque costo alle vendette di John Foster, e fu pronto a ricevere il Sultano sulla scala, con un profondissimo inchino e un amabile sorriso.

      – Altezza, – disse – siete ormai mio prigioniero. —

      Il Sultano l’aveva guardato con inquietudine, facendo una dietro l’altra tre o quattro smorfie. Il portoghese, che se n’era accorto, fu pronto a soggiungere:

      – Faremo una magnifica gita al largo, Altezza, e spero che faremo buona caccia lungo le coste di Balaba.

      – Come? Vorreste spingervi fino là, milord?

      – E perché no?

      – E se ci assalgono?

      – Ci difenderemo. Farò anzi issare sull’albero la vostra bandiera, per far comprendere a quelle canaglie che la lezione viene solamente da voi.

      – Che uomo siete voi?

      – Un uomo, Altezza, – rispose il portoghese sorridendo.

      Volete che salpiamo? Intanto vi farò visitare il mio yacht.

      – Lo desideravo assai – disse il Sultano.

      – Perché?

      – Per chiarire un punto molto oscuro.

      – Volete dire?

      – Mi hanno detto che voi avete qui un prigioniero.

      – Chi è stato?

      – Ve lo dirò più tardi.

      – Io ho dunque dei nemici accaniti nella vostra capitale?

      – Veramente non si amava vedere, dagli altri stati, un ambasciatore inglese. Non ve ne occupate. Siete sotto la mia protezione. —

      Yanez ebbe un sorriso ironico.

      – O tu sotto la mia? – mormorò.

      – Volete farmi vedere il vostro yacht, milord?

      – Subito, Altezza. Aspettate che dia il comando di salpare e di riattivare i fuochi, poiché spingerò la mia nave alla massima velocità. —

      Lanciò a destra ed a sinistra alcuni ordini, secchi, taglienti, subito eseguiti dall’equipaggio che, quantunque composto di malesi e di dayachi, manovrava come quello d’un vascello da guerra.

      – Altezza, venite – disse. – Vi offrirò qualche bottiglia di quel vino bianco che assaggiaste ieri sera.

      – E che tornerò a gustare – rispose il Sultano.

      Dopo aver percorsa tutta la tolda, scesero nel quadro, seguiti dalla signora olandese, dai due ministri e dal segretario.

      Tutte le cabine erano spalancate, in modo che se qualcuno vi si fosse trovato prigioniero sarebbe stato subito scoperto.

      Il Sultano ammirò il salotto, montato con molto buon gusto, poi si cacciò dentro tutte le cabine, osservando attentamente quanto vi si trovava.

      – Una nave magnifica! – disse. – Mi sentirei capace di sfidare con questa anche il rajah delle isole.

      – E noi lo sfideremo.

      – Eh! eh! Non correte tanto! Una palla di cannone od un colpo di spingarda fa presto

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