La riconquista di Monpracem. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу La riconquista di Monpracem - Emilio Salgari страница 2
– Nulla, nulla: sono affari che riguardano gli uomini di mare. —
Per la seconda volta la voce poderosa echeggiò sulla prora dello yacht:
– Arrendetevi o scateno tutte le mie artiglierie. Voi non potrete resistere nemmeno dieci minuti.
– Canaglia! che cosa vuoi da noi? – gridò il capitano, furioso.
– Ve l’ho già detto: divertirmi a bordo della vostra nave e null’altro.
– E saccheggiarci?
– Ah, no! Ve ne do la mia parola d’onore.
– La parola d’un bandito.
– Oh, signor mio, non sapete ancora chi io sia. Fate calare subito la scala e date ordine che si riprenda la festa. Vi accordo un solo minuto. —
La resistenza era impossibile.
Quei trenta prahos dovevano disporre di almeno sessanta spingarde e portare equipaggi numerosi ed agguerriti negli abbordaggi.
Per di più vi era l’artiglieria dello yacht, artiglieria grossa senza dubbio, capace di aprire delle falle a fior d’acqua ed affondare il vapore in meno di cinque minuti.
– Giù la scala! – comandò subito il capitano, vedendosi ormai perduto.
Lo yacht, una splendida nave a vapore di trecento tonnellate, armata di due grossi pezzi da caccia, s’avanzò fra i prahos e venne ad ormeggiarsi sul tribordo del piroscafo, proprio sotto la scala.
Un uomo salì subito, seguìto da trenta malesi armati di carabine, di parangs e di kriss.
Lo sconosciuto che voleva divertirsi indossava un elegantissimo costume di flanella bianca e portava in testa un ampio sombrero colle ghiande d’oro, come usano i ricchi messicani.
Nella fascia di seta azzurra portava un paio di pistole a doppia canna col calcio d’avorio laminato in oro ed una corta scimitarra di manifattura indiana colla guaina d’argento finemente cesellato.
I marinai avevano portati dei fanali, cosicché lo sconosciuto comparve finalmente in piena luce.
Era un bell’uomo di statura alta, fra i quarantacinque e quarantotto anni, con una lunga barba ormai brizzolata abbondantemente.
Fissò i suoi occhi scuri, quegli occhi che sono comuni solamente agli spagnuoli ed ai portoghesi, sul capitano dicendo:
– Buona sera, comandante. —
Lo sconosciuto parlava tranquillamente come un uomo che è sicuro di sé.
D’altronde i trenta malesi si erano allineati dietro di lui, piantando sul ponte, con un rumore pauroso, le enormi lame dei loro parangs.
– Chi siete? – chiese il capitano sbuffando.
– Un nababbo indiano che ha voglia di divertirsi – rispose lo sconosciuto.
– Voi, un indiano? Che carote mi venite a vendere?
– Ho sposato una rhani che governa una delle più popolose provincie dell’India e perciò posso farmi passare per un indiano, quantunque io sia nativo del Portogallo.
– E con quale diritto hai fermato la mia nave? Corpo d’un tuono! Farò rapporto alle autorità di Labuan.
– Nessuno ve lo impedirà.
– State certo che lo farò, signor…
– Yanez.
– Yanez, avete detto? – esclamò il capitano. – Io ho udito ancora questo nome.
Voi dovete essere il compagno di quel formidabile pirata, che si fa chiamare pomposamente la Tigre della Malesia.
– V’ingannate, comandante; in questo momento non sono che un principe consorte che viaggia per svagarsi.
– Con un seguito di trenta prahos!
– Se vi ho detto che sono un nababbo! Questi piccoli capricci me li posso levare.
– Abbordando le navi in piena corsa come un volgare pirata! Che cosa pretendete voi? La consegna del piroscafo ed il saccheggio dei passeggeri? —
Yanez si mise a ridere.
– I nababbi sono troppo ricchi per aver bisogno di queste miserie, signor mio. Lo Stato frutta a mia moglie milioni e milioni di rupie.
– Concludete. È da un po’ che voi mi canzonate.
– Date ordine ai passeggeri che riprendano le danze e rassicurateli sulle mie intenzioni.
– Siete straordinario! – esclamò il capitano, che cadeva di sorpresa in sorpresa.
– Vi avverto che se non obbedite subito lancerò trecento uomini all’abbordaggio della vostra nave, e son uomini che non hanno mai avuto paura né del Profeta né del diavolo.
Vi avverto inoltre che dispongo di settanta bocche da fuoco, che vi copriranno tutti di mitraglia, nel caso che vi saltasse il ticchio di opporre la menoma resistenza.
Guidatemi, comandante; pagherò lautamente il vostro disturbo. —
Si levò dalla cravatta di seta azzurra una superba spilla d’oro montata su un diamante grosso come una nocciola e gliela porse, aggiungendo:
– Chiudete gli occhi e prendete. È un diamante del Guzerate d’un’acqua bellissima. —
Vedendo che il capitano, al colmo dello stupore, non si muoveva, lo prese per la giacca e gli piantò la spilla all’altezza del colletto, dicendo:
– Accontentatemi, dunque! Il ballo sarà ben pagato! —
Ormai ogni resistenza era inutile.
I prahos avevano compiuta la loro congiunzione intorno al piroscafo ed i loro equipaggi non aspettavano che un comando del nababbo, per montare all’arrembaggio e spazzare via tutti, uomini e donne.
– Venite – disse lui coi denti stretti, bestemmiando in cuor suo, quantunque avesse ricevuto un regalo principesco. – Voi mi date la parola d’onore che rispetterete i miei passeggeri?
– Parola di rajah! – rispose l’uomo che si chiamava Yanez, con una leggera punta d’ironia. – Non sono già un bandito, anche se ho una scorta di prahos malesi.-
Attraversarono la tolda e scesero insieme nel gran salone centrale splendidamente illuminato.
I trenta malesi, silenziosi, minacciosi, li avevano seguiti, tenendo snudati i loro terribili parangs, coi quali d’un sol colpo potevano far volare una testa.
I banditi dell’arcipelago si schierarono all’estremità del salone, su due linee compatte, mentre Yanez si avanzava col sombrero in mano verso i passeggeri, che non osavano più fiatare, e diceva:
– Signore, riprendano, prego, le loro danze, e gli uomini facciano da cavalieri.