Le tigri di Monpracem. Emilio Salgari

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Le tigri di Monpracem - Emilio Salgari

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style="font-size:15px;">      Tutto avrebbe dimenticato per continuare ancora così per cento anni, la sua Mompracem, i suoi tigrotti, i suoi legni e perfino le sue sanguinose vendette.

      – Sì, milord, io rimarrò finché vorrete – disse egli, con impeto. – Accetto l’ospitalità che voi cordialmente mi offrite e se mai un giorno, non dimenticate queste parole, milord, noi dovremmo incontrarci non più amici, ma fieri nemici, colle armi in pugno, saprò allora ricordarmi la riconoscenza che vi devo.

      L’inglese lo guardò stupefatto.

      – Perché mi parlate così? – chiese.

      – Forse un giorno lo saprete – rispose Sandokan, con voce grave.

      – Non voglio indagare per ora i vostri segreti – disse il lord, sorridendo. – Aspetterò quel giorno.

      Trasse l’orologio e guardò.

      – Bisogna che parta subito, se devo avvisare gli amici della caccia che intraprenderemo. Addio, mio caro principe – disse.

      Stava per uscire, quando si fermò, dicendo:

      – Se vorrete scendere nel parco, troverete mia nipote, che spero vi terrà buona compagnia.

      – Grazie, milord.

      Era quello che Sandokan desiderava; di potersi trovare, anche per pochi minuti, solo con la giovanetta, forse per svelare la gigantesca passione che divoravagli il cuore.

      Appena si vide solo, si avvicinò rapidamente ad una finestra che guardava su di un immenso parco.

      Là, all’ombra di una magnolia di Cina tempestata di fiori dall’acuto profumo, seduta sul tronco rovesciato di una arenga, stava la giovane lady. Era sola, in atteggiamento pensoso, colla mandola sulle ginocchia. A Sandokan parve una celeste visione. Tutto il sangue gli affluì al capo, e il cuore si mise a battergli con veemenza indescrivibile.

      Egli rimase lì, cogli occhi ardentemente fissi sulla giovanetta, rattenendo perfino il respiro, come se avesse paura di turbarla.

      Ad un tratto però diede indietro, mandando un grido soffocato, che parve un lontano ruggito. La faccia si alterò spaventosamente, prendendo una feroce espressione.

      La Tigre della Malesia, fino allora affascinata, stregata, ora che si sentiva guarita, improvvisamente si risvegliava. Tornava l’uomo feroce, spietato, sanguinario, dal cuore inaccessibile ad ogni passione.

      – Che cosa sto per fare io? – esclamò, con voce rauca, passandosi le mani sull’ardente fronte. – Ma che sia proprio vero che io amo quella fanciulla? È stato un sogno od una inesplicabile pazzia? Che io non sia più il pirata di Mompracem, per sentirmi attratto da una forza irresistibile verso quella figlia di una razza, alla quale io ho giurato odio eterno?

      «Io amare!… Io che non ho provato altro che impeti di odio e che porto il nome di una belva sanguinaria!… Dimenticherei io forse la mia selvaggia Mompracem, i miei fedeli tigrotti, il mio Yanez, che mi aspettano chissà mai in quali ansie? Dimentico io forse che i compatrioti di quella fanciulla, non aspettano che il momento propizio per distruggere la mia potenza?

      «Via questa visione che mi ha perseguitato per tante notti, via questi fremiti che sono indegni della Tigre della Malesia! Spegniamo questo vulcano che mi arde il cuore e facciamo invece sorgere mille abissi fra me e quella sirena incantatrice!…

      «Su, Tigre, fa’ udire il tuo ruggito, seppellisci la riconoscenza che devi a queste persone che ti hanno curato, va’, fuggi lontano da questi luoghi ritorna a quel mare che senza volerlo ti spinse su queste spiagge, ritorna il temuto pirata della formidabile Mompracem!»

      Sandokan così parlando si era rizzato dinanzi alla finestra coi pugni chiusi e i denti stretti, tutto fremente di collera.

      Gli parve di essere diventato un gigante e di udire in lontananza le urla dei suoi tigrotti che lo chiamavano alla pugna e il rombare delle artiglierie.

      Tuttavia egli rimase là, come inchiodato dinanzi alla finestra, trattenuto da una forza superiore al suo furore, cogli occhi sempre ardentemente fissi sulla giovane lady.

      – Marianna! – esclamò ad un tratto. – Marianna!

      A quel nome adorato, quel trabocco d’ira e d’odio sfumò come nebbia al sole. La Tigre tornava uomo e per di più amante!…

      Le sue mani corsero involontariamente al gancio e con un rapido gesto aprì la finestra.

      Un buffo d’aria tiepida, carico del profumo di mille fiori, entrò nella stanza. Nel respirare quei profumi balsamici, il pirata si sentì inebriare e ridestarsi nel cuore, più forte che mai, quella passione che un momento prima aveva cercato di soffocare.

      Si curvò sul davanzale ed ammirò in silenzio, fremente, delirante, la vaga lady. Una febbre intensa lo divorava, il fuoco gli guizzava per le vene riversandosi nel cuore, nubi rosse gli correvano dinanzi agli occhi, ma anche in mezzo a queste vedeva sempre colei che l’aveva stregato.

      Quanto rimase là? Molto tempo senza dubbio, poiché quando si scosse, la giovane lady non era più nel parco, il sole era tramontato, le tenebre erano calate e in cielo scintillavano miriadi di stelle.

      Si mise a passeggiare per la stanza, colle mani incrociate sul petto e la testa china, assorto in cupi pensieri.

      – Guarda! – esclamò, ritornando verso la finestra ed esponendo la fronte ardente alla fresca aria della notte. – Qui la felicità, qui una nuova vita, qui una nuova ebbrezza, dolce, tranquilla; laggiù Mompracem, una vita tempestosa, uragani di ferro, tuonar di artiglierie, carneficine sanguinose, i miei rapidi prahos, i miei tigrotti, il mio buon Yanez!.. Quale di queste due vite?

      «Eppure tutto il mio sangue arde, quando io penso a questi fanciulla che mi ha fatto battere il cuore ancora prima che la vedessi, e nelle vene mi sento correre del bronzo fuso, quando io penso a lei! Si direbbe che io l’antepongo ai miei tigrotti e alle mie vendette! Eppur sento vergogne di me, pensando che ella è figlia di quella razza che io odio così profondamente! Se la dimenticassi?

      «Ah! tu sanguini mio povero cuore, tu non lo vuoi adunque?

      «Prima ero il terrore di questi mari, prima non avevo mai saputo cosa fosse affetto, prima non avevo gustato che l’ebbrezza delle battaglie e del sangue… ed or sento che non potrei gustare più nulla lontano da lei!…»

      Si tacque porgendo ascolto allo stormire delle fronde e al sibilo del suo sangue.

      – E se frapponessi fra me e quella donna divina la foresta, poi il mare, poi dell’odio?… – riprese egli. – Dell’odio! E potrei io odiare costei? Eppure bisogna che io fugga, che ritorni alla mia Mompracem, fra i miei tigrotti!… Se io rimanessi qui la febbre finirebbe per divorare tutta la mia energia, sento che spegnerei per sempre la mia potenza, che non sarei più la Tigre della Malesia… Orsù, partiamo!

      Guardò giù: tre soli metri lo dividevano dal suolo. Tese gli orecchie non udì rumore alcuno.

      Scavalcò il davanzale, e saltò leggermente fra le aiuole e si diresse verso l’albero, sul quale poche ore prima erasi assisa Marianna.

      – Era qui che ella riposava – mormorò egli con voce triste. – Oh! quanto eri bella o Marianna!… Ed io non ti rivedrò più mai!… E non udrò più mai la tua voce, più… più!…

      Si

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