Lutezia. Barrili Anton Giulio
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Parigi ha i suoi barbari, i suoi odiatori domestici, peggiori a gran pezza dei nemici e degli invidiosi di fuori. È da vedersi qui il punto nero; ma, per istudiarlo a dovere, ci vorrebbe tempo d'avanzo, ingegno addestrato a questa maniera d'indagini. E poi, basterebbe ciò, per venire con qualche fondamento ai pronostici? Si ragiona male con certe classi di moralisti, che gridano contro una corruzione da cui non sanno sottrarsi eglino stessi, non si può capire dove mirino certi artefici del lusso, che potrebbero contentarsi di meno, tornando all'aratro, e non vogliono, perchè essi pure hanno nell'anima il baco dei desiderii smodati, e credono di poter domandare come un loro diritto ciò che agli uni concede la fortuna, agli altri il lavoro accumulato di tre o quattro generazioni. Questa confusione di dottrinarii e d'ignoranti sfugge ad ogni esame, manda a male ogni calcolo. Ieri vi hanno sopportato un Dionigi; quest'oggi vi rovesciano un Washington.
Torno all'article de Paris. Qualunque sia, a qualunque industria appartenga, esso è la forza di questa città; ed è qui che la cosa s'intende. La città è tutta un'insegna; ad ogni bottega, ad ogni piano, ad ogni finestra, si vede una scritta in grosse lettere d'oro. Il parrucchiere, il tabaccaio, il liquorista, affittano le loro vetrine alla pubblicità di altre industrie, bisognose di richiamo. Dove c'è un muro maestro che aspetta l'addentellato d'una casa nuova, si legge sempre qualche avviso che ha le lettere alte due palmi. Il Petit Journal, un foglio niente migliore di molti altri, vi annuncia così la sua tiratura di 600,000 copie al giorno. Altrove non ne annuncia che 500,000; in certi luoghi si mette a cavallo delle 550,000; dappertutto fa precedere il numero delle copie da queste parole orgogliose: «le plus grand succès de l'époque». Scommetto che qui farebbe fortuna un giornaletto il quale sapesse spendersi venticinque mila lire per far scrivere su tutte le cantonate disponibili: «_Le plus petit succès de l'époque! Le… n'importe quoi, journal politique quotidien: tirage de 999 exemplaires_». Si riderebbe dei pochi, come si ride dei molti, ma il giornale avrebbe uno spaccio incredibile. Tanta è qui la virtù dell'annunzio!
Che dire del foglietto che si distribuisce a mano su tutti i marciapiedi, su tutti i crocicchi di strada? Il cappellaio che si serve di questo richiamo non vi annunzia mica un cappello da dieci lire; tutt'altro! ve lo annunzia da sedici, o da venti. Voi, che avete appunto bisogno d'un cappello, dite in cuor vostro: – se questo me lo vende a sedici lire, Dio sa quante ne vorrà il cappellaio che non manda attorno i foglietti! – E andate subito da quell'altro e pagate sedici lire, certo di aver cansato una spesa di venticinque. Nè solo per questo, ci andate, ma anche per un poco di gratitudine. Certi foglietti son meraviglie d'arte tipografica, e abbondano di utili indicazioni. L'altro giorno, per esempio, vi davano in questo modo il piano della rassegna militare a Vincennes. Molti, da quattro mesi, vi danno quotidianamente la pianta topografica dell'Esposizione. Un mio amico, presidente d'un Club Alpino dell'Alta Italia, fa raccolta di tutte queste offerte gratuite, con intenzione di custodirle. Ne avrà presto una montagna, e potrà farne l'ascensione.
L'article de Paris è la cosa fatta con maggior garbo, il libro nuovo meglio stampato, il drappo meglio tinto, la veste meglio aggiustata. Una certa grazia biricchina, una certa sprezzatura artistica, un certo modo di presentare l'oggetto, ve ne raddoppiano il valore. E questo è il grande vantaggio. Del resto, qui i prezzi variano secondo le strade. Il boulevard è una ladronaia galante. Entrate in una bottega per comperare una cravatta, o per farvi stampare un centinaio di biglietti di visita; c'è dentro una donnina di garbo, che ragiona a lungo con voi, vi fa strabiliare col suo buon gusto, e con la scoperta del vostro. Non ve ne eravate accorto, ed avevate anche voi un gusto squisito, sopraffine, non plus ultra. La signora, quando vi ha lisciato e ridotto per benino, chiama il commesso, un artista fallito, elegante di aspetto e rispettoso di modi, che è incaricato di darvi il colpo di grazia. Vi si domandano cento lire per ciò che a casa vostra, od anche cinquanta passi lontano, vi costerebbe a mala pena venticinque. Ma come dirgli che è un indiscreto, là, sotto gli occhi della padrona, che vi abbozza con le labbra un sorriso? Rinunziereste al vostro buon gusto, di creazione così recente, vi gabellereste da voi per un barbaro?
Altro esempio. Come ritornare in Italia, non potendo dire di aver pranzato da Bignon, o al caffè Riche? Bisogna dunque passare sotto le Forche caudine; andare al Riche, o da Bignon. Eppure, chiuso là in una di quelle scatole che chiamano sale, pigiato fra venti o trenta persone ad uno di quei deschetti che chiamano tavole, avrete pagato trenta lire, o giù di lì, una scarsa julienne, due piatti di carne, o di pesce, e una bottiglia di vino. Andate in quella vece al Diner parisien o al Diner Valois, e pagate cinque lire un pranzetto più compito di quello, quantunque meno ricco di principii e di frutte che non sia il pranzo a cinque lire d'una trattoria italiana. Andate da Tissot, o da un altro del Palais Royal, e lo stesso pranzo vi costa a mala pena due lire e cinquanta centesimi. In via della Borsa c'è un pulitissimo ristoratore coll'insegna Au Rosbif, che promette di farvi pranzare per una lira e quaranta. Io non ci sono andato, come non sono andato da quell'altro che ieri faceva annunziare i suoi pranzi a una lira e venticinque; ma il timore di essere avvelenato non c'entrava per nulla, bensì quello di non trovare cinquanta centimetri di spazio. Infatti, non crediate che si tratti in queste trattorie (parlo di quelle a cinque lire, e di quelle a due e cinquanta) di mangiare della roba avariata. Ve la danno misurata, ecco tutto; vi obbligano a sceglierne due o tre piatti in una carta che ne ha tre o quattro di entrées, due o tre di pesce, due o tre di arrosti, e che manca di certe primizie, di certe ghiottonerie peccaminose. Le frutte sono pochine; potete scegliere tra una bella pera, una brutta pesca e un mezzo grappolletto d'uva. Ma infine, anche da Bignon, o al caffè Riche, se siete una persona a modo, non mangerete mica tutto quello che vi portano in tavola. E il vino? Qui i vini, poco più, poco meno, si somigliano tutti. Grossi e piccoli ristoratori, vi servono una piquette corrigée, che deriva la sua maggiore o minore bontà dal cartellino. Ed anche qui bisogna far l'atto di fede che si fa in Italia, quando si prende per vin di Chianti il Toscanello, il suo vicino della campagna pisana.
Dunque io dico, l'article de Paris varia secondo le strade e le insegne. Potrei parlarvi dei libri, che comperate a caro prezzo dal libraio, e che avete a stracciamercato sui muricciuoli, quantunque si tratti della medesima edizione, e spesso della medesima freschezza; ma il capitolo si è fatto lungo oltre misura. Ritenete questa verità apodittica, che dappertutto si pela, ma che soltanto a Parigi si conosce l'arte di plumer un poulet sans le faire crier. Al gran prezzo ed al piccolo; e nessuna borsa si salvi.
III
Poliglottismo commerciale. – Eccezioni alla regola. – Orgoglio legittimo. – La fratellanza dei popoli e la razza latina. – Non e ne 'ncaricà. – Retorica onesta. – La parabola del buon levatore. —Laboremus.
English spoken, Man spricht Deutsch, Men spreeckt hollands, Se habla español,
e chi più n'ha più ne metta; io ci rinunzio, avendo dimenticato il testo preciso della medesima frase in russo, in polacco e in ungherese, che ho avuto la fortuna e il piacere di leggere su certe vetrine di via Lafayette.
In questo poliglottismo commerciale di Parigi tutte le nazioni sono rappresentate, ove se ne eccettui la nostra. Non mi è