La rivoluzione di Milano dell'Aprile 1814. Carlo Verri

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roli, Carlo Verri

      La rivoluzione di Milano dell'Aprile 1814

      La rivoluzione milanese dell'aprile 1814 e la caduta del Regno italico, che ne fu conseguenza immediata, ebbero già parecchi storici o raccontatori; quali, per citare solamente i piú diffusi, il Fabi1, il De Castro2, l'Helfert3: ma sono avvenimenti tuttora avvolti in qualche oscurità, dei quali non si è colta ancora compiutamente la ragione storica, forse perché sin dal primo momento troppi furono gli interessati a nascondere il vero di quei rivolgimenti, o almeno a rappresentarli ciascuno in modo che ne restassero giustificate le proprie tendenze e la propria condotta. La serie delle scritture che rispecchiano direttamente i sentimenti e gli atti di coloro che furono spettatori o partecipi ai fatti del 1814 è lunghissima, e tutte andrebbero minutamente esaminate e raffrontate, chi volesse sceverare in ciascuna la particella di vero, che pur vi sarà, e di tutte le particelle comporre la storia genuina e sincera di quei moti. E dagli articoli, dalle notizie e dai documenti che a cominciare dall'aprile 1814 si vennero pubblicando quotidianamente sul milanese Giornale Italiano – l'officioso napoleonico, tramutatosi improvvisamente a officioso austriaco – la serie si produce lungamente sino a quelli Studi intorno alla storia della Lombardia negli ultimi trent'anni, che, dettati certamente dalla principessa Cristina Belgioioso Trivulzio, furono pubblicati in Parigi solamente nel 18464, ma erano eco non ancor fioca dei sentimenti e dei contrasti in mezzo ai quali il Regno italico di Napoleone I era caduto, lasciando, retaggio prezioso, agl'Italiani la coscienza della nazionalità, lo spirito delle armi proprie, il desiderio delle istituzioni civili e la tradizione di un illuminato liberalismo.

      A rappresentare con sufficiente fedeltà lo svolgersi di quei memorabili avvenimenti mi è parso opportuno eleggere di mezzo alle scritture di cotesta serie copiosa le relazioni composte, quando erano recenti i fatti, da due uomini di spirito temperato ed equanime, entrambi per l'ufficio loro di senatori presenti e partecipi alle deliberazioni che furono motivo o pretesto alla rovina del Regno. L'una delle quali relazioni, col titolo di Memoria storica sulla rivoluzione di Milano seguita il giorno 20 aprile 1814, fu distesa solamente qualche mese dopo gli avvenimenti e indi a poco divulgata per le stampe con la data del novembre 18145. Duplice, come appar chiaro dalla semplice lettura, era stato l'intendimento di chi scrisse questa relazione: difendere la condotta del Senato contro le postume accuse del partito indipendentista lombardo e rivelare la parte sinistra che i detrattori del Senato avevano avuto nei tumulti dell'aprile, nello strazio del Prina, nella caduta del Regno. Al primo di questi fini non era parso che corrispondesse abbastanza la Lettera sulla seduta del Senato del Regno d'Italia tenuta a Milano il 17 aprile 1814, la quale era venuta alla luce in Parma, sin dalla fine del maggio6: se n'era saputo subito autore uno dei senatori, «uomo illustre per probità, per carattere, per dottrina», e si disse che non aveva taciuto «la verità anche parlando di sé medesimo»,7 ma il nome di lui, se pur corse sulle bocche dei contemporanei, non fu segnato sulle carte, né oggi sarebbe agevole a riconoscere se non per indizi che potrebbero esser fallaci8. Ad ogni modo la relazione o «commentariuccio», come la designò il Foscolo, fu come il punto di partenza alla piú diffusa «Memoria storica» del novembre, alla quale anzi la narrazione parmense sulla seduta senatoria del 17 aprile 1814 fu accodata come primo e principal documento9.

      Appena la Memoria storica fu pubblicata, la polizia si diè un gran da fare per impedirne la diffusione, sino a ordinare la chiusura d'una libreria ove si era venduta, e molto si affaccendarono gli interessati, o i colpiti che dir si vogliano, a ribattere come meglio potevano le gravi accuse, alle quali aggiungeva valore la pacatezza del racconto e la temperanza dei giudizi e della forma. Il generale Domenico Pino, che per la parte avuta nelle giornate dell'aprile era già stato bersaglio a ben altre contumelie e alla meglio se n'era schermito10, non volle lasciare senza risposta ciò che di lui si diceva nella Memoria storica, e diè fuori sul principio del 1815 certe sue, poco concludenti, Osservazioni… sopra alcune asserzioni dell'autore dell'opuscolo che ha per titolo «Su la rivoluzione di Milano seguita il 20 aprile 1814»; osservazioni le quali non valsero certamente a rimuovere tutti i sospetti che si erano venuti addensando sopra la sua condotta11. Il conte Federico Confalonieri stampò, con la data del 15 marzo 1815, la sua Lettera ad un amico, il conte Antonio Durini, nella quale, un po' confessando la parte avuta nei fatti dell'aprile 1814 e un po' impugnando le asserzioni della Memoria storica, tentò un'abile difesa di sé stesso e già si mostrò, politicamente, assai mutato da quello che era l'anno innanzi; ma anch'egli riuscí tutt'altro che convincente: fortunato che gli avvenimenti posteriori della sua vita e la grandezza del sacrificio e dell'espiazione, circondando la sua memoria di una fulgida aureola di patriottismo, facessero dimenticare quali erano stati i primi suoi passi sulla via malsicura delle congiurazioni politiche12. Finalmente il conte Ludovico Giovio, già consigliere di Stato napoleonico e presidente delle riunioni che nell'aprile e maggio 1814 avevano tenute in Milano i Collegi elettorali di una parte del Regno, difese quella convocazione in un opuscolo, nel quale anche cercò di scagionare sé stesso dalla taccia datagli nella Memoria storica di esser stato troppo facilmente ingrato verso un governo che lo aveva innalzato ai piú alti onori13.

      Mentre cosí si appuntavano le armi contro la relazione documentata, che in povera veste era venuta da Lugano a raccontar fatti che si volevano sopire, era naturale che si cercasse di sapere chi ne fosse l'autore. Sulle prime corse voce che l'avesse fatta Melchiorre Gioia14, forse perché dell'economista piacentino si ricordavano altri opuscoli pubblicati nell'occasione di gravi mutazioni politiche nel ventennio anteriore; ma la voce cadde di per sé, senza bisogno di essere smentita. Maggior consistenza invece prese l'opinione che uno o piú senatori avessero lavorato a mettere insieme la Memoria storica, e a questa opinione aderí anche Ugo Foscolo, quando prese a confutar quella relazione nei suoi discorsi Della servitú dell'Italia15: generosi ed eloquenti discorsi, nei quali per altro non è dissimulato il dispetto del poeta di essere stato additato come frequentatore di mense ministeriali e sovvertitore della plebe ai tumulti del 20 aprile. Il Foscolo, come si vede da piú luoghi di quei discorsi e da altri della Lettera apologetica scritta quasi dieci anni di poi agli editori padovani della Minerva16, teneva, se non per autore, almeno per ispiratore principale della Memoria storica il senatore Diego Guicciardi, fattosi, sempre secondo il Foscolo, sostenitore del principio della monarchia di diritto divino, appunto in quei giorni che l'Austria si preparava a soppiantare la Francia, e proclamatosi da sé per uomo di Stato a nessuno secondo. E questa ch'era stata l'opinione del Foscolo divenne presto universale, tanto che nel 1822 il Saint-Edme (cioè Teodoro Bourg, già commissario nelle guerre napoleoniche e sostenitore anche dopo il 1815 delle idee repubblicane e imperiali), pubblicando in Parigi la sua traduzione francese della Memoria storica,17 vi poneva in fronte il nome del Guicciardi e nella prima delle note da lui aggiunte ragionava e argomentava tale attribuzione cosí:

      1º Dans son avertissement, l'éditeur annonce que l'ouvrage qu'il publie est dû à un illustre personnage du royaume d'Italie, qui avait le droit de conserver près de lui les documens authentiques placés à la fin du mémoire: le comte Guicciardi était sénateur et chancelier du sénat.

      2º L'exposé de la situation morale de l'Italie qui précède l'historique de la révolution, est basé: 1º sur des bruits auxquels n'aurait point ajouté foi tout autre écrivain de l'époque qui n'aurait point eu à justifier une opinion émise dans une assemblée politique, opinion opposée à sa conduite antérieure, aux vues du prince, et peut-être au bien de son pays;

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<p>1</p>

Milano e il Ministro Prina, narrazione storica del Regno d'Italia (aprile 1814) tratta da documenti editi ed inediti per Massimo Fabi, Novara, A. Pedroli, 1860; 8º, p. 248. È libro notabile perché vi sono raccolti molti documenti pubblici concernenti quei fatti; ma il Cantù, Cronistoria dell'Indip. ital., vol. 1, p. 869 attesta: «questo è lavoro del consigliere Carlo Castiglia, che lo esibí a me e ad altri, prima di venderlo al Fabi, che lo stampò per suo».

<p>2</p>

La caduta del Regno italico, narrazione desunta da testimonianze contemporanee e da documenti inediti o poco noti per cura di Giovanni De Castro, Milano, Treves, 1882; 16º, p. 366. È ricco, come tutti i libri del De Castro sull'età napoleonica, di notizie e giudizi tratti da scritture contemporanee, e ha uno spiccato carattere aneddotico che ne rende piacevole la lettura né poco conferisce all'intelligenza dei tempi e degli uomini.

<p>3</p>

Barone von Helfert, La caduta della dominazione francese nell'Alta Italia e la congiura militare bresciano-milanese nel 1814, traduzione consentita dall'autore di L. G. Cusani Confalonieri, con un'appendice di documenti, Bologna, N. Zanichelli, 1894; 16º, pag. 282. È importante specialmente perché l'autore attinse notizie da documenti riservati degli archivi di Vienna, ma, come altri libri dell'Helfert su cose italiane, tende a giustificare la politica austriaca, e però trascura fatti, censura persone, pronuncia giudizi dimostrando molta parzialità. La pubblicazione dell'originale tedesco è del 1880.

<p>4</p>

Il testo francese fu pubblicato in Parigi, Laisné, 1846, e la traduzione italiana, ivi 1847. È un libro ormai rarissimo, perché le copie venute in Italia furono quasi tutte confiscate dalla polizia austriaca, e però ci proponiamo di ristamparlo quando che sia in questa nostra Biblioteca storica del Risorgimento italiano. Intanto sovr'esso si vedano Cusani, St. di Milano, VII 84, De Castro, op. cit., p. 10, Helfert, op. cit., pag. 24.

<p>5</p>

Il titolo del libretto, stampato in carta grossolana e della dimensione di cm. 21×12, è riprodotto a fac-simile nella p. 1 del presente volume. La data di Parigi è probabilmente fittizia, poiché la carta, i caratteri ed altre particolarità materiali del libro lo mostrerebbero uscito dalla stamperia del Veladini di Lugano (cfr. De Castro, op. cit., p. 39; Catalogo del Museo del Risorgimento nazionale di Milano, II, 236): tuttavia a provenienza parigina sembra accennare l'autore stesso nella sua lettera al Cassi, che sarà riferita or ora.

<p>6</p>

Parma, stamperia Carmignani, 1814, 16º, p. 12.

<p>7</p>

Fabi, op. cit., p. 223.

<p>8</p>

A questa Lettera di stampa parmense accenna il Foscolo, Opere V, 221: «… benché vi fosse da ridire, tuttavia si è lasciato correre, perché era dettato a difesa con modestia d'uomo dabbene: tace il vero, che forse era occulto a quello scrittore; non però dice il falso». Non crederei di errare sospettando autore di questa relazione uno dei senatori Vincenzo Dandolo o Federico Cavriani, i soli, tra quelli che vi son nominati, cui possano applicarsi e la qualifica d'uomo dabbene, secondo il giudizio del Foscolo, e le lodi raccolte dal Fabi: per il Cavriani starebbe anche il fatto che a lui fu erroneamente attribuita la Memoria storica dell'Armaroli (cfr. G. Melzi Dizion. di opere anon. e pseudon., vol II, p. 470).

<p>9</p>

Vedasi in questo volume pp. 43-49.

<p>10</p>

Alludo specialmente al libello, tribuito a Stefano Méjan, Le Roi Pino à la bataille des parapluies, stampato in Germania nel maggio 1814, e all'altro intitolato: Le Lamentazioni, ossieno le quattro Notti del general Pino. Italia 1815 (forse stampato a Milano): il Pino rispose con gli Schiarimenti sopra alcuni articoli esistenti nel libello intitolato, «Le quattro Notti del generale Pino,» anche questi del 1815.

<p>11</p>

È un opuscolo in 8º, di p. 16. – Da vedere in proposito ciò che scrisse, a cose quiete, A. Zanoli, Sulla milizia cisalpino-italiana cenni storico-statistici dal 1796 al 1814, Milano, Borroni e Scotti 1845, vol. II, pp. 441-445.

<p>12</p>

La Lett. ad un amico, senza note tipogr., è un opuscolo di p. 23, oggimai introvabile: una copia è nell'Ambrosiana (De Castro, p. 36), un'altra nel Museo milanese del Risorgimento (Catalogo I, 316): ma è stata ristampata in Memorie e lettere di F. Confalonieri, a cura di G. Casati, Milano, Hoepli, 1890, p. 253-273.

<p>13</p>

L'opuscolo del Giovio è rarissimo: una copia ne conserva l'Ambrosiana in una miscellanea S. C. v. v. 26, che è tutta di cose manoscritte e stampate sui fatti del 20 aprile 1814 (De Castro, pp. 36, 82).

<p>14</p>

Il nome del Gioia è dato da un esemplare della Memoria storica, posseduto dalla R. Biblioteca Vittorio Emanuele (22, 14, B, 11) con queste parole manoscritte: Vuolsi del senatore Conte Guicciardi, ma piú si attribuisce al Gioia.

<p>15</p>

Foscolo, Opere, vol. V, p. 171-253; specialmente si noti ciò che leggesi a p. 175, 178, 183, 211-213, 222.

<p>16</p>

Op., vol. V, p. 489-609; specialmente, p. 495, 568.

<p>17</p>

Relation historique de la Révolution du royaume d'Italie en 1814; par le comte Guicciardi, ex-chancelier du Sénat; traduit de l'italien par M. Saint-Edme. A Paris, chez A. Corréard, libraire, Palais-royal, Galerie de bois, n. 258, 1822; in-8º, di p. VI-204.