Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 3. Edward Gibbon
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Читать онлайн книгу Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 3 - Edward Gibbon страница 8
Tosto che fu pubblicata la sentenza, «Noi moriremo con lui» gridò generalmente tutta insieme la moltitudine dei Cristiani, che stava ad ascoltare avanti le porte del Palazzo. Le generose loro dimostrazioni di zelo e di affetto non furono nè vantaggiose a Cipriano, nè per loro stessi pericolose. Fu egli condotto sotto la guardia de' Tribuni e de' Centurioni, senza resistenza, e senza insulto, al luogo dell'esecuzione, ch'era una spaziosa pianura vicina alla città, ed era già piena di un gran numero di spettatori. A' fedeli di lui Diaconi e Preti fu concesso di accompagnare il Santo lor Vescovo. Essi l'aiutarono a togliersi le vesti di sopra, stesero sul terreno de' panni per raccoglier le preziose reliquie del suo sangue, e da esso riceveron l'ordine di dare venticinque monete d'oro all'esecutore. Dopo di che il Martire si cuoprì con le proprie mani la faccia, e ad un solo colpo fu reciso il suo capo dal busto. Rimase per alcune ore il cadavere esposto alla curiosità de' Gentili; ma nella notte fu tolto di là, e con trionfal processione allo splendore di molti lumi fu trasportato al cimitero dei Cristiani. Furon celebrate pubblicamente a Cipriano l'esequie senza il minimo impedimento per parte dei Magistrati Romani; e que' Fedeli, che prestaron gli ultimi uffizj alla persona e memoria di lui, furono sicuri da ogni pericolo d'inquisizione o di pena. Egli è da osservarsi, che in una moltitudine sì grande di Vescovi, che si trovavano nella Provincia dell'Affrica, Cipriano fu il primo, che fosse reputato degno di ottener la corona del martirio88.
Era veramente in poter di Cipriano o di morir martire, o di vivere apostata: ma dipendeva da questa scelta l'alternativa dell'onore, o dell'infamia. Se potesse anche supporsi che il Vescovo di Cartagine si fosse servito della professione della fede Cristiana solo come d'istrumento della propria ambizione o avarizia, doveva egli sempre sostenere il carattere che aveva assunto89; e se in lui era la minima dose di viril fortezza, doveva esporsi piuttosto a' più crudeli tormenti, che per un solo atto cambiare la riputazione di tutta la vita nell'abborrimento de' suoi Cristiani fratelli e nel disprezzo del mondo Gentile. Ma se lo zelo di Cipriano veniva sostenuto da una sincera persuasione della verità di quelle dottrine ch'egli predicava, la corona del martirio dovea sembrargli piuttosto un oggetto di desiderio che di terrore. Dalle vaghe, sebben eloquenti declamazioni de' Padri non è così facile di concepire un'idea distinta, o di determinare il grado di quell'immortal gloria e felicità, ch'essi con fiducia promettevano a quelli ch'erano sì fortunati da spargere il proprio sangue in difesa della religione90. Con la diligenza che si conveniva, essi inculcavano, che il fuoco del martirio suppliva ogni difetto, ed espiava ogni colpa; che mentre le anime degli altri Cristiani eran obbligate a passare per una lenta e penosa purificazione, i Martiri entravano trionfanti al godimento immediato dell'eterna felicità, dove in compagnia de' Patriarchi, degli Apostoli e de' Profeti regnavan con Cristo, ed erano come assessori di esso nell'universal giudizio dell'uman genere. La sicurezza di una durevole riputazione sopra la terra, motivo sì confacente alla vanità della natura umana, serviva spesse volte ad animare il coraggio de' Martiri. Gli onori, che Roma od Atene largivano a' que' cittadini, ch'erano morti per difesa della lor patria, non erano che fredde e deboli dimostrazioni di rispetto, ove si confrontino coll'ardente gratitudine e devozione, ch'esprimeva la primitiva Chiesa verso i vittoriosi campioni della fede. S'incominciò a celebrare come una ceremonia sacra l'annual commemorazione delle virtù e dei tormenti loro, e andò a terminar finalmente in un culto religioso. Fra' Cristiani poi, che avevan pubblicamente confessato i principj di lor religione, quelli che si liberavano (come spesso accadeva) dal tribunale o dalle carceri de' Magistrati Pagani, godevano quegli onori ch'erano giustamente dovuti all'imperfetto martirio, ed alla generosa fermezza che avevano dimostrato. Le più devote donne ambivano che fosse loro permesso d'imprimer baci su' ferri ch'essi avevan portato, e sulle ferite che avevano ricevuto. Le lor persone si stimavano sante; se ne ricevevan con rispetto le decisioni; ed essi troppo spesso abusavano, col loro spirituale orgoglio e colle licenziose maniere, della preminenza, che lo zelo e l'intrepidezza avevano loro acquistato91. Distinzioni di questa sorta, nel tempo che rappresentano la grand'esaltazione del merito, mostrano il picciol numero di quelli che soffrirono patimenti, o la morte per la professione del Cristianesimo.
La sobria discrezione de' nostri tempi sarebbe più portata a censurar che ad ammirare, e potrebbe anche più facilmente ammirar che imitare il favore de' primi Cristiani, i quali, secondo la viva espressione di Sulpicio Severo, desideravano il martirio con maggiore ansietà di quel che i suoi contemporanei sollecitassero un Vescovato92. L'epistole scritte da Ignazio, quando egli era condotto in catene per le città dell'Asia, spirano i sentimenti più ripugnanti alla comune inclinazione della natura dell'uomo. Vivamente egli prega i Romani, che quando sarà esposto nell'Anfiteatro, non vogliano con le lor tenere ma inopportune intercessioni privarlo della corona della gloria, e si dichiara risoluto di voler provocare ed irritar le bestie feroci, che verrebbero impiegate come istrumenti della sua morte93. Si raccontano alcune storie del coraggio di Martiri, che effettivamente fecero quel che Ignazio s'era proposto: che inasprirono il furor de' Leoni, sollecitaron l'esecutore ad affrettare il suo uffizio, allegramente saltaron nel fuoco preparato per consumarli, e dimostrarono un senso di gioia e di piacere nel mezzo de' più squisiti tormenti. Si son conservati molti esempi di uno zelo, che non poteva soffrire que' freni che gl'Imperatori avean posti per sicurezza della Chiesa. Supplivano alle volte i Cristiani medesimi con la propria volontaria dichiarazione alla mancanza di un accusatore, precipitosamente sturbavano le pubbliche funzioni del Paganesimo94, e correndo in folla a' tribunali de' Magistrati, chiedevano loro che pronunziassero ed eseguissero la sentenza stabilita dalla legge. La condotta de' Cristiani era in vero troppo notabile per isfuggire alla vista degli antichi Filosofi; ma sembra che fosse per loro un oggetto molto meno d'ammirazione che di stupore. Incapaci d'immaginare i motivi, che alle volte trasportavano la fortezza de' credenti oltre i confini della prudenza o della ragione, trattavano tale ansietà di morire come uno stravagante risultato di ostinata disperazione, di stupida insensibilità, o di superstiziosa frenesia95. «Infelici! (esclamò il Proconsole Antonino, parlando a' Cristiani dell'Asia) infelici! se voi siete sì stanchi di vivere, vi sembra egli tanto difficil cosa il trovar delle funi e de' precipizj?96.» Egli andò sommamente guardingo (come osserva un erudito e devoto Istorico) nel punire persone che non avevan trovati altri accusatori che se medesimi, non essendosi dalle leggi Imperiali fatto provvedimento veruno per un caso così inaspettato; laonde avendone condannati alcuni pochi per servir d'esempio a' loro fratelli, scacciò la moltitudine
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Ponzio (c. 15) confessa che Cipriano, col quale cenò egli stesso, passò la notte
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Vedasi negli Atti c. 4, ed appresso Ponzio c. 17, la sentenza originale. Quest'ultimo l'esprima in un modo oratorio.
88
Vedi Ponzio c. 19. Al Tillemont (
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Qualunque sia l'opinione che possiamo avere del carattere o de' principj di Tommaso Becket, bisogna confessare ch'egli soffrì la morte con una costanza non indegna de' primitivi Martiri. Vedi Lord Lyttelton
90
Vedasi particolarmente il trattato di Cipriano
91
Vedi Cipriano
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93
Vedi
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L'Istoria di Polieuto, sulla quale Cornelio ha formato una bellissima tragedia, è uno de' più celebri, quantunque non de' più autentici esempi di questo eccessivo zelo. Noi dobbiam osservare, che il canone 60 del Concilio d'Elvira nega il titolo di martiri a quelli che si esponevano alla morte col pubblicamente distruggere gl'Idoli.
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Vedi Epitteto
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