Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 3. Edward Gibbon

Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 3 - Edward Gibbon страница 9

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 3 - Edward Gibbon

Скачать книгу

rel="nofollow" href="#n97" type="note">97. Nonostante però questo reale o affettato sdegno, l'intrepida costanza de' Fedeli produceva gli effetti più salutari su quegli spiriti, che dalla natura e dalla grazia eran disposti a ricever facilmente le verità religiose. In tali funeste occasioni, fra' Gentili v'erano molti, che avevano compassione, che ammiravano, e che si convertivano. Da quelli che pativano, si comunicava il generoso entusiasmo agli spettatori, ed il sangue de' Martiri, secondo una ben nota osservazione, divenne il seme della Chiesa.

      Ma sebbene la devozione sublimato avesse, e l'eloquenza continuasse ad infiammar questo ardor della mente, pure esso diede insensibilmente luogo alle speranze e ai timori più naturali del cuore umano, all'amor della vita, all'apprension della pena, ed all'orrore del proprio discioglimento. I più prudenti regolatori della Chiesa trovaronsi costretti a raffrenar l'indiscreto fervore de' lor seguaci, e a diffidare di una costanza, che troppo spesso gli abbandonava nell'ora dell'esperimento98. A misura che divenne meno mortificata ed austera la vita de' Fedeli, essi furono di giorno in giorno meno ambiziosi degli onori del martirio; ed i soldati di Cristo, in vece di distinguersi con volontarie azioni d'eroismo, disertavan frequentemente dal loro posto, e fuggivano in confusione l'aspetto di quel nemico, al quale erano in dover di resistere. Vi erano però tre maniere di evitare le fiamme della persecuzione, che non portavan seco il grado medesimo di reato: la prima in vero si risguardava generalmente come innocente; la seconda era di una specie dubbiosa, o almeno di una veniale mancanza; ma la terza induceva una diretta e colpevole apostasia dalla fede Cristiana.

      I. Un moderno Inquisitore udirebbe veramente con sorpresa, che allorchè avanti ad un Magistrato Romano accusavasi alcuno sottoposto alla sua giurisdizione, per aver abbracciato la setta del Cristianesimo, fosse comunicata l'accusa alla parte accusata, e le fosse accordato un conveniente spazio di tempo per porre in ordine i propri affari domestici, e per preparare una difesa al delitto che le veniva imputato99. Se l'accusato avea qualche dubbio intorno alla propria costanza, tal dilazione gli somministrava l'opportunità di conservar la sua vita ed il suo onore mediante la fuga, di ritirarsi in qualche oscura solitudine, o in qualche distante Provincia per ivi aspettare pazientemente il ritorno della sicurezza e della pace. Un contegno sì conforme alla ragione veniva spesso autorizzato dall'avviso e dall'esempio de' più santi Prelati, e sembra, che fosse censurato da pochi, se si eccettuino i Montanisti, che dal loro stretto ed ostinato attaccamento pel rigore dell'antica disciplina furon condotti all'eresia100. II. I Governatori delle Province, ne' quali non prevaleva lo zelo all'avarizia, avevano introdotto il costume di vendere degli attestati (o come si dicevan libelli) ne' quali facevan fede, che le persone ivi menzionate avean soddisfatto alle leggi, e sacrificato alle Romane divinità. Producendo queste false dichiarazioni, potevano gli opulenti e timorosi Cristiani ridurre al silenzio la malignità di un accusatore, e in qualche modo conciliare la religione con la loro salvezza. Una tenue penitenza poi serviva a purgare questa profana dissimulazione101. III. In ogni persecuzione si trovava un gran numero d'indegni Cristiani, che pubblicamente negavano, o rinunciavano la fede che professavano; e che confermavan la sincerità di loro abbiura con gli atti legali di ardere incenso, o di offerire sacrifizii. Alcuni di questi apostati cedevano alla prima esortazione o minaccia del Magistrato, mentre la pazienza d'altri era vinta dalla lunghezza e reiterazion de' tormenti. I volti spaventati di alcuni tradivano i loro interni contrasti, mentre altri s'avanzavano con fiducia ed ilarità verso gli altari degli Dei102. Ma la finzione, indotta dal timore, non durava più lungamente del presente pericolo. Appena diminuiva il rigore della persecuzione, le porte della Chiesa erano assediate dalla moltitudine de' penitenti, che detestavano la loro idolatrica sommissione, e che supplicavano con uguale ardore, ma con vario successo, di esser nuovamente ricevuti nella società de' Cristiani103.

      IV. Quantunque fossero stabilite varie regole generali per convincere e per punire i Cristiani, pure in un esteso ed arbitrario governo il destino di que' settarj doveva sempre in gran parte dipendere dal lor portamento, dalle circostanze de' tempi e dall'indole tanto del supremo, che de' subalterni lor Giudici. Alle volte lo zelo potea provocare, e la prudenza mitigare o rimuovere il superstizioso furor de' Pagani. Diversi motivi potevan disporre i Governatori delle Province a mantenere in vigore, o a rilassar l'esecuzione delle leggi, ed il più forte fra questi era il riguardo che avevano non solo pei pubblici editti, ma ancora per le segrete intenzioni dell'Imperatore, del quale uno sguardo era sufficiente ad accendere, o ad estinguere la persecuzione. Ogni volta che si esercitava qualche accidentale severità nelle diverse parti dell'Impero, i primitivi Cristiani si dolevano de' lor patimenti, e forse gli ampliavano; ma il celebre numero di dieci persecuzioni fu determinato dagli scrittori Ecclesiastici del quinto secolo, che avevano una cognizione più distinta de' casi prosperi ed avversi della Chiesa, dal tempo di Nerone fino a quello di Domiziano. Gl'ingegnosi paralelli delle dieci piaghe d'Egitto e delle dieci corna dell'Apocalisse furono i primi a suggerir questo numero alle lor menti, e nell'applicazione, che facevano della fede profetica alla verità istorica, ebber la cura di sceglier que' regni che furon veramente i più contrari alla causa de' Cristiani104. Ma queste passeggiere persecuzioni non servivano, che a ravvivare lo zelo, ed a restaurar la disciplina de' Fedeli, ed i momenti di un rigore straordinario venivan compensati da intervalli molto più lunghi di sicurezza e di pace. L'indifferenza di alcuni Principi, e l'indulgenza di altri fecer godere a' Cristiani una pubblica e di fatto, quantunque per avventura non giuridica, tolleranza di lor religione.

      L'Apologia di Tertulliano contiene due molto antichi, molto singolari, e nel tempo stesso molto sospetti esempi d'Imperiale clemenza, cioè gli editti pubblicati sotto Tiberio e Marco Antonino, e diretti non solo a protegger l'innocenza de' Cristiani, ma anche a promulgare quegli stupendi miracoli che avevan contestato la verità di lor dottrina. Il primo di essi è accompagnato da alcune difficoltà, che potrebbero far dubitare uno spirito scettico105. Ci si vorrebbe far credere, che Ponzio Pilato informasse l'Imperatore dell'ingiusta sentenza di morte, ch'esso aveva pronunziata contro una persona innocente, e per quanto pareva, divina, e che, senza acquistarne il merito, si esponesse al pericolo del martirio; che Tiberio il quale non occultava il suo disprezzo per ogni religione, immediatamente concepisse il disegno di porre il Messia Giudeo fra' Numi Romani; che il servile Senato si avventurasse a disubbidire a' comandi del suo Signore; che Tiberio, invece di risentirsi di tal rifiuto, si contentasse di proteggere i Cristiani dalla severità delle leggi, molti anni prima che queste fossero fatte, o avanti che la Chiesa prendesse un nome, o avesse un'esistenza particolare; e finalmente che si conservasse la memoria di questo fatto straordinario ne' registri più pubblici ed autentici, i quali non vennero a notizia degl'Istorici Greci e Romani, e furon soltanto visibili agli occhi di un Cristiano d'Affrica, il quale compose la sua apologia cento sessant'anni dopo la morte di Tiberio. Si suppone, che l'Editto di Marco Antonino fosse l'effetto della sua devozione e gratitudine per essere stato miracolosamente liberato nella guerra contro i Marcomanni. L'angustia delle Legioni, l'opportuna tempesta di pioggia e di grandine, di tuoni e di fulmini, ed il terrore e la disfatta de' Barbari, si celebrarono dall'eloquenza di più scrittori Pagani. Se in quell'esercito si fosse trovato alcun Cristiano, egli era naturale ch'essi dovessero attribuir qualche merito alle fervide preci, che nel momento del pericolo avean fatte per la propria, e per la pubblica sicurezza. Ma tuttavia siamo assicurati da monumenti di marmo e di rame, dalle medaglie Imperiali e dalla colonna Antonina, che nè il Principe, nè il Popolo dimostrò alcun sentimento di questo segnalato favore, giacchè attribuirono di comune accordo la loro liberazione alla providenza di Giove ed all'interposizion di Mercurio. In tutto il corso del suo Regno, Marco disprezzò i Cristiani come filosofo, e li punì come Sovrano106.

      Per una fatalità singolare, i travagli che avevano sofferto i Cristiani sotto il governo di un Principe virtuoso, immediatamente cessarono al comparir di un Tiranno, e siccome nessuno, fuori di loro, aveva sperimentato l'ingiustizia di Marco, così furono essi soli protetti dalla

Скачать книгу


<p>98</p>

Vedi l'epistola della Chiesa di Smirne ap. Euseb. Hist. Eccl. (l. IV. c. 15).

<p>99</p>

Nella seconda Apologia di Giustino si trova un esempio speciale e molto curioso di questa legal dilazione. Il medesimo fu concesso a' Cristiani accusati nella persecuzione di Decio; e Cipriano (de Lapsis) fa espressa menzione del dies negantibus praestitutus.

<p>100</p>

Tertulliano risguarda la fuga dalla persecuzione come un'imperfetta, sebbene assai colpevole, apostasia, come un empio tentativo di eludere la volontà di Dio ec. Egli ha scritto un trattato su tal proposito (Vedi p. 536-544. Edit. Rigalt.). che è pieno del più fiero fanatismo e della più incoerente declamazione. Merita però qualche attenzione il vedere che Tertulliano medesimo non sofferse il martirio.

<p>101</p>

I Libellatici, che sono specialmente noti per le opere di Cipriano, vengono descritti con la massima precisione nel copioso commentario di Mosemio p. 48, 489.

<p>102</p>

Vedi Plinio (Epist. X. 97.) Dionisio Alessandrino. ap. Euseb.(l. VI. c. 41.) Ad prima statim verba minantis inimici maximus fratrum numerus fidem suam prodidit: nec prostratus est persecutionis impetu, sed voluntario lapsu seipsum prostravit. Cyprian. oper. p. 89. Fra questi disertori trovaronsi molti Preti ed anche Vescovi.

<p>103</p>

Fu in quest'occasione, che Cipriano scrisse il suo trattato de Lapsis, e molt'epistole. Fra' Cristiani del secolo antecedente non si trova la controversia intorno al trattamento degli apostati penitenti. Dobbiamo noi attribuirlo alla superiorità della fede e coraggio di essi, od alla più scarsa cognizione, che abbiamo della loro Istoria?

<p>104</p>

Vedi Mosemio p. 97. Sulpicio Severo fu il primo autore di questo computo, quantunque sembri, che desideri di riservar la decima e maggiore persecuzione per la venuta dell'Anticristo.

<p>105</p>

Della testimonianza, che fece Ponzio Pilato si fa menzione per la prima volta da Giustino. I successivi accrescimenti fatti a quell'Istoria (nel passare ch'ella fece per le mani di Tertulliano, di Eusebio, di Epifanio, di Grisostomo, di Orosio, di Gregorio Turonense, e degli autori di molte edizioni degli Atti di Pilato) sono esattamente fissati dal Calmet; Dissertazioni sulla Scrittura (Tom. III. p. 651. ec.).

<p>106</p>

Rispetto a questo miracolo, come si dice comunemente della Legione fulminea, vedasi l'ammirabil critica di Moyle Vol. II. p. 81-390 delle sue opere.