Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5. Edward Gibbon

Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5 - Edward Gibbon страница 12

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5 - Edward Gibbon

Скачать книгу

potuto aspettar la speranza di una ribellione futura. Ei fu vinto però dalla perseveranza di Teodosio, che avea fatto un'inflessibile risoluzione di non terminare la guerra che con la morte del tiranno, e d'involger nella rovina di lui qualunque nazione Affricana, che avesse ardito di sostenerne la causa. Alla testa d'un piccolo corpo di truppe, che rare volte eccedevano il numero di tremila cinquecento uomini, il Generale Romano avanzavasi con una costante prudenza, senza temerità e senza timore, nel cuore d'un paese, in cui veniva attaccato alle volte da eserciti di ventimila Mauritani. La fermezza della sua disciplina disordinava l'irregolarità dei Barbari; essi erano sconcertati dalle opportune ed ordinate sue ritirate; restavan continuamente delusi dagli ignoti ripieghi dell'arte militare, e sentirono e confessarono la giusta superiorità che aveva sopra di loro il Capitano d'una incivilita nazione. Allorchè Teodosio entrò negli estesi dominj d'Igmazen Re degli Isaflensi, l'altiero Selvaggio domandò in termini di diffidenza il suo nome, e l'oggetto di sua spedizione: «Io sono (replicò il forte e non timido Conte) io sono il Generale di Valentiniano, Signore del Mondo, che qua mi ha spedito a perseguitare e punire un disperato ladrone. Dàllo subito nelle mie mani; e sia certo, che se non obbedirai agli ordini dell'invincibile mio Sovrano, tu ed il popolo, su cui regni, sarete totalmente distrutti». Tosto che Igmazen fu convinto, che il suo nemico avea forza e risolutezza capace d'eseguire quella fatal minaccia, consentì a comprare una pace necessaria col sacrifizio d'un reo fuggitivo. Le guardie, che furon poste alla custodia della persona di Firmo, gli tolsero qualunque speranza di fuga; ed il Mauritano Tiranno, dopo d'aver estinto col vino il sentimento del pericolo, deluse l'insultante trionfo dei Romani, strangolandosi da se stesso la notte. Il suo cadavere, unico presente che Igmazen potè offerire all'Imperatore, fu con disprezzo gettato sopra un cammello; e Teodosio riconducendo le sue vittoriose truppe a Sitifi, fu salutato dalle più vive acclamazioni di gioia e di fedeltà123.

      S'era perduta l'Affrica pe' vizi di Romano e ricuperata per le virtù di Teodosio: ora la nostra curiosità può vantaggiosamente occuparsi in investigare il trattamento che i due Generali rispettivamente ottennero dalla Corte Imperiale. Era stata sospesa l'autorità del Conte Romano dal Comandante generale della cavalleria; egli era stato posto in sicura ed onorevol custodia fino al termine della guerra. I suoi delitti eran dimostrati con le più autentiche prove; ed il pubblico aspettava con impazienza il decreto di una rigorosa giustizia. Ma il parziale e potente favore di Mellobaude l'animò a ricusare i legittimi suoi giudici, ad ottenere replicate dilazioni a fine di procurarsi una folla di favorevoli testimonianze, e finalmente a cuoprire la rea sua condotta coll'altro delitto della frode e della finzione. Verso il medesimo tempo, il restauratore della Britannia e dell'Affrica, sopra un incerto sospetto, che il nome ed i servigi di lui fossero superiori al grado di suddito, fu ignominiosamente decapitato a Cartagine. Non regnava più Valentiniano; e la morte di Teodosio non meno che l'impunità di Romano si può giustamente attribuire alle arti dei Ministri, che abusarono della confidenza, ed ingannarono l'inesperta gioventù dei suoi figli124.

      Se Ammiano avesse usato la geografica sua esattezza nel descrivere le operazioni Affricane di Teodosio, noi avremmo con ardente curiosità seguitato i distinti e domestici passi della sua marcia. Ma la tediosa enumerazione delle incognite e non interessanti tribù dell'Affrica, si può ridurre alla generale osservazione, che esse erano tutte della nera stirpe dei Mori, che abitavano gl'interni stabilimenti delle province della Mauritania e della Numidia, paese (come in seguito si è chiamato dagli Arabi) dei datteri e dello locuste125; e che come andava nell'Affrica decadendo la potenza Romana, insensibilmente si ristringevano i limiti della civiltà e dell'agricoltura. Oltre gli ultimi confini de' Mauritani, il vasto ed inospito deserto del Sud s'estende più di mille miglia fino alle rive del Nigro. Gli Antichi, i quali avevano una cognizione molto debole ed imperfetta della gran Penisola dell'Affrica, furono alle volte indotti a credere, che dovesse la zona torrida restare perpetuamente priva di abitatori126; ed alle volte divertivano la lor fantasia con empire quel voto intervallo di uomini o piuttosto di mostri127, di satiri con le corna e col piede forcuto128, di favolosi centauri129, e di umani pimmei, che facevano un'audace e dubbiosa guerra contro le grue130. Cartagine avrebbe tremato alla strana notizia che le terre di là dall'equatore eran piene d'innumerabili popoli, i quali non differivano dall'ordinaria figura della specie umana, che nel colore; ed i sudditi del Romano Impero avrebbero potuto affannosamente aspettare, che quegli sciami di Barbari, che uscivan dal Settentrione, presto incontrassero dalla parte del Mezzogiorno nuovi sciami di Barbari ugualmente formidabili e fieri. Tali oscuri terrori si sarebbero invero dissipati dalla più esatta cognizione del carattere degli Affricani loro nemici. L'inazione per altro dei Neri non sembra che sia l'effetto nè della virtù, nè della pusillanimità loro. Soddisfano essi, come il resto degli uomini, le loro passioni ed appetiti; e le vicine tribù si trovan frequentemente impegnate in atti d'ostilità131. Ma la rozza loro ignoranza non ha inventata mai verun arme efficace di difesa o di distruzione; pare che siano incapaci di formare alcun piano esteso di governo o di conquista; e le nazioni della zona temperata facilmente hanno scoperta l'inferiorità delle loro potenze intellettuali; e ne hanno abusato. Ogni anno s'imbarcano dalla costa della Guinea sessantamila Neri per non tornar mai più al nativo loro paese; ma sono imbarcati in catene132; e tal continua emigrazione che nello spazio di due secoli avrebbe potuto somministrar eserciti da soggiogar tutto il globo, accusa la reità dell'Europa e la debolezza dell'Affrica.

      IV. Era stato fedelmente eseguito dalla parte dei Romani l'ignominioso trattato, che salvò l'esercito di Gioviano; e siccome avevano essi rinunziato solennemente alla sovranità ed alleanza dell'Armenia e dell'Iberia, quei tributari due regni si trovarono esposti senza protezione alle armi del Monarca Persiano133. Entrò Sapore nel territorio dell'Armenia, conducendo un formidabile esercito di corazze, di arcieri e d'infanteria mercenaria; ma era un invariabile suo costume il mescolare la guerra con la negoziazione, e risguardar la falsità e lo spergiuro, come gli istrumenti più efficaci della reale politica. Egli affettò di lodare la prudente e moderata condotta del Re d'Armenia; ed il non diffidente Tiranno si lasciò persuadere dalle replicate assicurazioni d'un'insidiosa amicizia a dar la propria persona in mano ad un infido e crudele nemico. In mezzo ad uno splendido convito fu posto in catene d'argento, quasi fosse un onore dovuto al sangue degli Arsacidi; e dopo una breve dimora nella Torre dell'Oblivione ad Ecbatana, fu liberato dalle miserie della vita per mezzo o del suo proprio pugnale, o di quello d'un assassino. Il regno dell'Armenia fu ridotto alla condizione d'una provincia Persiana; ne fu divisa l'amministrazione fra un nobile Satrapo, ed un favorito Eunuco; e Sapore senza indugio marciò a soggiogare il marziale spirito degli Iberi. Sauromace, che per concessione degl'Imperatori vi regnava, fu espulso dalla forza superiore; ed il Re dei Re, insultando alla maestà di Roma, pose il diadema sul capo all'abbietto suo vassallo Aspacura. La città d'Artogerassa134 fu l'unico luogo dell'Armenia, che ardisse resistere allo sforzo delle sue armi. Il tesoro depositato in quella forte rocca tentava l'avarizia di Sapore; ma il pericolo d'Olimpiade, moglie o vedova del Re d'Armenia, eccitò la pubblica compassione, ed animò il disperato valore dei sudditi e soldati di essa. I Persiani furon sorpresi e rispinti sotto le mura d'Artogerassa da una coraggiosa e ben concertata sortita che fecero gli assediati. Ma di continuo si rinnovavano ed accrescevan le forze di Sapore; s'esaurì finalmente il disperato coraggio della guarnigione; cederono all'assalto le mura; e l'altiero vincitore, dopo d'aver messo a ferro e fuoco la ribelle città, condusse via schiava una sfortunata Regina, che in un più prospero tempo era stata destinata per isposa del figlio di Costantino135. Se però Sapore trionfava già della facil conquista di due dipendenti regni, presto s'accorse che non può dirsi soggiogato un paese, fin tanto che infierisce negli animi del popolo uno spirito d'ostilità e di contumacia. I Satrapi, ai quali fu egli costretto d'affidarsi, abbracciaron la prima occasione che ebbero di riguadagnar l'affezione dei

Скачать книгу


<p>123</p>

Ammiano XXIX. 5. Il testo di questo lungo capitolo (di quindici pagine in quarto) è mutilato e corrotto; e la narrazione è ambigua per mancanza d'indicazioni cronologiche e geografiche.

<p>124</p>

Ammiano XXVIII. 4. Orosio l. VII. c. 33. p. 551. 552. Girol. Chron. p. 187.

<p>125</p>

Leone Affricano (nei viaggi di Ramusio Tom. I. fol. 78, 83) ha fatto una curiosa pittura sì del popolo che del paese, il quale vien più minutamente descritto nell'Affrica di Marmol. Tom. III. p. 1-54.

<p>126</p>

Tale inabitabile zona fu appoco appoco ridotta, pei miglioramenti fatti all'antica geografia, da quarantacinque a ventiquattro o anche sedici gradi di latitudine. Vedi una dotta e giudiziosa nota del Dott. Robertson Istor. d'Amer. Vol. I. p. 426.

<p>127</p>

Intra, si credere libet, vix jam homines, et magis semiferi… Blemmyes, satyri ec. Pomponio Mela l. 4. p. 26. Edit. Voss. in 8. Plinio spiega filosoficamente (VI. 35) le irregolarità della natura, che con credulità egli aveva ammesse V. 8.

<p>128</p>

Se il Satiro era l'Orang-outang, o la grande scimia umana di Buffon (Hist. nat. Tom. XIV. p. 43 ec.), potè realmente farsi veder vivo uno di quella specie in Alessandria nel regno di Costantino. Contuttociò resta sempre qualche difficoltà sopra la conversazione che ebbe S. Antonio con uno di quei pii Selvaggi nel deserto della Tebaide (Girol. vit. Paul. Erem. Tom. I. p. 238).

<p>129</p>

S. Antonio incontrò anche uno di questi mostri; l'esistenza dei quali fu sostenuta seriamente dall'Imperatore Claudio. Il pubblico se ne rideva; ma il suo Prefetto dell'Egitto ebbe la cura di mandare l'artificiosa preparazione di un corpo imbalsamato d'un Hippocentauro che fu conservato quasi per un secolo nel palazzo Imperiale. Vedi Plin. (Hist. nat. VIII. 3) e le giudiziose osservazioni di Freret (Mem. de l'Acad. Tom. VII. p. 321).

<p>130</p>

La favola de' pimmei è antica quanto Omero (Iliad. III. 6). I pimmei dell'India e dell'Etiopia erano (trispithami) alti ventisette pollici. Nella primavera marciava la lor cavalleria (sopra capre e montoni) in militare ordinanza per distrugger le ova delle grue: aliter (dice Plin.) futuris gregibus non resisti. Le loro case erano formate di terra, di foglie e di gusci di conchiglie. Vedi Plin. VI. 35. VII 2., e Strabone l. II. p. 121.

<p>131</p>

I Volumi III e IV della stimabile Storia dei viaggi descrivono lo stato presente de' Neri. Le nazioni delle coste marittime si sono incivilite pel commercio Europeo; e quelle dell'interno del paese sono state migliorate dalle colonie Moresche.

<p>132</p>

Hist. Philos. e Polit. Tom. IV. p. 192.

<p>133</p>

È originale e decisiva la testimonianza d'Ammiano (XXVII 12). Si son consultati Mosè di Corene (l. III. c. 17. p. 249 e c. 24. p. 169), e Procopio (De Bell. Pers. l. I. c. 5. p. 17. Ed. Louvr.), ma bisogna far uso con diffidenza e cautela di quest'istorici, che confondono i fatti fra loro distinti, ripetono i medesimi avvenimenti, e v'inseriscono stravaganti racconti.

<p>134</p>

Forse Artagera o Ardis, sotto le mura di cui restò ferito Cajo nipote d'Augusto. Questa fortezza era situata sopra Amida, vicino ad una delle sorgenti del Tigri. Vedi Danville Geogr. anc. Tom. II. p. 106.

<p>135</p>

Il Tillemont (Hist. des Emper. Tom. V. pag. 701) prova colla cronologia, che Olimpia deve essere stata madre di Para.