Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5 - Edward Gibbon

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che allora aveva circa cinque anni, accompagnava in una lettiga la marcia dell'esercito. Essa veniva mostrata al popolo nelle braccia dell'adottivo suo padre; ed ogni volta che passava per le file, accendevasi la tenerezza dei soldati in furore marziale38; si rammentavano essi le glorie della casa di Costantino, e dichiaravano con sincere acclamazioni, che avrebbero sparso l'ultima goccia del loro sangue in difesa della fanciulla reale39.

      Frattanto Valentiniano trovavasi agitato e perplesso per la dubbiosa notizia della ribellione dell'Oriente. Le difficoltà d'una guerra nella Germania lo costringevano ad impiegar le immediate sue cure nella salvezza dei proprj Stati; e siccome veniva impedito o corrotto ogni canale di comunicazione, egli dava orecchio con dubbiosa ansietà ai romori che si andavano artificiosamente spargendo, che la disfatta e la morte di Valente avesse lasciato Procopio solo Signore delle Province Orientali. Valente non era morto; ma alla nuova della ribellione, ch'ei ricevè in Cesarea, disperò vilmente della sua vita e dello Stato; propose d'entrare in trattato coll'usurpatore, e scuoprì una segreta inclinazione a deporre la porpora Imperiale. La fermezza de' suoi Ministri salvò il timido Monarca dal disonore e dalla rovina, e l'abilità loro tosto decise in suo favore l'evento della guerra civile. In un tempo di tranquillità, Sallustio si era dimesso dal suo posto senza parlare; ma appena fu attaccata la sicurezza pubblica, egli ambiziosamente sollecitò la preminenza nella fatica e nel pericolo; e la restituzione della Prefettura dell'Oriente a quel virtuoso ministro fu il primo passo, che indicò il pentimento di Valente, e soddisfece gli animi del popolo. Il regno di Procopio in apparenza era sostenuto da poderose armate e da ubbidienti Province; ma molti dei primi uffiziali, sì militari che civili, si erano indotti o per motivi di dovere, o d'interesse a sottrarsi da quella rea scena, o a spiare l'occasione di tradire o di abbandonare la causa dell'usurpatore. Lupicino con marcie affrettate s'avanzò a condurre le legioni della Siria in aiuto di Valente. Arinteo, che in forza, in beltà, ed in valore superava tutti gli Eroi di quel tempo, con una piccola truppa attaccò un corpo superiore di ribelli. Quando egli si vide a fronte di quei soldati, che avevano militato sotto le sue bandiere, ad alta voce comandò loro d'arrestare e consegnargli nelle mani il preteso lor condottiere; e tale fu l'ascendente del suo genio, che un ordine sì straordinario fu immediatamente obbedito40. Arbezione, rispettabile veterano di Costantino Magno, che era stato distinto con gli onori del Consolato, fu persuaso a lasciare il suo ritiro, ed a condurre un'altra volta l'esercito in campo. Nel calor dell'azione, trattosi l'elmo tranquillamente di capo, mostrò la canizie ed il suo venerabile aspetto; salutò i soldati di Procopio coi teneri nomi di figli e di compagni; e gli esortò a non più sostenere la causa disperata di un disprezzabil tiranno, ma seguir piuttosto il vecchio loro capitano, che gli avea tante volte condotti alla vittoria e all'onore. Nelle due battaglie di Tiatira41 e di Nicosia, l'infelice Procopio fu abbandonato dalle sue truppe, che restaron sedotte dalle istruzioni e dall'esempio dei perfidi loro uffiziali. Dopo d'aver vagato per qualche tempo nei boschi e nelle montagne della Frigia, fu tradito dai timidi suoi seguaci, condotto al campo Imperiale, ed immediatamente decapitato. Egli ebbe la sorte ordinaria degli usurpatori, a cui mal succedono lo loro imprese; ma gli atti di crudeltà, esercitati dal vincitore sotto l'orma di legittima giustizia, eccitarono la compassione e lo sdegno dell'universo42.

      In vero tali sono i frutti comuni e naturali del dispotismo e della ribellione. Ma l'inquisizione contro il delitto di magia, che nel regno dei due fratelli fu sì rigorosamente perseguitato sì in Roma che in Antiochia, s'interpetrò come un fatal sintomo o dell'ira del cielo o della depravazione degli uomini43. Non dubitiamo di generosamente applaudirci, che nel secolo presente la parte più illuminata dell'Europa ha tolto di mezzo44 un odioso e crudele pregiudizio, che regnava in ogni clima del globo, ed era inerente ad ogni sistema di religiose opinioni45. Le nazioni e le Sette del Mondo Romano ammettevano con ugual credulità e abborrimento l'esistenza di quell'arte infernale46, che si credeva capace di sovvertire l'ordine eterno dei pianeti e le volontarie operazioni dello spirito umano. Temevano il misterioso potere dei caratteri magici e delle incantazioni, di potenti erbe e di esecrabili riti, che potevan togliere o richiamare la vita, infiammar, le passioni dell'animo, guastar le opere della creazione, ed estorcere dai ripugnanti demoni i segreti del futuro. Credevano, con la più strana incoerenza, che questo soprannatural dominio dell'aria, della terra e dell'inferno si esercitasse pei bassi motivi di malizia o di lucro da grinzose vecchie, o da vagabondi stregoni, che passavano le oscure lor vite nella miseria e nel disprezzo47. Le arti della magia eran condannate ugualmente dalla pubblica opinione e dalle leggi di Roma; ma siccome tendevano a soddisfare le più imperiose passioni del cuore umano, così erano continuamente proscritte e continuamente praticate48. Una causa immaginaria è capace di produrre i più serj e dannosi effetti. Le oscure predizioni della morte d'un Imperatore o del buon successo d'una cospirazione non erano dirette che a stimolar le speranze dell'ambizione o a sciogliere i vincoli della fedeltà; ed il delitto, che in se stessa conteneva la magia, veniva aggravato dagli attuali reati del tradimento e del sacrilegio49. Questi vani terrori disturbavano la pace della società e la felicità degli individui; e l'innocente fiamma, che appoco appoco struggeva un'immagin di cera, dalla spaventata fantasia della persona, che si voleva maliziosamente rappresentare, potea trarre una potente e perniciosa energia50. Dall'infusione di quell'erbe, che si supponeva avessero una forza soprannaturale, si potea facilmente passare all'uso di veleni più sostanziali; e la follìa degli uomini divenne alle volte l'istrumento e la maschera dei più atroci delitti. Poichè dai Ministri di Valentiniano e di Valente fu incoraggiato lo zelo degli accusatori, non poterono essi ricusare di prestare orecchio ad un'altra accusa, che troppo spesso avea parte nelle scene di domestiche colpe; accusa d'una più mite e meno cattiva natura, per la quale il pio, ma eccessivo rigore di Costantino avea recentemente stabilita la pena di morte51. Questa fatale ed incoerente mescolanza di tradimento e di magia, di veleno e di adulterio somministrava infiniti gradi di delitto e d'innocenza, di scusa e di aggravio, che in queste processure pare che fossero confusi dalle ardenti o corrotte passioni dei giudici. Essi facilmente s'accorsero, che tanto più si stimava dalla Corte Imperiale l'industria ed il discernimento loro, quanto maggiore era il numero delle esecuzioni che si facevano pe' decreti dei respettivi loro Tribunali. Non senza un'estrema ripugnanza pronunziavano qualche sentenza d'assoluzione, ma con ardore ammettevano testimonianze anche macchiate da spergiuri ed estorte per via di tormenti a provare le più improbabili accuse contra le persone più rispettabili. Il progresso dell'inquisizione apriva sempre nuova materia di processi criminali; l'audace delatore, di cui si fosse scoperta la falsità, si ritirava impunemente; ma alla misera vittima, che palesava dei reali o supposti complici, rade volte accordavasi premio della sua infamia. Dall'estremità dell'Italia e dell'Asia erano tratti giovani e vecchi in catene ai tribunali di Roma e d'Antiochia. Senatori, Matrone e Filosofi spirarono in mezzo ad ignominiosi e crudeli tormenti. I soldati, destinati alla guardia delle prigioni, dichiararono con voci di compassione e di sdegno, che il loro numero non era sufficiente ad impedire la fuga o la resistenza della moltitudine dei prigionieri. Le famiglie più ricche erano rovinate dalle confiscazioni ed ammende; i più innocenti cittadini tremavano per la loro salute; e possiam formare qualche idea dell'estensione del male dalla stravagante asserzione d'un antico Scrittore, che nelle soggette Province i prigionieri, gli esuli ed i fuggitivi formavano la maggior parte degli abitanti52.

      Quando Tacito descrive le morti degli innocenti ed illustri Romani, che furon sacrificati alla crudeltà dei primi Cesari, l'arte dell'Istorico o il merito dei pazienti eccita nei nostri petti i più vivi sentimenti di terrore, d'ammirazione e di pietà. Il volgare ed indistinto pennello d'Ammiano ha dipinto queste sanguinose scene con tediosa e non piacevole esattezza. Ma siccome non è più impegnata la nostra attenzione dal contrasto

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<p>38</p>

Questa ribelle fanciulla fu in seguito moglie dell'Imperator Graziano; ma morì giovane e senza figli. Vedi Du Cange Fam. Byzant. p. 48, 59.

<p>39</p>

Sequimini culminis summi prosapiam. Tale era il linguaggio di Procopio, che affettava di sprezzare l'oscura nascita e la fortuita elezione dell'ignobil Pannonio. Ammiano XXVI. 7.

<p>40</p>

Et dedignatus hominem superare certamine despicabilem, auctoritatis et celsi fiducia corporis, ipsis hostibus jussit suum vincere rectorem: atque ita turmarum antesignanus umbratilis comprehensus suorum manibus. La robustezza e la beltà d'Arinteo, nuovo Ercole, vien celebrata da S. Basilio, il quale suppone che Dio lo creasse come un modello inimitabile della specie umana. I Pittori e gli Scultori non sapevano esprimere la sua figura; gli Storici nel riferire, che fanno, le imprese di lui, sembrano favolosi (Ammiano XXVI. e Vales. ib.).

<p>41</p>

Il medesimo campo di battaglia si pone in Licia da Ammiano, e da Zosimo a Tiatira, che sono alla distanza di 150. miglia fra loro. Ma Tiatira alluitur Lyco (Plin. Histor. Nat. V. 31, Cellar Geogr. Antiq. Tom. II. p. 79) ed i copisti facilmente poteron cangiare un ignoto fiume in una ben nota provincia.

<p>42</p>

Le avventure, l'usurpazione e la caduta di Procopio vengono regolarmente riferite da Ammiano (XXVI. 6. 7. 8. 9. 10.) e da Zosimo (l. IV. p. 203-210). Spesse volte s'illustrano, e di rado si contraddicono fra loro. Temistio (Orat. VII. p. 91. 92.) vi aggiunge qualche vil panegirico, ed Eunapio (p. 83. 84.) qualche maligna satira.

<p>43</p>

Liban. De ulcisc. Julian. nece c. IX. p. 158, 159. Il Sofista deplora la pubblica frenesia, ma non accusa (neppur dopo la loro morte) la giustizia degli Imperatori.

<p>44</p>

I Giureconsulti Francesi ed Inglesi dei nostri tempi accordano la teoria, e negan la pratica dell'arte magica: Denisart Recueil de decis. de Jurispr. Vedi Sorciers T. IV. p. 553. Blackstone Commment. Vol. IV. p. 60. La ragione privata sempre suol prevenire o avanzare il sapere pubblico; ond'è che il Presidente di Montesquieu (Esprit des Loix l. XII. c. 5, 6.) rigetta l'esistenza della magia.

<p>45</p>

Vedi le opere di Bayle Tom. III. p. 567-589. Lo Scettico di Rotterdam presenta, secondo il suo costume, uno strano mescuglio di vaghe cognizioni, e di vivace ingegno.

<p>46</p>

I Pagani distinguevan la magia buona dalla cattiva, la teurgica dalla goetica (Hist. de l'Acad. ec. T. VII. p. 25). Ma non avrebber potuto difendere tale oscura distinzione contro l'acuta logica del Bayle. Nel sistema Giudaico e nel Cristiano tutti i demoni sono spiriti infernali; ed ogni commercio con essi è idolatria, apostasia ec. che merita morte e dannazione.

<p>47</p>

La Canidia d'Orazio (Carm. l. V. od. 5. con le illustrazioni di Dacier e di Sanadon) è una strega volgare. L'Erictone di Lucano (Pharsal. VI. 430-830.) è molesta e disgustosa, ma qualche volta sublime. Essa riprende la lentezza delle furie: e minaccia con tremenda oscurità di pronunziare i veri lor nomi, di scuoprire il vero infernale aspetto di Ecate, e d'invocar le segrete potestà che sono sotto l'inferno ec.

<p>48</p>

Genus hominum potentibus infidum, sperantibus fallax, quod in civitate nostra et vetabitur semper et retinebitur: Tacit. Hist. I. 22. Vedi Agostin. de Civ. Dei l. VIII. c. 19. ed il Cod. Teodos. l. IX. Tit. XXVI. col Comment. del Gotofredo.

<p>49</p>

La persecuzione d'Antiochia fu cagionata da una colpevole consultazione. Si posero le ventiquattro lettere dell'alfabeto intorno ad un tripode magico; ed un mobile agnello, che era stato collocato nel centro, indicò nel nome del futuro Imperatore le quattro prime lettere Φ, Ε, Ο, Δ. Teodoro (forse con molti altri che avevan quelle fatali sillabe nel loro nome) fu condannato a morte. Teodosio successe nel trono. Lardner (Testim. Pagan. Vol. IV. p. 353-372.) ha esaminato copiosamente e bene quest'oscuro fatto del regno di Valente.

<p>50</p>

Limus ut hic durescit, et haec ut cera liquescit

Uno eodemque igni…

Virgil. Bucol. VIII. 80.

Devovit absentes, simulacraque cerea figit:

Ov. in Epist. Hipsi. ad Jason. 91.

Tali vane incantazioni poteron commuovere lo spirito, ed accrescer la malattia di Germanico. Tacit. Annal. II. 69.

<p>51</p>

Vedi Heinecc. Antiq. Jur. Rom. Tom. II. p. 353. ec. Cod. Teod. l. IX. Tit. VIII, col Comment. del Gotofred.

<p>52</p>

È descritta, ed assai probabilmente esagerata la crudele inquisizione di Roma e di Antiochia da Ammiano (XXVIII, 1. XXIX, 1. 2.), e da Zosimo (l. IV. p. 216. 218). Il filosofo Massimo fu con qualche ragione involto nell'accusa di magia (Eunap. in vit. Sophist. p. 88. 89.), ed il giovane Grisostomo, che accidentalmente aveva trovato uno dei libri proscritti, si credè perduto. Tillemont Histoir. des Emper. Tom. V. p. 340.