Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 13. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 13 - Edward Gibbon

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la mano che ha suggellato il nostro delitto, ne venga strappata la bocca che ha recitato il simbolo de' Latini». La sincerità del qual pentimento convalidarono prestandosi con maggiore zelo alle più minute cerimonie e al sostegno dei dogmi più incomprensibili. Segregatisi dalla comunione degli altri, non parlavano nemmeno coll'Imperatore, il contegno del quale fu alquanto più decente e ragionevole. Dopo la morte del Patriarca Giuseppe, gli Arcivescovi di Eraclea e di Trebisonda ebbero il coraggio di ricusare la sede rimasta vacante, intanto che il Cardinal Bessarione preferiva l'asilo utile e agiato offertogli dal Vaticano. L'Imperatore ed il Clero elessero, che altra scelta ad essi non rimanea, Metrofane di Cizico; ma quando veniva consagrato in S. Sofia, rimase vuota la chiesa. I vessilliferi della Croce abbandonarono il servigio dell'altare, e la contagione essendosi comunicata dalla città ai villaggi, Metrofane usò invano le folgori della Chiesa contro un popolo di scismatici. Gli sguardi dei Greci si volsero a Marco d'Efeso, difensore del suo paese, e riguardato come santo confessore, i cui patimenti vennero ricompensati con tributo d'applausi e di ammirazione. Ma il suo esempio e i suoi scritti propagarono la fiamma della religiosa discordia, benchè egli soggiacesse ben presto al peso degli anni e delle infermità; perchè l'evangelio di Marco non era un evangelio di tolleranza; onde fino all'estremo anelito chiese non si ammettessero ai suoi funerali i partigiani di Roma che dispensò dal pregare per l'anima sua.

      Lo scisma non si ristette fra gli angusti limiti del greco Impero; tranquilli sotto il governo dei Mammalucchi, i Patriarchi di Alessandria, di Antiochia e di Gerusalemme adunarono un numeroso Sinodo, ove negarono la legittimità de' loro rappresentanti a Ferrara e a Firenze, condannando il Sinodo e il Concilio de' Latini, e minacciando l'Imperatore di Costantinopoli delle censure della Chiesa d'Oriente. Tra i settarj della comunione greca, i Russi erano i più potenti, i più ignoranti e superstiziosi: il loro primate, Cardinale Isidoro, corse rapidamente da Firenze a Mosca7 per ridurre sotto l'autorità del Pontefice questa independente nazione: ma i Vescovi russi aveano attinta la loro dottrina fra le celle del monte Atos, e il Sovrano, non men dei sudditi, seguiva le opinioni teologiche del proprio Clero. Il titolo, il fasto, e la croce latina del Legato, amico di quegli uomini empj, così li chiamavano i Russi, che si radeano la barba e celebravano il divin sagrifizio colle mani coperte dai guanti, e le dita cariche di anelli, divennero altrettanti soggetti di scandalo a quella nazione. Condannato Isidoro da un Sinodo, e rinchiuso in un Monastero, non si sottrasse che con grande stento al furore d'un popolo feroce e fanatico8. I Russi inoltre negarono il passo ai Missionarj di Roma che voleano trasferirsi a convertire i Pagani al di là del Tanai9, fondando il loro rifiuto sulla massima che il delitto d'idolatria è men condannevole di quel dello scisma. L'avversione che i Boemi mostrarono al Papa, rendè meritevoli di scusa i loro errori appo il Clero greco che mandò con una deputazione a chiedere in Lega questi sanguinarj entusiasti10. Intanto che Eugenio giubilava della conversione de' Greci, divenuti ortodossi, i partigiani di lui nella Grecia, vedeansi confinati entro le mura, o piuttosto nella reggia di Costantinopoli. Lo zelo di Paleologo eccitato dall'interesse, fu ben tosto raffreddato dalla resistenza, e temè cimentare la propria Corona e la vita, se avesse violentata la coscienza di una nazione, cui non sarebbero mancati soccorritori stranieri e domestici per sostenerla in una santa ribellione. Il Principe Demetrio, fratello dell'Imperatore, il quale soggiornando in Italia, avea serbato un silenzio che era conforme alla prudenza, e che pubblico favore gli conciliò, minacciava d'impugnar l'armi in difesa della religione; intanto l'apparente buon accordo de' Greci e dei Latini cagionava gravi timori al Sultano de' Turchi.

      A. D. 1421-1451

      «Il Sultano Murad, o Amurat, visse quarantanove anni e ne regnò trenta, sei mesi e otto giorni; Principe coraggioso e giusto, fornito di grande animo, paziente nelle fatiche, istrutto, clemente, caritatevole e pio: amava e incoraggiava gli uomini studiosi e tutto quanto eravi di eccellente nelle scienze e nell'arti. Buon Imperatore e gran Generale, niun altro riportò vittorie tante e sì luminose. La sola Belgrado resistè a' suoi assalti. Sotto il regno del medesimo il soldato fu sempre vittorioso, il cittadino, ricco e tranquillo. Allorchè avea sottomesso un paese, era prima cura di questo principe il fabbricare moschee, ricetti per le carovane, collegi, ospitali. Dava ogn'anno mille piastre d'oro ai figli del Profeta; ne inviava duemilacinquecento alle persone pie della Mecca, di Medina e di Gerusalemme»11. Questo ritratto è tolto da uno storico dell'Impero ottomano. Ma non avvi crudele tiranno che non abbia ottenuti encomj da un popolo schiavo e superstizioso, e le virtù d'un sultano non sono spesse volte che i vizi più utili ad esso o più aggradevoli ai suoi sudditi. Una nazione che non abbia mai conosciuto i vantaggi, eguali per tutti, delle leggi e della libertà12, può lasciarsi sopraffare dalle arti del potere arbitrario. La crudeltà del despota assume indole di giustizia agli occhi dello schiavo che chiama liberalità la profusione, fregia del nome di fermezza la pertinacia. Sotto il regno di colui che non ammette scuse, comunque le più ragionevoli, vi sono pochi atti di sommessione impossibili, e là dove non è sempre in sicuro l'innocenza, dee necessariamente tremare anche il colpevole. Continue guerre mantennero la tranquillità de' popoli e la disciplina de' soldati. La guerra era il mestier dei giannizzeri, fra quali coloro che ne superavano i pericoli, aveano ricca parte alla preda e applaudivano alla generosa ambizion del Sovrano. La legge di Maometto raccomandava al Musulmani di adoperarsi alla propagazione della fede. Tutti gl'Infedeli erano nemici de' Turchi e del loro Profeta; la scimitarra era l'unico strumento di conversione di cui facessero uso i Maomettani. Ciò nullameno la condotta di Amurat, giusto e moderato lo palesò; per tale lo ravvisarono gli stessi Cristiani, che attribuirono la prosperità del suo Regno e la tranquilla sua morte ad un guiderdone largito dal Cielo agli straordinarj meriti di questo Sovrano. Nel vigor degli anni e della militare possanza, poche guerre intimò senza esservi costretto; la sommessione de' vinti facilmente lo disarmava; sacra ed inviolabile erane la parola nell'osservare i Trattati13. Gli Ungaresi quasi sempre furono gli aggressori. La ribellione di Scanderbeg l'irritò. Il perfido Caramano vinto due volte, due volte ottenne da Amurat il perdono. Tebe sorpresa dal despota, giustificò l'invasione della Morea: il pronipote di Baiazetto avrebbe potuto facilmente ritorre Tessalonica ai Veneziani che sì di recente l'aveano acquistata. Dopo il primo assedio di Costantinopoli, la lontananza, le sventure di Paleologo, le ingiurie che da lui sofferse Amurat, mai non indussero questo Sultano ad affrettare gli estremi momenti del greco Impero.

      A. D. 1443

      Ma il tratto più luminoso dell'indole e della vita di Amurat, fu quello senza dubbio di rinunziare il trono due volte. Se i motivi che il mossero non fossero stati inviliti da una mescolanza di superstizione, non potremmo ricusare encomj ad un Monarca filosofo14 che, nell'età di quarant'anni, seppe discernere il nulla delle umane grandezze. Dopo avere rimesso lo scettro fra le mani del figlio, alle deliziose stanze di Magnesia si ritirò, ma cercando ivi la compagnia de' Santi e degli Eremiti15. Non prima del quarto secolo dell'Egira, la religione di Maometto si era lasciata corrompere ammettendo istituzioni monastiche alla sua indole tanto opposte. Ma durante le Crociate, l'esempio de' Monaci cristiani, greci ed anche latini, moltiplicò i varj Ordini di Dervis16. Il padrone delle nazioni si assoggettò a digiunare, ad orare, o a girar continuamente in tondo con altri fanatici che confondeano il capogiro colla luce del divino spirito17. Ma l'invasione degli Ungaresi il tolse ben tosto da questo entusiastico sonno, e il figlio di lui prevenne il voto del popolo volgendosi nell'istante del pericolo al padre. Sotto la condotta dell'antico Generale, i giannizzeri furono vincitori; ma reduce dal campo di battaglia di Warna, ripetè le sue preci, i suoi digiuni, i suoi giri in tondo coi compagni del suo ritiro a Magnesia: pietose occupazioni da cui lo trassero una seconda volta i pericoli dello Stato. L'esercito vittorioso disdegnò l'inesperienza del figlio; Andrinopoli fu abbandonata al saccheggio e alla strage; la sommossa de' giannizzeri indusse il Divano a sollecitare la presenza di Amurat per impedire l'assoluta ribellione di questa guardia; riconobbero essi la voce

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<p>7</p>

Isidoro era Metropolitano di Chiovia, ma i Greci, sudditi della Polonia, hanno trasportata questa residenza dalle rovine di Chiovia a Lemberg o Leopold (Herbestein, in Ramusio, t. II, p. 127); d'altra parte i Russi si posero sotto la dependenza spirituale dell'Arcivescovo, divenuto, dopo il 1588, Patriarca di Mosca. Levesque, (Hist. de Russie, tom. III, p. 188-190), compilazione d'un manoscritto di Torino, Iter et labores archiepiscopi Arsenii.

<p>8</p>

Il singolare racconto del Levesque (Storia di Russia, t. II, p. 242-247) è tolto dagli archivj del Patriarcato. Gli avvenimenti di Ferrara e di Firenze vi sono descritti con altrettanta imparzialità ed ignoranza. Ma si può credere ai Russi intorno a quanto riguarda i lor pregiudizj.

<p>9</p>

Il Cammanismo, ossia l'antica religione de' Cammari, o Ginosofisti, è stata respinta ai deserti del Nord dalla religione più popolare dei Bramini dell'India; e una Setta di filosofi che andavano affatto ignudi, si vide costretta ad avvilupparsi in pellicce. Coll'andar del tempo tralignarono in una Setta di astrologhi o ciarlatani. I Morvan, o Tsceremissi della Russia europea, professarono questa religione formata sul modello terrestre di un Re, o di un Dio, de' suoi Ministri, o Angeli, e degli spiriti ribelli, che al governo di questo superiore si oppongono. Poichè queste tribù del Volga non ammettono le immagini, poteano a miglior diritto rinversar sui Latini il nome d'idolatri, che ad essi davano i Missionarj. (Levesque, Storia dei popoli sottomessi alla dominazione de' Russi, t. I, p. 194-237, 423-460).

<p>10</p>

Spondano (Annal. eccles., t. II, A. D. 1451, n. 13). L'epistola de' Greci colla traduzione latina trovasi tuttavia nella Biblioteca del Collegio di Praga.

<p>11</p>

V. Cantemiro, Storia dell'Impero Ottomano, pag. 94. Scrivendo Murad o Morad, sarei forse più corretto, ma ho preferito il nome generalmente conosciuto a questa esattezza scrupolosa, nè molto sicura, quando è d'uopo convertire in lettere romane i caratteri orientali.

<p>12</p>

Le leggi e la loro osservanza sono certamente un benefizio a tutti comune. La libertà poi, se non è regolata da prescrizioni governative, facilmente diviene turbolenta e piena di gravi mali. (Nota di N. N.)

<p>13</p>

V. Calcocondila (l. VII, p. 186, 188), Duca (c. 33) e Marino Barlezio nella Vita di Scanderbeg (pag. 145-146). La buona fede mostrata da Amurat verso la guernigione di Sfetigrado fu un esempio ed una lezione al figlio di lui Maometto.

<p>14</p>

Il Voltaire (Essai sur l'Histoire générale, cap. 89, p. 283, 284) ammira il filosofo turco. Avrebbe egli fatto lo stesso elogio ad un Principe cristiano che si fosse ritirato in un Monastero? Il Voltaire alla sua usanza era intollerante e bacchettone.

<p>15</p>

Cioè eremiti, o solitarj della religione maomettana, ch'ebbero origine quattro secoli circa dopo la di lei fondazione, detti Santi da' Maomettani. (Nota di N. N.)

<p>16</p>

V. nella Biblioteca orientale del d'Herbelot gli articoli Derviche, Fakir, Nasser, Rohbaniat. Nondimeno gli scrittori arabi e persiani hanno trattato leggiermente questo argomento, e fra i Turchi soprattutto questa specie di monaci si è moltiplicata.

<p>17</p>

Rycault, nell'opera, (Etat présent de l'Empire Ottoman, pag. 242-268) narra molte particolarità tratte da intertenimenti personali avuti co' primarj Dervis, i quali per la maggior parte fanno ascendere la loro origine al regno di Orcano; ma non fa menzione dei Zichidi di Calcocondila (l. VII, pag. 286), fra i quali Amurat si ritirò. I seid di questo autore sono discendenti di Maometto.