Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 4 - Edward Gibbon

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ai savj ed umani regolamenti dell'editto di Milano. Fu ne' suoi dominj proibita la convocazione de' Concilj Provinciali; i suoi uffiziali Cristiani furon cassati con ignominia; e quantunque egli evitasse la colpa, o piuttosto il pericolo d'una persecuzione generale, le sue particolari oppressioni si rendevano sempre più odiose per la violazione d'un solenne e volontario impegno23. Mentre l'Oriente, secondò la viva espressione d'Eusebio, era involto nelle ombre d'una infernale oscurità, i favorevoli raggi di celeste luce riscaldavano ed illuminavan le Province dell'Occidente. Si risguardava la pietà di Costantino come una piena prova della giustizia delle sue armi; e l'uso, ch'ei fece, della vittoria, confermò l'opinion de' Cristiani, che il loro Eroe veniva inspirato e condotto dal Signor degli Eserciti. La conquista dell'Italia produsse un general editto di tolleranza; e tosto che la disfatta di Licinio ebbe investito Costantino solo nel dominio di tutto il Mondo Romano, egli per mezzo di circolari esortò immediatamente tutti i suoi sudditi ad imitare senza dilazione l'esempio del loro Sovrano, e ad abbracciar la divina verità del Cristianesimo24.

      La sicurezza, che l'elevazione di Costantino fosse intimamente connessa co' disegni della Providenza, instillava negli animi de' Cristiani due opinioni, che per mezzi molto diversi fra loro, contribuivano all'adempimento della profezia. L'ardente loro ed attiva lealtà esauriva in favore di lui ogni ripiego dell'industria umana; ed essi aspettavano con fiducia che i gagliardi loro sforzi verrebbero secondati da qualche aiuto divino e miracoloso. I nemici di Costantino hanno imputato a motivi d'interesse la lega, ch'egli contrasse insensibilmente colla Chiesa Cattolica, e che in apparenza contribuì al buon successo della sua ambizione. Al principio del quarto secolo, i Cristiani erano sempre in una piccola proporzione rispetto agli abitatori dell'Impero; ma in mezzo ad un popolo degenerato, che vedeva il cangiamento de' suoi Signori coll'indifferenza propria degli schiavi, lo spirito e l'unione d'un partito religioso poteva assistere il Condottier popolare, al servizio del quale avevan essi per principio di religione consacrato le vite e gli averi25. L'esempio del padre aveva ammaestrato Costantino a stimare ed a premiare il merito de' Cristiani; e nella distribuzione de' pubblici uffizi aveva esso il vantaggio di fortificare il suo governo mediante la scelta di Ministri o di Generali, nella fedeltà de' quali poteva egli riporre senza riserva una giusta fiducia. Per l'influsso di questi qualificati Missionari dovevan moltiplicare nella Corte e nell'armata i proseliti della nuova fede; i Barbari della Germania, ch'empivano gli ordini delle legioni, erano d'un'indole negligente, che s'accomodava senza resistenza alla religione del lor comandante; e può ragionevolmente presumersi, che quando passaron le alpi, un gran numero di soldati avesser già consacrato le loro spade al servizio di Cristo e di Costantino26. L'abitudine umana e l'interesse di religione appoco appoco tolsero quell'orrore contro la guerra ed il sangue, ch'era tanto prevalso fra' Cristiani; e ne' Concilj, che s'adunarono sotto la graziosa protezione di Costantino, fu opportunamente impiegata l'autorità de' Vescovi per confermare l'obbligazione del giuramento militare, e per dar la pena di scomunica a que' soldati, che durante la pace della Chiesa gettavan le armi27. Mentre Costantino accresceva ne' suoi dominj il numero e lo zelo de' suoi fedeli aderenti, poteva contar nell'aiuto d'una potente fazione anche in quelle Province, ch'erano sempre possedute o usurpate da' suoi rivali. Era sparsa fra i sudditi Cristiani di Massenzio e di Licinio una malcontentezza segreta; e lo sdegno, che quest'ultimo non poteva nascondere, non serviva che a sempre più profondamente impegnarli negl'interessi del suo competitore. Quella regolar corrispondenza, che univa insieme i Vescovi delle più distanti Province, li poneva in istato di potersi liberamente comunicare i lor desiderj e disegni; e di trasmetter senza pericolo qualunque utile avviso o delle pie contribuzioni che promuover potessero il servizio di Costantino, il quale dichiarava pubblicamente di avere preso le armi per la liberazione della Chiesa28.

      L'entusiasmo, che ispirava le truppe e forse l'Imperatore medesimo, aveva aguzzate le spade loro nel tempo che soddisfaceva la loro coscienza. Marciavano essi alla guerra con la piena sicurezza, che il medesimo Dio, che aveva già aperto il passaggio agl'Israeliti pel Giordano, e gettato a terra le mura di Gerico al suono delle trombe di Giosuè, avrebbe mostrato la visibile sua maestà e potenza nella vittoria di Costantino. L'istoria ecclesiastica è pronta a far fede, che furon giustificate le loro speranze da quel cospicuo miracolo, al quale si è quasi concordemente attribuita la conversione del primo Imperatore Cristiano. La causa reale o immaginaria d'un fatto così importante merita ed esige l'attenzione della posterità; ed io procurerò di formare una giusta idea della famosa visione di Costantino, mediante un distinto esame dello stendardo, del sogno, e del segno celeste, separando fra loro le parti istoriche, naturali, e maravigliose di questo racconto straordinario, le quali artificiosamente si sono confuse por comporne la splendida e fragile mole di uno specioso argomento.

      I. Un istrumento, che serviva per tormentare solamente gli schiavi e gli stranieri, era un oggetto d'orrore agli occhi d'un cittadino Romano; ed erano intimamente connesse coll'idea della croce l'idee di delitto, di pena e d'ignominia29. La divozione piuttosto che la clemenza di Costantino abolì ben presto nei suoi dominj quella pena, che s'era compiaciuto di soffrire il Salvatore del Mondo30; ma l'Imperatore, prima d'avere appreso a disprezzare i pregiudizi della sua educazione e del suo popolo, non potea risolversi ad erigere nel mezzo di Roma la propria statua con una croce nella destra e con una iscrizione, che riferiva la vittoria delle sue armi e la liberazione di Roma alla virtù di quel segno salutare, vero simbolo della forza e del coraggio31. Il medesimo simbolo significava le armi de' soldati di Costantino; la croce risplendeva sopra i loro elmi, era impressa ne' loro scudi, tessuta nelle loro bandiere; ed i sacri emblemi, che adornavano la persona stessa dell'Imperatore, non eran distinti che per la materia più ricca e pel più squisito lavoro32. Ma lo stendardo principale, che spiegava il trionfo della croce, chiamavasi Labarum33; oscuro, quantunque celebre nome, che in vano si è fatto derivare da quasi tutti i linguaggi del Mondo. Vien questo descritto34, come una lunga picca intersecata da un'asta traversa. Il velo di seta, che pendeva dall'asta, era elegantemente adornato dalle immagini del Monarca regnante e de' suoi figli. La sommità della picca sosteneva una corona d'oro, che conteneva il misterioso monogramma esprimente nel tempo stesso la figura della croce, e le lettere iniziali del nome di Cristo35. Si confidava la sicurezza del Labaro a cinquanta guardie di sperimentato valore e fedeltà; il loro posto era distinto con onori ed emolumenti; e ben presto alcuni accidenti fortunati fecero nascere l'opinione, che finattanto che le guardie del Labaro s'esercitavano in eseguire il loro uffizio, eran sicure ed invulnerabili in mezzo a' dardi dell'inimico. Nella seconda guerra civile, Licinio provò ed ebbe occasione di temere la forza di questa sacra bandiera, la vista della quale, nel forte della battaglia, infiammò d'invincibil entusiasmo i soldati di Costantino, e sparse il terrore e il disordine fra le file delle nemiche legioni36. Gl'Imperatori Cristiani, che rispettavan l'esempio di Costantino, spiegavano in tutte le loro militari spedizioni lo stendardo della Croce; ma quando i degenerati successori di Teodosio ebber finito di comparire in persona alla testa de' loro eserciti, il Labaro fu depositato, come una venerabile ma inutil reliquia, nel palazzo di Costantinopoli37. Si è sempre conservato l'onore di esso nelle medaglie della famiglia Flavia. La grata lor devozione pose il monogramma di Cristo in mezzo alle insegne di Roma. Si trovano applicati ugualmente sì a' religiosi che a' militari trofei i solenni epiteti di salvezza della Repubblica, di gloria dell'esercito, di restaurazione della pubblica felicità; e tuttavia esiste una medaglia dell'Imperator Costanzo, in cui lo stendardo del Labaro è accompagnato da queste memorabili parole: «mercè di questo segno vincerai38».

      II. In ogni occasione di pericolo o d'angustia solevano i primitivi Cristiani fortificare gli spiriti ed i corpi loro col segno

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<p>23</p>

L'imperfetta cognizione, che abbiamo della persecuzione di Licinio è tratta da Eusebio, Hist. Eccles. l. X. c. 8. vit. Const. l. I. c. 49-56. l. II. c. 1, 2. Aurelio Vittore fa menzione della sua crudeltà in termini generali.

<p>24</p>

Eusebio in vit. Const. l. II. c. 24-42. 48-60.

<p>25</p>

Nel principio del secolo passato, i Papisti dell'Inghilterra non formavano che la trentesima parte, ed i Protestanti della Francia la decimaquinta delle respettive nazioni, per le quali lo spirito e poter loro erano un oggetto continuo di timore. Vedi le relazioni, che il Bentivoglio (il quale in quel tempo era Nunzio a Brusselles, e poi fu Cardinale) mandò alla Corte di Roma. Relaz. Tom. II. p. 211, 241. Il Bentivoglio era curioso, ben informato, ma un poco parziale.

<p>26</p>

Quest'indole trascurata de' Germani si vede quasi uniforme nella storia della conversione di ciascheduna delle loro Tribù. Si reclutavano le legioni di Costantino con Germani, (Zosimo l. II. p. 86); ed eziandio la Corte di suo padre era stata piena di Cristiani. Vedi il primo libro della vita di Costantino fatta da Eusebio.

<p>27</p>

De his, qui arma projiciunt in pace, placuit eos abstinere a communione. Concil. Arelat. Can. 3. I migliori Critici applican queste parole alla pace della Chiesa.

<p>28</p>

Eusebio sempre risguarda la seconda guerra civile contro Licinio, come una specie di religiosa Crociata. All'invito del Tiranno alcuni Uffiziali Cristiani avevano riprese le loro zone, o in altri termini eran tornati al servizio militare. Fu dipoi censurata la lor condotta dal Canone XII del Concilio Niceno, qualora vogliasi ammettere questa interpretazione particolare, invece di quel generale e libero senso, che gli danno gl'interpreti Greci Balsamone, Zonara, ed Alessio Aristeno. Vedi Beveridge Pandect. Eccles. Graec. Tom. I. p. 72. Tom. II p. 73. annotat.

<p>29</p>

Nomen ipsum crucis absit non modo a corpore civium Romanorum, sed etiam a cogitatione, oculis, auribus: Cicer. pro Rabirio c. 5. Gli scrittori Cristiani, Giustino, Minucio Felice, Tertulliano, Girolamo, e Massimo di Torino hanno investigato con passabil successo la figura o la somiglianza della croce in quasi tutti gli oggetti della natura, o dell'arte; nell'intersezione per esempio del meridiano coll'equatore, nella faccia umana, nell'uccello che vola, nell'uomo che nuota, nell'albero coll'antenna della nave, nell'aratro, nello stendardo ec. Vedi Lipsio de cruce. (l. I. c. 9).

<p>30</p>

Vedi Aurelio Vittore, che riguarda questa legge come uno degli esempi delle pietà di Costantino. Un editto così onorevole al Cristianesimo meritava luogo nel Codice Teodosiano, invece di farne indirettamente menzione, come par che resulti dal paragone de' Titoli V. e XVIII. del lib. IX.

<p>31</p>

Eusebio in vit. Const. l. I. c. 40. Questa statua, o almeno la croce e l'iscrizione, si può riportare più probabilmente alla seconda, o anche alla terza visita di Costantino a Roma. Subito dopo la disfatta di Massenzio gli animi del Senato e del Popolo non potevano essere ancora disposti per tal pubblico monumento.

<p>32</p>

Agnoscas regina libens mea signa necesse est;

In quibus effigies crucis aut gemmata refulget,

Aut longis solido ex auro praefertur in hastis,

Hoc signo invictus transmissis alpibus ultor

Servitium solvit miserabile Constantinus.

···············

Christus purpureum gemmanti textus in auro

Signabat Labarum clypeorum insignia Christus

Scripserat; ardebat summis crux addita christis.

Prudent. in Symmach. l. II. v. 464. 486.

<p>33</p>

Rimane tuttora ignota la derivazione, ed il senso della parola Labarum o Laborum, che s'usa da Gregorio Nazianzeno, da Ambrogio, da Prudenzio ec. malgrado gli sforzi dei Critici, che hanno inutilmente torturato il Latino, il Greco, lo Spagnuolo, il Celtico, il Teutonico, l'Illirico, l'Armeno ec. per trovarne l'etimologia. Vedi Du Cange. Gloss. et inf. Latin. v. Labarum e Gottofredo ad Cod. Theodos. (Tom. II. p. 143).

<p>34</p>

Eusebio in vit. Const. l. I. c. 30, 31. Il Baronio (annal. Eccles. An. 312. n. 46) ha riportato un'immagine del Labarum.

<p>35</p>

Transversa X. littera, summo capite circumflexa, Christum in scutis notat. Caecil. de M. P. c. 44. Cuper ad M. P. in Edit. Lactant. Tom. II p. 500, ed il Baronio an. 312. n. 25 hanno tratto dagli antichi monumenti vari modelli di tali monogrammi, i quali divennero molto alla moda nel Mondo Cristiano.

<p>36</p>

Eusebio in vit. Constant. l. II, c. 7, 8, 9. Egli introduce il Labaro avanti la spedizione dell'Italia, ma sembra che la sua narrazione indichi, ch'esso non fu mai mostrato alla testa dell'esercito, finchè Costantino, circa dieci anni dopo, non si fu dichiarato nemico di Licinio e liberator della Chiesa.

<p>37</p>

Vedi Cod. Teod. l. VI, Tit. XXV. Sozomeno l. I, c. 2. Teofane Cronogr. p. 11. Teofane visse verso il fine dell'ottavo secolo, quasi cinquecento anni dopo Costantino. I Greci moderni non erano inclinati a spiegare in campo lo stendardo dell'Impero e del Cristianesimo; e quantunque s'attaccassero ad ogni superstiziosa speranza di difesa, pure la promessa della vittoria sarebbe sembrata loro una finzione troppo ardita.

<p>38</p>

L'Abate du Voisin (p. 103. ec.) riporta molte di queste medaglie, e cita la particolar dissertazione d'un Gesuita, cioè del P. Grainville, su tal soggetto.