Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12. Edward Gibbon
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Capo I. «Perciò nel primo capitolo si dimostra quanto empiamente pensino (i Priscillianisti) intorno la Divina Trinità, asserendo essere il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo una medesima persona, nominando lo stesso Dio ora Padre, ora Figlio, ora Spirito Santo; e quindi altra cosa non sia colui che generò, altra chi è generato, altra colui che da ambedue procede; e dicono doversi intendere bensì la sola Unità con tre vocaboli, ma non in tre persone; il qual genere di bestemmia presero da Sabellio ec.» (Labbe, T. 4, p. 658 e Fleury, Hist. eccl. T. 6). Ricevuta, questa Lettera, si tennero tosto in Ispagna uno, o due Concilj provinciali; uno di 19 Vescovi, in cui si condannarono ancora i Priscillianisti, ed i Vescovi dichiararono, che lo Spirito Santo procede dal Padre ed anche dal Figlio, prendendo ciò dalla lettera di Leone, scritta a Turibio. Il P. Quesnel pensa che quei Vescovi abbiano ricevuta cotale credenza cioè filioque, da S. Agostino, ma ciò non sembra (Tillemont, Hist. t. 15, p. 455). Quei Vescovi non ordinarono per altro che si cantasse nelle chiese il Credimus etc. di Costantinopoli coll'aggiunta del filioque, la quale allora non vi si fece; soltanto era creduta, e s'insegnava al popolo. (Petavius, Dogm. theol. lib. 7).
Ma il Concilio generale di Calcedonia tenutovi l'anno 451, avendo confermato il Credimus etc. di Nicea e di Costantinopoli e le decisioni ancora del Concilio generale d'Efeso contro Nestorio, ed avendo approvato gli scritti del Papa Leone I contro Nestorio, e contro Eutiche, e condannate anche le opinioni teologiche di quest'ultimo decretò per mezzo de' suoi Presidenti: «il vero e santo Concilio tiene questa Fede e la segue; non vi si può nè aggiungere, nè togliere cosa alcuna» e letto questo decreto i Vescovi esclamavano: »così crediamo; così siamo battezzati; così battezziamo; così crediamo, così crediamo; si scriva che Santa Maria è Madre di Dio, e ciò s'aggiunga al simbolo, siano discacciati i Cristiani Nestoriani, che ciò non credono, anatema a chi pensa diversamente«. I consiglieri di Stato dissero, le vostre approvazioni ed acclamazioni saranno recate all'Imperatore (Tillemont, Histoire etc.).
Ma insorse ancora contrarietà, intorno alla Fede; si convenne di trattare per mezzo di Commissarj la definizione di essa; e questi furono ventidue Metropolitani, ossia Arcivescovi, che esaminate le cose che dovevansi proporre da credere, ne scrissero finalmente la definizione, che letta dall'Arcidiacono di Costantinopoli, così veniva a conchiudere:
«Secondo i SS. Padri, noi dichiariamo d'una voce, che si deve confessare un solo e stesso Gesù Cristo, nostro Signore, lo stesso perfetto nella Divinità e perfetto nella umanità, veramente Dio e veramente uomo; lo stesso composto d'un'anima ragionevole, e di un corpo consustanziale al Padre, secondo la Divinità, e consustanziale a noi, secondo l'umanità; in tutto simile a noi, eccettuato il peccato; generato dal Padre, avanti tutti i secoli, secondo la Divinità, e negli ultimi tempi nato dalla Vergine Maria, Madre di Dio, secondo l'umanità, per noi, e per nostra salute; un solo e stesso Gesù Cristo, figlio unico, Signore in due nature (contro i Cristiani Eutichiani), senza confusione, senza cangiamento, senza divisione, senza separazione, senza che l'unione tolga la differenza delle nature; al contrario la proprietà di ciascuna è conservata, e concorre in una sola persona, (contro i Cristiani Nestoriani) e in una sola ipostasi, di modo ch'egli non è diviso, o separato in due persone (contro pure i Cristiani Nestoriani) ma egli è un solo e stesso figlio unico, Dio Verbo, nostro Signor Gesù Cristo». Il Concilio proibisce a chiunque d'insegnare, e pensare altrimenti, sotto pena ai Vescovi e preti d'esser deposti, ai monaci e laici d'essere scomunicati, vale a dire scacciati dalla società cristiana cattolica. I Vescovi gridarono: «questa è la fede; che i Metropolitani la sottoscrivano»; e così fu fatto. (Labbe Actio IV, et V. Concil. Chalched., e Fleury Hist. Eccles.).
Le cose intorno la credenza della procedenza anche filioque rimasero nel medesimo stato per quasi quattro secoli nei paesi cristiani occidentali, che già i cristiani dei paesi orientali s'attenevano strettamente alla veduta, decisione del Concilio generale di Calcedonia, che non si dovesse nè levare, nè aggiungere cosa alcuna alla credenza espressa nel Credimus di Costantinopoli, e ciò costituiva separazione, o scisma fra le due Chiese orientale, ed occidentale.
Dal fatto seguente, avvenuto l'anno 809 si rileva, che si cantava nelle Chiese delle Gallie, ed in altre, prima che nella romana, il Credimus etc. di Costantinopoli e coll'aggiunta del filioque; nè si sa quando, ed in che occasione abbiasi cominciato a cantare il Credimus etc. con quell'aggiunta, nella Chiesa romana, quantunque, almeno fino dalla Lettera di Leone I a Turibio, debbasi pensare che cotale aggiunta fosse credenza dogmatica.
Il Concilio d'Aquisgrana, dell'anno 809 (Concilia gallicana t. 2, p. 256, e Labbe t. 9, p. 277, an. 809), regnando Carlomagno, mandò alcuni Vescovi, come Legati al Papa Leone III per udir il suo parere intorno l'aggiunta già introdotta del filioque. Il Baronio (Annales ad an. 809, t. 13) dice, che non si dubitò, e trattò in questo Concilio, se lo Spirito Santo procedesse, o no oltre dal Padre anche dal Figlio; ma che avendo gli Spagnuoli, ed i Francesi aggiunto al Credimus etc. le quattro sillabe filioque, additae fuerunt symbolo illae syllabae filioque, (Baronio, ivi) disputossi se fosse bene che il Credimus etc. con quell'aggiunta si continuasse a cantare, o no nelle chiese; ma egli ciò dice contro le espressioni degli atti del Concilio medesimo, che ci dicono chiaramente: «nel qual Concilio si trattò la questione della processione dello Spirito Santo; cioè, se siccome procede dal Padre, così proceda anche dal Figlio» (Labbe t. 9, p. 277; in qua Synodo de processione etc.). Ed a maggior dimostrazione, che nel Concilio d'Aquisgrana dell'anno 809, si discusse precisamente la questione della procedenza filioque, e non solo di continuare a cantare, o no l'aggiunta, il dotto P. Pagi adduce altre prove storiche, come leggasi nella sua Critica, al luogo suddetto dagli Annali del Baronio.
Vedasi in Labbe (t. 9, p. 277), ed anche in Baronio, (Annales an. 809) il dialogo fra i Legati, e Leone III. Questi disse, che si deve credere alla procedenza dello Spirito Santo anche filioque se non si vuole esser dannato eternamente: i Legati dissero; se la cosa è così, domandiamo se sia lecito o no cantare nelle chiese il Credimus etc. di Costantinopoli coll'aggiunta del filioque, onde sia da tutti udita: il Papa disse che non tutte le cose, che si credono si cantano nel Credimus etc., non accordando con ciò il canto dall'aggiunta del filioque: i Legati, (cui sembrava doversi cantare il filioque, posto, che dalla credenza in queste quattro sillabe, dipendeva la salvezza eterna) ripigliano, per qual ragione non si potrà cantare il filioque, e cantando insegnarlo al popolo, se ciascuno è obbligato a crederlo, e se il crederlo è di fede? ed il Papa risponde: noi qui in Roma non lo cantiamo, ma soltanto lo leggiamo e leggendolo lo insegniamo, ma leggendolo, e insegnandolo, non osiamo aggiungere alcuna cosa al Credimus etc. di Costantinopoli: i Legati riconoscendo la proibizione d'aggiungere, o levare fatta dal Concilio generale di Calcedonia, insistono a domandare definitivamente se si possa cantare l'aggiunta filioque, o no; ma il Papa ripete di non cantarla, conchiudendo: «Si prius quam ita cantaretur etc., ut quod jam nunc a quibusque prius nescientibus recte creditur, credatur, et tamen illicita cantandi cousuetudo, cujusque fidei laesione, tollatur.»
Leggesi poi tanto in Baronio, che in Pagi, che Leone III fece porre due tavole d'argento nella Chiesa di S. Pietro, in una delle quali in greco, e nell'altra in latino, era scritto il Credimus etc., senza il filioque. Per le cose seguite e riferite l'erudito Vescovo Mansi pose una picciola nota al Baronio, dicendo: «non voglio disputare se Leone III abbia o no disapprovato l'aggiunta del filioque; è certo per altro, che Leone stesso inviò a' Vescovi delle province d'Asia una professione di fede in cui si legge, che lo Spirito Santo procede dal Padre, ed anche dal Figlio».
Eccola (Baronio anno 809, e Baluzio Miscell., t. 7, p. 18).
Simbolo di ortodossa fede di Leone III Papa alle Chiese orientali.
Vi mandiamo questo simbolo di fede ortodossa, acciocchè da voi, e da tutti i credenti sia tenuta retta,