quel momento come il più propizio a sorpendere e ad occupare Bisanzo. Un giovine imprudente posto ivi da poco tempo al governo della Colonia veneta, partito erane con trenta galee, traendo seco il fiore de' Cavalieri francesi ad una folle impresa contro Dafnusia, città situata in riva al mar Nero, e distante quaranta leghe da Costantinopoli; i rimanenti Latini vi mancavano di forze, e si stavano nella sicurezza. Non che ignorassero il passaggio dell'Ellesponto operato da Alessio; ma dissipati i loro primi timori dall'intendere qual piccola forza lo accompagnasse, non pensarono tampoco a ricercare se questa si fosse aumentata. Nel campo greco le cose erano apparecchiate in tal modo, che Alessio lasciandosi addietro il suo corpo d'esercito ad una distanza opportuna per venirgli all'uopo in soccorso, potea, protetto dalle tenebre, innoltrarsi con una scelta scorta. Nel medesimo tempo che alcuni della spedizione avrebbero poste le scale alla parte più bassa delle mura, di dentro sarebbesi trovato pronto un vecchio Greco, il quale avea promesso introdurre per una via sotterranea fino alla propria casa una parte de' suoi compatriotti; e questi di lì sarebbersi trasferiti alla porta d'Oro che da lungo tempo più non si apriva, ed atterrati dalla parte interna i battitoi, i Greci doveane trovarsi padroni di Bisanzo, prima che i Latini fossero stati avvertiti del loro pericolo. Dopo essere stato perplesso per qualche tempo, Alessio si abbandonò allo zelo dei Volontarj, che ardimentosi, e pieni di fiducia riuscirono, talchè quanto ho narrato sul divisamento dell'impresa, basta ad additarne l'adempimento e il buon successo174. Per vero dire Alessio, oltrepassata appena la soglia della porta d'Oro, tremò egli stesso sulla propria temerità; fermossi, deliberò, ma lo costrinse l'ardir disperato de' Volontarj, che gli mostrarono quasi impossibile in quel momento, e più pericolosa dell'assalto la ritirata. Intanto che Alessio tenea le sue truppe regolari in ordine di battaglia, i Comani si sparsero per tutte le bande: fu sonato a raccolta: e le minacce di saccheggio e d'incendio che si udivano per ogni dove obbligarono gli abitanti ad appigliarsi a un partito. I Greci di Costantinopoli manteneano affetto agli antichi loro Sovrani. I mercatanti genovesi rispettavano la recente lega che la loro Repubblica col Principe greco aveva contratta ed odiavano i Veneziani; in tutti i rioni si presero l'armi; l'aere risonò di una acclamazione generale: «Vittoria e lunga vita a Michele e a Giovanni, gli augusti Imperatori de' Romani.» Queste grida svegliarono Baldovino; ma l'imminenza stessa di un tanto pericolo non valse a fargli sguainare la spada in difesa di una città, dalla quale gli era forse più conforto che rincrescimento l'allontanarsi. Corse alla riva, ove scorse per sua ventura le vele di quella flotta che tornava addietro dalla sua vana spedizione contro Dafnusia. Vedendosi che Costantinopoli era perduta senza riparo, Baldovino, e le primarie famiglie latine s'imbarcarono sulle galee veneziane, che dopo avere veleggiato all'isola di Eubea, di lì condussero in Italia l'augusto fuggitivo, che trovò presso il Pontefice romano un'accoglienza in cui la compassione e lo sprezzo si avvicendavano. Dal momento della perduta sua capitale, fino a quel della morte, Baldovino impiegò tredici anni in sollecitazioni alle Potenze cristiane, affinchè si collegassero per rimetterlo in trono; supplica che gli era già famigliare; nè si mostrò in quest'ultimo esilio, o più indigente o più avvilito di quello che egli era apparso nelle sue tre prime peregrinazioni alle Corti d'Europa. Il figlio di lui, Baldovino, ereditò dal padre il vano titolo d'Imperatore, e Catterina figlia di questo, divenuta sposa di Carlo di Valois, fratello di Filippo il Bello Re di Francia, gli portò in dote le sue pretensioni. La linea femminina della casa di Courtenai trasportò successivamente le avite prerogative titolari in diverse famiglie, sintantochè il titolo d'Imperatore di Costantinopoli, apparso troppo fastoso e sonoro per essere unito al nome di un privato, modestamente si spense nel silenzio e nella dimenticanza175.
Dopo avere raccontate le spedizioni de' Latini nella Palestina e a Costantinopoli, non mi è lecito abbandonare questo argomento, senza esaminare gli effetti prodotti dalle Crociate ne' paesi che furono teatro delle medesime, e sulle nazioni che ne furono i personaggi176. L'impressione fatta dai Franchi nei regni maomettani dell'Egitto e della Sorìa si dileguò col loro sparire, benchè la ricordanza di questi conquistatori vi fosse rimasta. I fedeli discepoli di Maometto non sentirono mai la profana brama di studiar le leggi o l'idioma degli idolatri177; nè gli affari che ebbero o per leghe, o per ostilità cogli stranieri dell'Occidente, alterarono, poco, o assai, la primitiva semplicità de' loro costumi. Alquanto meno inflessibili si mostrarono i Greci, che essendo vanagloriosi, ambiziosi credeansi; e negli sforzi che operarono per ricuperare l'Impero, altri ne fecero per pareggiare in valore, in disciplina, in saper militare, i loro avversarj. Aveano giusto motivo di disprezzare quella letteratura che allor possedeano le contrade dell'Occidente; pure lo spirito di libertà che vi dominava avendo svelata ad esse una parte de' diritti comuni a tutti gli uomini, alcune fra le istituzioni pubbliche e private de' Francesi vennero da loro adottate. La corrispondenza di Costantinopoli coll'Italia dilatò l'uso dell'idioma latino, onde alcuni Padri ed autori classici ottennero onore di traduzione fra i Greci178. Ma la persecuzione die' forza allo zelo religioso e alle opinioni pregiudicate dei Cristiani dell'Oriente, talchè il regno de' Latini confermò la separazione delle due Chiese.
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Il Mosheim narra la storia dello scisma de' Greci incominciando dal nono secolo e venendo sino al decimo ottavo, con erudizione, chiarezza ed imparzialità. V. intorno al filioque (Inst., Hist. eccl., p. 277), Leone III (pag. 303), Fozio (p. 307, 308), Michele Cerulario (p. 370, 371).
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È vero, che i primi sei o sette Concilj generali sono stati adunati in Asia minore, o a Costantinopoli nell'Impero greco, e che la massima parte de' Vescovi erano Greci, ovvero delle province d'Asia, e d'Egitto, ma v'erano anche alcuni Vescovi Latini, cioè Occidentali, ad il Pontefice romano vi fu rappresentato da' suoi due procuratori. (Nota di N. N.)
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Se Fozio Patriarca di Costantinopoli e della Chiesa Orientale, così diceva della Chiesa Occidentale, è altresì vero, che questa riteneva le stesse interpretazioni, e decisioni de' primi sei o sette Concilj generali intorno la Divinità, la persona, la natura, la volontà di Gesù Cristo, tenuta pura dalla Chiesa Orientale. I Greci, ed in generale i Cristiani Orientali, furono i primi ad avere erronee opinioni cioè eresie; ma oltre a' Priscillianisti, che sorsero in Ispagna intorno al principio del quarto secolo,
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Il Mosheim narra la storia dello scisma de' Greci incominciando dal nono secolo e venendo sino al decimo ottavo, con erudizione, chiarezza ed imparzialità. V. intorno al filioque (Inst., Hist. eccl., p. 277), Leone III (pag. 303), Fozio (p. 307, 308), Michele Cerulario (p. 370, 371).
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È vero, che i primi sei o sette Concilj generali sono
I Latini raccontano brevemente la perdita di Costantinopoli la cui conquista è stata in modo più soddisfacente descritta dai Greci, vale a dire da Acropolita (c. 85), da Pachimero (l. II, c. 26-27), da Niceforo Gregoras (lib. IV, c. 1, 2). V. Ducange, Hist. C. P., l. V, c. 19-27.
175
V. i tre ultimi libri (l. V-VIII) e le tavole genealogiche del Ducange. Nell'anno 1382, l'Imperatore titolare di Costantinopoli era Giacomo di Bangs Duca di Andria, nel regno di Napoli, figlio di Margherita, figlia di Catterina di Valois, figlia questa di un'altra Catterina, che avea per padre Filippo figlio di Baldovino II (Ducange, l. VIII, c. 37,38). Ignorasi se egli abbia lasciato posterità.
176
Abulfeda che vide l'ultimo periodo delle Crociate, parla del regno de' Franchi e di quello de' Negri, come di cose sconosciute egualmente (Proleg. ad geogr.). Se questo principe della Sorìa non avesse disdegnata la lingua latina, sarebbesi procurati facilmente libri ed interpreti.
177
I Maomettani così chiamarono, e chiamano i Cristiani cattolici a cagione del culto che prestano alle Immagini, perchè non sanno, che quelli non prestano culto alle Immagini, che riferendosi agli esemplari di esse. (Nota di N. N.)
178
L'Uezio nell'opera De interpretatione et de claris interpretibus (p. 131-135) dà una contezza succinta e superficiale di queste traduzioni dal latino in greco. Massimo Planude, frate di Costantinopoli (A. D. 1327-1353), ha tradotti i Comentarj di Cesare, il Sogno di Scipione, le Metamorfosi e le Eroidi d'Ovidio (Fabricius, Bibl. graec., t. X, pag. 533).