...Sorella di Messalina. Annie Vivanti

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...Sorella di Messalina - Annie Vivanti

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      —Non deve terminare, non può terminare,—esclamò.—Io non ammetto che un uomo, il quale oggi mi ama, possa un giorno lasciarmi, riprendere la sua vita come se nulla fosse, parlare, camminare, ridere, scordare... o peggio! ricordare!... Ah!—e la signora rabbrividì,—è un pensiero mostruoso, abominevole.—Abbassò la voce e fissò nel giovane quei suoi occhi chiari, quasi fosforescenti tra le ciglia socchiuse:—Aveva pur ragione Messalina!... o era la duchessa di Nesle?... che quando aveva finito di amare un uomo lo faceva strozzare e gettare nel pozzo!

      —Deliziosa amante!—fece Alberto, non potendo trattenere il sorriso.—Voi dunque, fareste gettare nel pozzo l'uomo che vi avesse amata?

      Ella gli fissò in viso quel suo sguardo strano, senza rispondere, e Alberto ripetè l'interrogazione, variandola un poco.

      —Voi non ammettete che un uomo che vi ha amata, vi lasci?

      —L'uomo che mi ha amata—disse lei con voce profonda,—non mi lascia... che per morire.

      Alberto di nuovo sorrise a questa macabra dichiarazione.

      —Misericordia!—esclamò.—Quale truce modo di amare!

      —È l'unico modo,—ribattè lei, e la sua voce era bassa e calda nella bianca gola pulsante—l'unico! Badate ch'io non parlo nè della tenerezza, nè dell'amicizia, nè dell'affetto; parlo dell'amore: di questa cosa crudele spietata truculenta che esige l'inesorabile e l'eterno. E di inesorabile e d'eterno non vi è che la morte.

      Queste teorie parvero ad Alberto alquanto eccessive ed esaltate. D'altronde, era in tutto bizzarra la sua nuova conoscenza. Alberto notò che si profumava il fazzoletto coll'etere.

      Egli si compiacque di quest'atmosfera inusitata, ma non ne fu per nulla turbato. Accomiatandosi disse a lei che sarebbe tornato l'indomani; e a sè stesso disse che non sarebbe tornato più. Già, aveva molto da fare: doveva finire la Madonna per la chiesa di Laghet, e il ritratto della baronessa Ferrari; e poi quello dell'ex-sindaco di Chieri. Anche una «Danzatrice Araba» e una «Ebe Giovinetta» dovevano essere pronte per l'Espositione di Venezia. No; non aveva davvero tempo da perdere.

      —Addio, Raimonda.

      —Giorgio!... Addio.

      III

      Ma all'indomani ecco che ella comparve inaspettatamente nello studio di lui.

      Ammirò molto le sue opere, fermandosi con lunghi silenzi pieni d'intensità davanti a tutti i piccoli sgorbi e abbozzi a cui Alberto stesso non aveva fino allora attribuito grande importanza.

      Sfortunatamente si fermò a contemplare colla stessa repressa emozione una tela che era del Bosìa. Ritta davanti al piccolo quadro vibrante di colorazione, lo fissava mordendosi le labbra e ansando un poco.

      —Quello non è mio,—disse Alberto, contrariato.

      —Ah!...—fece lei con un lungo sospiro come di sollievo.—Mi pareva... diverso! Mi pareva... un altro temperamento, un'altra anima!

      Indi volle suggerirgli lei l'idea per un quadro.

      —Lo intitolerete «La Riluttante». Nello sfondo, a sinistra, una pianura piena di luce. A destra, in primo piano una vallata tenebrosa. Nel centro, venendo dalla luce e rivolte verso l'ombra, due figure: una Donna (una donna non più giovane) e il Tempo... sapete pure, il vecchio Tempo convenzionale, colla barba, la falce e la clessidra... Egli tiene per il polso la donna e la trae presso di sè, forzandola a seguirlo verso la vallata buia. Ma ella, desiosa e nostalgica, volge il capo verso la pianura soleggiata e primaverile che ha lasciato dietro di sè...

      —La giovinezza!—interpretò Alberto.

      —... dove danzano in cerchio delle diafane figurette adolescenti... Da queste si stacca un giovane, divino di bellezza, che stende ancora verso la Partente una mano piena di fiori...—Tacque con un piccolo sospiro; indi fissando coi profondi occhi Alberto, riprese:—Ma, inesorabile, il Tempo trascina seco la riluttante. La trascina, giù, verso la vallata nubilosa e profonda... E tutte le rose ch'ella aveva in mano cadono a terra, sfiorite...

      —Bello!—disse Alberto, non troppo convinto.—Ma i quadri che dicono qualche cosa non sono più di moda.

      Ella gli diede subito ragione; e si estasiò davanti alla sua ultima tela raffigurante tre donne sedute in fila—due vestite e una nuda—che fisse ed intontite contemplavano una finestra chiusa.

      Ella lo trovò magnifico. Trovò magnifico tutto. Bevette del Malaga ch'egli le offerse; suonò qualche accordo al pianoforte; fu piena di vivaci, inaspettate e affascinanti eccentricità. Si rizzò in punta de' piedi a baciare rabbrividendo, i ghignanti denti di un teschio, che Alberto teneva presso un vaso di fiori su uno scaffale.

      —Io adoro la morte!—esclamò.

      Poi tornò ad ammirare Alberto e i suoi occhi e il suo studio e la sua arte; si stupì che tutti i suoi quadri non fossero già conosciuti e venduti a Parigi, a New York, a Costantinopoli, a Londra, e si meravigliò che tutte le donne d'Italia non fossero ai piedi di lui, convulse d'estasi e di passione.

      —Ah, Giorgio! Giorgio!... come siete meraviglioso e conturbevole!...—esclamava stringendo il fazzoletto orlato di trina alle narici.—Come mi piace odorare l'etere e guardare la linea del vostro profilo perduto...

      —Vi vedrò questa sera?—chiese Alberto un poco agitato.

      —No. Questa sera no.

      —Allora domani?—insistette lui, scordando gli impegni colla baronessa e coll'ex-sindaco.

      —No, Giorgio. Neppure domani.

      Alberto passò la serata al Caffè Nazionale con Piero; e fu irascibile, distratto e impaziente. Vi erano parecchie donne nel Caffè, di quelle che avrebbero dovuto essere ai suoi piedi; ma nessuna aveva l'aria di pensarci.

      Alberto andò a casa pensieroso. E non dormì.

      IV

      —Detesto i baci,—disse lei allorchè, al terzo incontro, Alberto credette giunta l'ora di chiedergliene uno.

      La signora detestava molte cose che le donne in generale sogliono amare.

      —Detesto i baci, detesto i fiori, detesto i bambini,—dichiarò.

      Alberto fu non poco stupito da queste asserzioni che gli parvero anormali ed inestetiche; indi osò chiederle, se in fatto di bambini, non conoscesse che quelli degli altri.

      —Conosco anche i miei,—rise la signora.

      —Ah?—fece Alberto.

      —Sì, due.—diss'ella, laconica, stringendosi nelle spalle.—Grandi e lontani. Quando sarò così vecchia da non potermi più nè tingere nè incipriare, andrò a stare con loro. Mi adorano.

      —E... vostro marito?...—chiese tentativamente Alberto.

      Di nuovo ella

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