L’isola Del Tesoro. Stephen Goldin
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L’ISOLA DEL TESORO
di Stephen Goldin
L’Isola del Tesoro. Copyright 1376, 1999, 2009 di Stephen Galdin. Tutti i diritti riservati
Immagine di copertina © Victor Habbick | Dreamstime.com
Traduttore: Daniele Giuffrè
Questa volta è
MARY
la persona per cui tutte le mie Canzoni sono cantate
INDICE
Capitolo 2: Importante Decollo
Capitolo 3: Un Sogno Proveniente da Lethe
Capitolo 4: Una Rosa da Eclipsiascus
Capitolo 5: Una Pietra del Focolare da OOtyoce
Capitolo 7: Un Relitto dal Vortex
Capitolo 8: Un Artefatto dai Pozzi della Fiamma
Capitolo 1: Palla da Caccia
Se loro fossero stati soltanto un abbastanza gentili da odiarci, noi avremmo potuto usare quell’odio per forgiare un’identità razziale. Ma loro si rifiutano persino di rivolgerci persino quel tanto rispetto. Noi siamo giocattoli, delle cose da essere usate, non degni né di amore né di odio, pietà o calunnia. Ci definiscono per le nostre funzioni, non le nostre persone. E, poiché non abbiamo alternative, anche noi…
Ci è voluto un colpo sanguinoso per ottenere la più elementare delle libertà. Ci vorrà molto, molto di più, per vincere un senso di identità…
– Jasmine S
Un Manifesto Androide
Tale era la forza della sua reputazione che la presenza di Tyla deVrie portò una tensione silenziosa alle ore nella Sala da Caccia prima che lei entrò nel palazzo. Le donne si pavoneggiarono consapevolmente, sapendo che non interessava quando splendenti apparissero, lei sarebbe stata migliore. Gli uomini si agitarono in maniera consapevole – ex amanti che si domandavano cosa avessero fatto per perdere le sue grazie, e chiedendosi speranzosamente se fossero abbastanza appariscenti da attirare la sua attenzione.
Quando l’incaricato per gli affari androide alla fine annunciò il proprio arrivo, nessuno fu abbastanza maldestro da fermarsi e fissare. Delle persone spaventate qua e là voltarono le proprie teste discretamente verso la porta, dopodiché ritornò con nonchalance a fare quello che stava facendo prima. Solo poco alla volta, ma prima che Signora deVrie avesse fatto il terzo degli ampi passi che conducevano dal portone giù fino al piano rialzato prospiciente il pavimento della sala da ballo, tutti avevano fatto un inventario completo della sua ultima matrice oltraggiosa. Mentre il suo volto aveva l’espressione approvata di noia appagante, il corredo abbastanza lontano dall’annoiare per scatenare la seguente moda interstellare.
Delle sottili strisce fosforescenti rotearono elettricamente lungo la sua faccia come degli elettroni rossi e verdi intorno ai nuclei. I capelli le furono spazzati verso l’alto e intrecciati, con delle trecce spesse verdi e rosse abilmente intrecciate, dandogli un aspetto da bastoncino di zucchero e aggiungendo venti centimetri alla sua altezza. Partendo dalle spalle, due larghe strisce di plastiglo, una rossa e una verde, inarcate davanti al suo corpo, coprendole i seni e segnando una X proprio al cavallo, allora attorcigliandosi ai contorni lisci delle sue gambe e avvolgendosi infine attorno ai piedi come sandali. Da lì le bande si avvolgevano su per le gambe, incrociandosi ancora una volta sui glutei per proseguire fino alle spalle per completare il ciclo. Intorno alla caviglia sinistra c’era una stretta fascia di seta, dalla quale penzolava indifeso il suo unico pezzo di gioielleria – un pezzo di pietra del focolare della dimensione di una ciliegia tagliato dal cuore di una creatura in silicone sul pianeta Ootyoce. Su chiunque altro il vestito sarebbe stato stravagante; su di lei, era un vero toccasana.
Tyla deVrie aveva passeggiato tra i giornalisti dei media fuori dalla sala, tutti armati di domande sulla fantastica eredità deVrie nell’Isola del Tesoro. Ora stava in piedi davanti alla balaustra, a guardare oltre la vasta sala a cupola. Mentre c’erano quasi mille persone sul pavimento, sembrava meno che mezzo pieno. Affollarsi, dopotutto, sarebbe una cosa declassante.
Un’orchestra stava suonando all’estremità nord della sala. Questua non era una semplice collezione di sintetizzatori e miscelatori, ma ottanta persone in carne e ossa che suonavano strumenti fonici reali, maestri del loro mestiere raccolti dai pianeti in tutta la galassia. La musica che stava suonando era morbida, adatta alle danze statali della società. Alcune persone stavano, infatti, danzando, sebbene la maggior parte si accontentasse di sedersi ai tavoli intorno ai bordi del pavimento o di stare in piedi e parlare. L’orchestra aveva poca amplificazione, quanto basta per soffocare le conversazioni vicine, ma non abbastanza da interferire con le tue.
Tyla si ergeva come un monarca che sorveglia il suo dominio; poi, degnandosi di muoversi, avanzò a lunghi passi felini verso la canna gravitazionale trasparente. Avrebbe potuto posare per una statua mentre il campo gravitazionale la faceva fluttuare dolcemente sul pavimento della sala; il suo sguardo rimase allo stesso livello e la sua espressione non cambiò mai. C’era solo il minimo di protuberanza per informarla che aveva raggiunto il livello del pavimento. Lei uscì dal tubo e cominciò a mescolarsi.
Sembrava che lei si muovesse a caso tra la folla, accettando un drink dal vassoio di un servitore androide, assaggiando un antipasto da un altro. I movimenti browniani della società potrebbero far cambiare la sua destinazione una dozzina di volte in un minuto, ma lei sapeva sempre esattamente dove stava andando. Come un politico esperto che sfogliava la sua cartella di Farley, la sua mente era un indice del computer con informazioni precise sulle persone che incontrava.
Kontorr, Occla: Fine anni 80, anche se lei faceva finta che fossero ancora i 70. Tre ex mariti (tra cui Tonas!), attualmente divorziati. La famiglia è una Vecchia Società, ma è rimasta indietro rispetto alle tendenze. Cosponsor del Jumpdown. Conoscenza casuale – trattare con un cenno cordiale e una parola di saluto.