Se Non Farai Del Sogno Il Tuo Padrone…. Stephen Goldin

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Se Non Farai Del Sogno Il Tuo Padrone… - Stephen Goldin

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della programmazione e consulente dello Studio a tutto tondo. Mentre Schulberg gestiva la parte finanziaria dell’attività, DeLong era il gerente della parte creativa. DeLong non era un Sognatore, ma era amico di tutti i Sognatori dello staff. Nel caso fosse richiesto, fungeva anche da padre confessore per chiunque avesse bisogno di un orecchio amichevole. Se Schulberg era il capo della Dramatic Dreams, DeLong era la sua anima.

      “Janet, sono contento di averti trovata” la chiamò DeLong. Il suo accento aveva tracce riconducibili al Texas e all’Oklahoma. “Ho pronta per te la tua prossima sceneggiatura.” Le tese un blocco di carta fermato da una molla.

      Sollevata per averla passata liscia, lei tornò rapidamente al suo solito carattere chiacchiericcio. “Non ci posso credere. Una volta tanto una sceneggiatura in anticipo? So che non è un regalo di compleanno perché il mio compleanno è stato tre mesi fa…. Cos’ho fatto per meritarmelo?”

      “Accidenti, mica lo so. Oggi pomeriggio è arrivata Helen e ha detto che aveva avuto un’ispirazione che l’aveva fatta sbrigare. E’ pure buona. Qualcuno dovrebbe ispirare quella donna più spesso: quando ci si mette d’impegno è una buona scrittrice.”

      “Bene. La guardo subito. Grazie.” Janet sorrise a DeLong poi si voltò e lasciò la stanza allontanandosi dal disagio che era rimasto nell’aria tra lei e Wayne.

      “Jack ha promesso che la tua sarà pronta per domani pomeriggio” disse DeLong, voltandosi verso Wayne. “E’ un Western se ricordo bene.”

      “Oh no, un altro” gorgogliò Wayne.

      “Beh, non è che possiamo fare sempre l’Amleto. Perlomeno i Western sono veloci e apolitici.”

      “Lo so. E’ che mi sembra di segnare il passo. Mi piacerebbe avere la possibilità di allungarmi un po’, di mostrare ciò che posso fare, invece di sprecare tempo ed energie su roba da scribacchini.”

      “Ascolta me che ne so qualcosa,” disse con cortesia DeLong. “In qualsiasi professione creativa i migliori sono quelli che iniziano col lavoro sporco e poi fanno carriera. Shakespeare, Dumas, Dickens, Michelangelo e da Vinci erano tutti scribacchini. Prima di poter costruire cose più grandi hai bisogno di fondamenta solide. Ho visto un sacco di superstar accendersi dal nulla e abbagliare tutti per un po’; alla fine finiscono per spegnersi altrettanto rapidamente. Così forse sei lento, ma cavalchi un cavallo su cui scommettere.”

      “Ma nel frattempo è tutto talmente frustrante” disse Wayne.

      “Sì lo so. Senti, ma non stavi proponendo di andare a mangiare qualcosa mentre arrivavo? Non sono carino come Janet, ma mandar giù un boccone ci starebbe proprio bene, se ti va di aver compagnia.”

      Wayne sogghignò. “Certo perché no? Andiamo.”

      I due lasciarono lo Studio e uscirono dall’androne. L’edificio che ospitava la Dramatic Dreams non era ne’ nuovo ne’ particolarmente antico. I quadrati di linoleum bianco e marrone del pavimento avevano perduto splendore ma non erano ancora talmente malconci da dover essere cambiati. I muri bianchi e nudi erano graffiati e rigati ma erano danni a cui ci si abituava presto e poi non si notavano più. I pannelli di plastica chiara sul soffitto mostravano delle crepe e i tubi fluorescenti che arrivavano all’ascensore per due terzi della lunghezza lampeggiavano un pochino. Ormai, dopo un mese, erano dettagli che arrivavano a malapena alla mente di Wayne. Era semplicemente un luogo di lavoro; anche meglio di altri dove era stato.

      Ciò che veramente lo toccava era il silenzio. La maggior parte delle società ospitate nell’edificio seguiva orari normali e ormai tutti gli impiegati erano tornati a casa. La Dramatic Dreams, al sesto piano, era l’eccezione. Non c’era modo di registrare i Sogni per poi trasmetterli in un secondo momento; dovevano essere realizzati dal vivo. E ad eccezione degli sceneggiatori, che potevano lavorare quando desideravano, chi si guadagnava da vivere con Onirica si trovava incastrato in un ritmo di vita sottosopra. I Sognatori che non riuscivano ad abituarsi a un ritmo di lavoro notturno e ai palazzi vuoti dovevano trovarsi immediatamente un altro impiego.

      Eppure Wayne odiava quel silenzio opprimente. Era una cortina tra lui e il resto dell’umanità. Forniva Sogni per far trascorrere ore e ore di sonno a moltitudini di persone in città, eppure man mano che il tempo passava aveva sempre meno contatti con loro.

      I passi dei due uomini echeggiarono lungo il corridoio e DeLong gli disse: “Posso darti un consiglio non richiesto?”

      “Mmm? Su cosa?”

      “Su Janet. Sta uscendo da un brutto periodo. Non starle addosso. Siete entrambi giovani, hai un sacco di tempo per far crescere la cosa.” Arrivarono all’ascensore e DeLong spinse il pulsante di chiamata per scendere.

      Wayne arrossì. “Non mi ero reso conto di essere così trasparente.”

      La cabina arrivò in fretta e i due entrarono. “Forse non se ne accorgerebbe un cieco” disse DeLong “ma io devo prendere nota di tutto ciò che succede qui. Non posso lasciare uno dei miei Sognatori – tra parentesi uno dei più promettenti – a vagare con la testa irrimediabilmente tra le nuvole per una collega. Fa male al morale e ti distoglie la mente dal lavoro. Per non parlare del fatto che se ti dà alla testa io finisco per perdere l’uno o l’altro, il che è una cosa che non voglio. Siete entrambi troppo bravi.”

      “Io non lo chiamerei restare con la testa fra le nuvole” obiettò Wayne.

      “Beh chiamalo come vuoi, l’effetto è lo stesso. Quando mio figlio aveva 15 anni e cercava di strappare il suo primo appuntamento aveva più savoir-faire di te. Non sei un ragazzino adolescente che deve collezionare punti. Qual è il problema?”

      Wayne scosse le spalle. “Non so. E’ una Sognatrice più brava di me; forse temo che lei pensi di essere sopra la mia portata. O forse ho paura che mi guardi dall’alto in basso per quel che ho fatto prima di venire qui.”

      DeLong gli dette una tirata d’orecchie. “Figlio mio, Janet è una professionista. Lei sa cosa bisogna fare per sopravvivere, agli inizi. Non penso proprio che ce l’abbia con te per quella roba porno.”

      “Sicuramente è un qualcosa che me la tiene a distanza.”

      “Sì,” ammise DeLong, “ma non ha nulla a che fare con te.”

      L’ascensore li depositò al piano terra e si incamminarono nel corridoio scuro arrivando alle macchinette del cibo. La “mensa” consisteva fondamentalmente in una serie di distributori automatici in una grande sala, illuminata, a quell’ora, soltanto da una fila di faretti. Dal pavimento spuntavano come funghi spettrali dei tavoli in plastica con gli sgabelli attaccati come anelli fatati. I passi dei due risuonarono ancor più a vuoto mentre si avvicinavano alle macchinette per vedere cosa c’era a disposizione.

      “E allora il problema qual’è?” domandò Wayne.

      Per un attimo DeLong finse di non aver udito e ispezionò con aria critica il distributore. “Accidenti! Gli addetti alle macchinette dovrebbero capire che se vogliono guadagnarci un po’, la notte ci devono lasciare qualcosa di decente da scegliere. E invece guarda qui, tutta roba avanzata di quelli del turno di giorno – e tutta roba vecchia!”

      Alla fine il coordinatore dei programmi si decise per un patetico panino prosciutto e formaggio e una tazza di caffè nero, ma Wayne aveva più appetito, anche se il cibo a disposizione era tutt’altro che invitante. Finì per scegliere un barattolo di zuppa al pomodoro calda, un’insalata avvizzita, un Chinotto e un piatto con un dessert spugnoso dentro, come

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