L'Ultima Opportunità. Maria Acosta

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L'Ultima Opportunità - Maria Acosta

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che sapevano nuotare ma non erano convinti che sarebbero riusciti ad arrivare a riva. La terraferma era sparita dalla loro vista. Non sapevano come agire. Era chiaro che stavano andando verso sud ma non avevano la più pallida idea di dove sarebbero arrivati. Finalmente l’iceberg si stabilizzò e tornò a muoversi con calma. Renato e Renata si guardarono intorno: acqua, acqua e ancora acqua. Erano rimasti da soli nel mezzo dell’oceano.

      -“La mamma ci ammazza” –disse Renata, che era stata la prima a riprendere a parlare.

      -“Se riusciamo a tornare” –rispose Renato.

      -“Cos’è quello?”

      -“Dove?” –chiese l’orso maschio seguendo la direzione che mostrava la zampa della sorella.

      -“Proprio lì”- insisté lei.

      Renato vide delle ombre molte lontane. Rimasero a guardare le ombre un bel po’ fino a che videro sgorgare dall’acqua due forti getti verso il cielo.

      -“Balene! Sono balene!” –urlò Renata.

      -“E questo ti fa felice?”

      -“Sei un cretino. Le balene viaggiano vicino alla costa. Se riusciamo ad arrivare fin lì vedremo la terraferma.”

      -“E poi?” –chiese Renato che non era per niente convinto che quella fosse una buona idea.

      -“Ci penso io.”

      Renato tacque. Sua sorella aveva sempre ragione. E così si sedettero sul bordo dell’iceberg e con l’aiuto delle loro zampe cominciarono a remare verso quel punto così lontano.

      Ci misero un sacco di tempo ma, alla fine, ci riuscirono. Erano stanchi morti ma felici, a non molti metri vedevano la costiera e le balene così lontane, ma decisero di seguirle, in modo da non sbagliare rotta. Forse loro, che viaggiavano spesso, avrebbero potuto dirgli come fare per tornare a casa. All’inizio era sembrata una bella idea quella di viaggiare in mare, ma adesso che erano lontani dalla loro famiglia desideravano ritornare il più presto possibile. Non ci riuscirono. Le dimensioni dell’iceberg avevano cominciato a diminuire, forse il caldo che faceva, forse... a dire il vero non sapevano bene cosa pensare di ciò che stava succedendo ma dovevano arrivare a un posto sicuro prima che l’acqua del mare li lasciasse senza un punto di appoggio, soli e nel mezzo di quelle acque troppo calde per loro. L’iceberg si mosse di nuovo da un lato all’altro, come se avesse vita propria e volesse mettergli paura, e di nuovo provarono quella forza della quale non sapevano l’origine, che li spingeva a caso senza che loro potessero fare niente. All’improvviso videro una specie di spiaggia, molto diversa dalle spiagge di ghiaccio che conoscevano. Sembrava che il mare si rimpicciolisse e entrasse nella terra, e la forza che muoveva l’iceberg fece sì che si inoltrassero in quel corridoio d’acqua mentre l’iceberg continuava a mescolarsi con il mare che lo circondava. Le balene, molto lontane da loro, non si erano accorte dei guai in cui si erano cacciati i cuccioli d’ orso polare e continuarono il loro percorso verso sud.

      In questo modo Renato e Renata cominciarono un viaggio verso l’ignoto. Erano arrivati in Danimarca.

      Non erano solo due balene quelle che avevano visto dall’iceberg. Era un gruppo di dieci balene che viaggiavano insieme con lo scopo di arrivare al sud dell’Europa per vedere quello che stava succedendo; all’inizio del loro cammino avevano incontrato un’altra compagnia che ritornava da quella parte di mondo raccontando che era cominciata una lotta crudele tra animali e umani. Ma la lotta era sempre stata crudele, loro lo sapevano benissimo. Gli uomini cacciavano gli esemplari della loro specie e le balene avevano fatto sempre tutto il possibile per difendersi da questa caccia. Perché questa guerra doveva essere diversa?

      Le balene che venivano dal sud dissero che questa volta la lotta era più crudele, senza tregua. Loro avevano deciso di tornare al nord e lasciar perdere.

      -“Noi non c’entriamo con questa storia” –disse Maurizio –“ritorniamo. Questa guerra di uomini, macchine e animali non ci interessa. Venite con noi, tornate a casa”.

      -“Noi invece vogliamo vedere....” –cominciò a dire Fabrizio.

      -“Non lo fate.” –tagliò corto Maurizio. –“È molto pericoloso.”

      -“Ti ringraziamo per la tua preoccupazione” –rispose Fabrizio mentre guardava gli amici che lo accompagnavano in quest’avventura –“ma credo proprio che non ci disturberanno.”

      -“Come volete. Buona fortuna. Andiamo”

      -“Grazie. Buona fortuna anche a voi”.

      E così Fabrizio e i suoi amici proseguirono il loro viaggio verso sud perché la loro curiosità era più forte della prudenza.

      Viaggiarono per giorni verso sud, costeggiando l’occidente d’Europa; non furono disturbati dagli uomini. Di fatto non videro neanche una nave nel loro percorso; era tutto molto strano. Fabrizio pensò se quel viaggio fosse stato davvero una buona idea. Ovunque c’era una calma che non era per niente normale. Di solito, quando volevano incontrarsi con le femmine della loro specie e facevano questo stesso viaggio, vedevano persone sulle spiagge e marinai che faticavano lavorando con le reti,. tirando le sarde dal fondo del mare; vedevano quelli con i velieri lucidi, le donne sdraiate in coperta; vedevano persone che facevano pesca subacquea. Vedevano cioè un sacco di cose, mentre adesso, tanto la costa come la superficie del mare, erano deserte. A volte, dove prima si ergeva un paesino ora c’erano solo rovine di palazzi bruciati o distrutti. Altre volte vedevano soltanto cani, galline, maiali, gatti passeggiare tra le macerie. Ma non vedevano né uomini né donne o bambini. Cosa stava succedendo? Forse Maurizio aveva ragione ed era veramente pericoloso viaggiare verso sud? Sembrava che soltanto lui avesse questi dubbi, mentre i suoi compagni erano contenti di quest’avventura. Ritornare indietro sarebbe stata una sciocchezza, proprio adesso che stavano per raggiungere il loro scopo. Costeggiarono la Galizia e poi il Portogallo e videro a sinistra quello che gli uomini chiamavano lo Stretto di Gibilterra. Sapeva che, circondando quel piccolo mare, c’erano un sacco di paesi, gliel’aveva detto una foca. Loro non si erano mai azzardati a entrare in quei posti, ma adesso.... beh, lo fecero. Videro una piccola barca carica di uomini, donne e bambini, tanto fragile che Fabrizio non capì come mai non fosse già affondata. Si allontanarono, non volevano fargli del male. Continuarono il loro viaggio. Da lontano si scorgeva una costa molto lunga dalla forma bizzarra. Passarono tra due isole che sembravano essere disabitate e dopo aver costeggiato il sud di quel paese a forma di stivale, continuarono verso nord. Era così straordinario non vedere nessuno, non sentire un rumore; quel silenzio... e all’improvviso una nebbia fitta fitta li avvolse. Fabrizio non vedeva la sua coda e tanto meno i suoi compagni; cercò di capire dove si trovassero gli altri, emettendo il suo suono caratteristico, ma quella nebbia lo confondeva. Non sapeva se erano vicini o se qualcuno si fosse allontanato dal gruppo. Era molto pericoloso continuare senza sapere dove si trovavano, ma non era molto sicuro nemmeno rimanere senza fare niente. Fabrizio decise di fermarsi e aspettare.

      E la nebbia si dissolse, Fabrizio si guardò intorno, era da solo. I suoi compagni erano spariti. Cosa era successo? Di fronte a lui c’erano alcune isole. Forse la corrente del mare aveva fatto sì che si fossero mossi senza accorgersene. E vabbé. Doveva incontrarli. Adesso l’aria era chiara, vedeva benissimo il mare e le isole che erano di fronte a lui, sentì un rumore familiare, senza fermarsi ma con precauzione Fabrizio si diresse verso una piccola isola che stava a sinistra, vide il molo e una capanna in legno sull’acqua. Non voleva avvicinarsi troppo, non conosceva la profondità delle acque e non voleva restare incagliato. Così preferì rimanere lontano ma non tanto da non poter vedere un suo compagno che, all’interno dell’isola, cercava disperatamente di uscire dalla trappola in cui era caduto.

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