L'Ultima Opportunità. Maria Acosta
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Quello che lui non sapeva era che Venezia stava a cuore agli animali poiché tra alcuni dei suoi simboli figura il Leone, emblema della potenza sulla Terra, e i gabbiani, che hanno sempre difeso le loro case e i loro tetti dall’alto, perlustrando in ogni epoca per avvistare i pericoli che si nascondevano dietro l’orizzonte piatto. Ma il generale questo non lo sapeva, oppure non gli dava l’importanza che meritava. E proprio per questa sua arroganza che, al momento giusto, sarebbe stato sconfitto.
All’interno della Basilica di San Marco, Duca il maiale, anche se non lo faceva vedere, era molto arrabbiato. Valvo l’aveva mandato con gli altri animali, come se lui fosse uno qualunque. Il maiale credeva di essere al di sopra di tutti e questo atteggiamento dell’umanoide non gli era piaciuto.
Sui tetti della città, i gabbiani facevano del loro meglio e parlavano nella lingua che capivano soltanto loro. Era da giorni che non scendevano a terra e cercavano di sopravvivere lontani dalla follia che aveva invaso Venezia. I colombi, ritenuti di solito uccelli docili e senza cervello, erano diventati le loro spie e raccontavano ai gabbiani tutto quello succedeva in laguna.
In città c’erano anche altri animali: i leoni. Di pietra ce n’erano una moltitudine: sulle pareti, nei sottoportici, sulle scale, nella Basilica e nel Palazzo Ducale. Ma ce n’erano altri, quelli dell’Arsenale, che erano diversi. Grandi e nobili, sorvegliavano da secoli questa parte della città e si diceva che non fossero sculture bensì veri leoni trasformati in statue che si sarebbero svegliati e sarebbero ritornati ad assumere la loro autentica natura nel momento in cui l’indipendenza della città e dei suoi cittadini fosse stata minacciata da un pericolo molto grande; in quel momento, i leoni dell’Arsenale, creature belle ed enormi, stavano per risvegliarsi. Qualcosa di importante stava per accadere. Un gabbiano sceso dal cielo si posò sulla testa del leone più maestoso, quello seduto sulle zampe posteriori. Il gabbiano, con cura, mise il becco sulla testa del leone e cominciò a dargli qualche piccolo colpo. L’uccello sentì un rumore profondo, quasi impercettibile: quando la statua cominciò a muoversi, a vibrare, come se fosse sul punto di spezzarsi, si resse forte. E, all’improvviso, un leone vero, in carne e ossa, con tutta la potenza e la forza di un animale che da tanto tempo non aveva potuto muoversi, sprese vita. Uno a uno i leoni dell’Arsenale si risvegliarono e lasciarono vuoti i piedistalli seguendo il gabbiano che, con grande gioia, faceva loro da guida attraverso la bella e misteriosa città di Venezia.
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