Il Fiume Di Gennaio. Enrico Tasca
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Italia e Brasile sono comunque due mondi agli antipodi, non solo dal punto di vista geografico. Era pur vero che con l'arrivo di immigrati da varie parti dell'Africa, del Sud America e dell'Europa dell'est, la capitale lombarda stava diventando, almeno in certe aree, non più tanto sicura, ma almeno non c'erano i trombadinhas o i meninos de rua, quei bambini che in Brasile ti strappano di dosso la collanina o ti rubano il marsupio mentre te ne stai sdraiato sulla spiaggia di Copacabana a prendere il sole e poi sniffano colla per stordirsi.
Dopo un anno difficile era riuscita ad innamorarsi di un ragazzo italiano, un fatto che non avrebbe mai pensato sarebbe potuto accadere. Era una relazione seria? Avrebbe potuto anche avere un lieto fine, come i romanzi che ogni tanto si divertiva a leggere, in cui la ragazza immancabilmente finisce con lo sposare l'amore della sua vita, magari dopo mille controversie. Ma non ne era poi così sicura. Viveva alla giornata, aveva imparato a non porsi troppe domande.
Estela sapeva di attrarre gli sguardi degli uomini, in fondo non le dispiaceva e poi cosa poteva farci? Doveva forse mettersi il chador o il burka? Avesse avuto il fio dental, quel pezzo di stoffa minuscola che ha fatto diventare il bikini un costume da educande, allora sì che avrebbe catturato l'attenzione della gente. D'altra parte il suo mestiere di modella la costringeva in un certo senso ad apparire. Era questo che volevano da lei. Usavano il suo corpo per vendere mutandine e reggiseni, deodoranti e costosi profumi. Era un lavoro difficile, che richiedeva un equilibrio fisico e mentale fuori del comune. Aveva visto troppe colleghe cadere nella trappola della droga, dei soldi facili, delle promesse non mantenute fatte da tanti uomini che volevano una sola cosa, fare sesso o l'amore, come si diceva un tempo.
Estela, nonostante le apparenze, era una ragazza con la testa sul collo, che sapeva esattamente quello che voleva. Aveva un innamorato italiano con il quale si trovava abbastanza bene. Si poteva comunque classificare come una vera mosca bianca in un ambiente difficile e competitivo come quello della moda e della pubblicità .
Certo lâinizio era stato durissimo. Era andata in Italia per la prima volta, anni prima, lasciando il suo lavoro di commessa in un negozio di abbigliamento di Rio, grazie a un tizio di Bergamo, pieno di soldi, che l'aveva rimorchiata sulla passeggiata di Copacabana, un posto tra l'altro che lei non frequentava volentieri perché troppo turistico. Era stata Elza, la sua amica del cuore, con la quale condivideva un piccolo appartamento a Botafogo, a insistere di andare lì. Le avevano parlato di un nuovo ristorante italiano e voleva provarlo. Estela avrebbe preferito restare nel suo quartiere, dove l'atmosfera era più genuina, ma alla fine aveva ceduto.
A Copacabana giravano un sacco di ragazze facili a caccia di turisti e Estela non ci andava quasi mai perché non voleva essere presa per quello che non era. L'italiano, che era con un amico, l'aveva agganciata con molto stile, non l'aveva certo scambiata per una che si vendeva per un pugno di dollari. Si era presentato e, in un portoghese stentato, le aveva detto che non aveva mai conosciuto una ragazza bella come lei e che se lei e la sua amica non avessero accettato di cenare con lui e il suo amico, si sarebbe buttato a mare e lasciato annegare. Una specie di sceneggiata napoletana, ma, dopo una prima reazione stizzita, Estela si era detta che in fondo il tizio le sembrava a posto. Alla sua amica Elza l'amico del bergamasco piaceva e dopo aver confabulato un po' avevano deciso di accettare. Erano andati nel miglior ristorante della zona e poi era successo quello che doveva succedere.
Il bergamasco, che si chiamava Giulio, era rimasto con lei per tutto il periodo della vacanza e pochi giorni dopo essere tornato in Italia le aveva spedito un biglietto aereo di prima classe per Milano, dove Estela, senza tanto riflettere, aveva deciso di stabilirsi, almeno per un po'. Peccato che dopo qualche mese, insospettita dallo strano atteggiamento di Giulio e dalle sue prolungate assenze, avesse scoperto che il suo âinnamoratoâ italiano aveva moglie e figli e nessuna intenzione di divorziare.
Dopo momenti di disperazione, momenti in cui pensava di mollare tutto e tornare a Rio con la coda tra le gambe, il suo carattere determinato e combattivo la spinse a stringere i denti ed andare avanti in quella città che sentiva fredda e ostile.
Per pura fortuna le era capitato di conoscere Teo, che faceva lâArt Director per unâimportante agenzia pubblicitaria americana. Era un uomo molto gentile e carino di modi che le aveva proposto di fare degli spot pubblicitari per un suo cliente che produceva biancheria intima femminile di lusso.
Uno spot in particolare, dove mostrava il suo fondo schiena, aveva avuto un gran successo ed attirato lâattenzione di molti pubblicitari e fotografi. Grazie al suo bumbum, come si chiama affettuosamente il sedere in Brasile, Estela era riuscita a entrare nel riservato mondo della pubblicità . Avrebbe preferito essere apprezzata per la sua intelligenza o tenacia sul lavoro, ma nelle sue condizioni non poteva certo andare tanto per il sottile.
Temeva che Teo prima o poi le avrebbe presentato il conto sotto forma di invito a cena seguito da appassionata notte di amore, ma aveva scoperto che era gay e la cosa lâaveva molto rassicurata. Teo sarebbe poi diventato il suo migliore amico e confidente. Era bello avere un uomo con cui parlare, senza la paura che potesse saltarti addosso da un momento allâaltro. Purtroppo, a causa della sua bellezza latina, si rendeva conto di attirare gli uomini come mosche sul miele. A Rio era diverso, forse câera più disponibilità di ragazze facili, ma comunque gli italiani, almeno quelli che aveva conosciuto, le parevano particolarmente assatanati.
Anche Federico aveva notato quella bella ragazza bruna, ma non si era impressionato più di tanto. Nel suo mestiere, il fotografo di moda, di belle donne ne aveva viste tante e ormai era vaccinato contro i pericoli della bellezza femminile. Aveva lavorato per anni in Brasile per un'agenzia fotografica di cui era anche socio, fondata da un suo vecchio compagno di scuola, Giancarlo, che viveva a São Paulo. L'amico si era ricordato di lui e l'aveva convinto a mollare l'Università ed a dedicarsi alla fotografia a tempo pieno, visto che era ormai fuori corso e già lavoravaa Milano come free lance, perché teneva alla sua indipendenza economica e non voleva farsi mantenere dal padre. Si era poi trasferito a Rio per lavorare in un'agenzia pubblicitaria ed alla fine aveva deciso di creare una agenzia fotografica tutta sua che però, dopo un inizio promettente, aveva cominciato a creare problemi.
Il suo sguardo si abbassò nuovamente sullo smart phone, sul quale aveva segnato tutti gli appuntamenti della settimana a venire. A Milano aveva uno studio fotografico molto ben avviato ed il suo unico dispiacere era di non avere figli ai quali lasciarlo. Aveva una sola figlia, che andava a trovare abbastanza spesso a Rio. L'aveva avuta nel periodo in cui viveva in Brasile.
La madre era brasiliana, carioca per l'esattezza, visto che era nata a Ipanema e aveva un nome che era tutto un programma: Luma.
Quando l'aveva conosciuta, tanti, troppi anni prima, aveva solo 23 anni, si era appena laureata in giurisprudenza, mentre lui ne aveva già compiuti 29. Luma era uno splendore, era la luce dei tropici, il ritmo cadenzato del samba, la malinconica magia del Carnevale. Aveva una carnagione che tendeva a sfumare verso il bruno e dei capelli nerissimi e lisci. Li portava raccolti, e la prima volta che li sciolse, nell'intimità , le ricadevano quasi a metà schiena. Aveva gli occhi neri come la notte tropicale, calda e piena di mistero. Quando sorrideva le labbra carnose svelavano denti bianchissimi, ereditati forse da qualche trisavolo di pelle scura.
Il loro era stato un grande amore, passionale e romantico al tempo stesso, ma poi era tutto finito, dopo pochi anni di convivenza. La figlia, che Luma aveva voluto chiamare con un nome che fosse tanto italiano quanto brasiliano, Olga, faceva foto solo con il cellulare e comunque aveva altri interessi. Non avrebbe mai accettato di vivere a Milano e ancor meno di lavorare con il padre.