Il ritorno dell’Agente Zero . Джек Марс
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Читать онлайн книгу Il ritorno dell’Agente Zero - Джек Марс страница 5
Per un breve istante provò una strana sensazione allo stomaco, come dovuta a un’accelerazione verso l’alto. Era su un aereo. E a giudicare dal rumore non era un normale aereo passeggeri. Il rombo, l’intenso rombo del motore, la puzza di carburante… capì che doveva trovarsi su un aereo cargo.
Per quanto tempo era rimasto svenuto? Che cosa gli avevano iniettato? Le ragazze erano al sicuro? Le ragazze. Gli salirono le lacrime agli occhi, mentre sperava contro ogni buon senso che stessero bene, che la polizia avesse ricevuto il suo messaggio, che le autorità fossero state mandate a casa sua…
Si agitò sul suo sedile di metallo. Nonostante il dolore e la gola chiusa, provò a parlare.
“Sa-salve?” Fu poco più di un bisbiglio. Si schiarì la gola e provò di nuovo. “Salve? C’è qualcuno?” Si rese conto che il rumore del motore avrebbe coperto la sua voce e nessuno che non fosse stato seduto accanto a lui lo avrebbe sentito. “Salve!” provò a gridare. “Vi prego… qualcuno mi dica che…”
Una secca voce maschile gli sibilò qualcosa in arabo. Reid sussultò. L’uomo era vicino, a meno di un metro di distanza.
“Ti scongiuro, dimmi che cosa sta succedendo,” supplicò. “Che cosa volete? Perché mi state facendo questo?”
Un’altra voce gridò minacciosamente nella stessa lingua, quella volta dalla sua destra. Reid sussultò per il duro rimprovero. Sperò che il movimento dell’aereo mascherasse il tremore del suo corpo.
“Avete preso la persona sbagliata,” disse. “Che cosa volete? Denaro? Non ne ho! Posso… aspettate!” Una mano robusta si chiuse in una morsa attorno al suo braccio e fu strappato dal suo sedile. Barcollò, cercando di rimanere in piedi, ma l’instabilità dell’aereo e il dolore alla caviglia ebbero il sopravvento. Gli cedettero le ginocchia e cadde su un fianco.
Qualcosa di solido e pesante lo colpì al corpo. Il dolore si allargò per tutto il suo busto. Cercò di protestare, ma gli salirono alla bocca solo singhiozzi intellegibili.
Un altro stivale gli atterrò sulla schiena. Poi un altro, al mento.
Nonostante la situazione tremenda, Reid fu colto da uno strano pensiero. Quegli uomini, le loro voci, i loro colpi, tutto suggeriva una vendetta personale. Non si sentiva semplicemente attaccato. Si sentiva odiato. Erano arrabbiati, e la loro rabbia era diretta precisamente verso di lui.
Il dolore si allontanò, lentamente, e lasciò spazio a un freddo torpore che lo avvolse completamente mentre perdeva coscienza.
Dolore. Acuto, pulsante, incandescente.
Reid si svegliò di nuovo. I ricordi del passato… non sapeva nemmeno quanto tempo fosse passato, né sapeva se fosse giorno o notte, o dove si trovasse. Ma i ricordi tornarono, frammentati, come fotogrammi tagliati da una pellicola e lasciati a terra.
Tre uomini.
Il telefono delle emergenze.
Il furgone.
L’aereo
E ora…
Reid si azzardò ad aprire gli occhi. Fu difficile. Gli sembrava che gli avessero incollato insieme le ciglia, ma anche dietro la pelle sottile vedeva una luce accesa e rovente. Ne sentiva il calore sul volto, e distingueva la rete di capillari delle proprie palpebre.
Strizzò gli occhi. Tutto ciò che vedeva era quella luce crudele, luminosa, bianca e penetrante. Dio, gli faceva male la testa. Cercò di gemere e scoprì, grazie a una nuova scarica di dolore, che anche la mascella gli doleva. Aveva la lingua gonfia e secca, e in bocca c’era un sapore metallico. Sangue.
I suoi occhi… capì che era stato difficile aprirli perché in effetti era incollati insieme. Il lato della faccia era caldo e appiccicoso. Il sangue gli era colato dalla fronte e negli occhi, senza dubbio per via dei calci che aveva preso sull’aereo.
Ma riusciva a vedere la luce. Gli avevano tolto la sacca dalla testa. Che fosse o meno un risvolto positivo rimaneva ancora da vedere.
Mentre si abituava alla luce, cercò invano di muovere le mani. Erano ancora legate, ma non più da manette. Grosse corde ruvide lo tenevano fermo. Anche le sue caviglie erano strette alle gambe della sedia di legno su cui si trovava.
Dopo poco cominciò a intravedere sagome incerte in mezzo al chiarore. Era in una piccola stanza senza finestre con pareti irregolari di cemento. Era caldo e umido, abbastanza perché il sudore lo solleticasse dietro al collo, nonostante si sentisse il corpo freddo e insensibile.
Non riusciva ad aprire del tutto l’occhio destro e provarci era doloroso. Doveva aver preso un calcio, o forse i suoi rapitori avevano continuato a picchiarlo mentre era svenuto.
La luce brillante veniva da una sottile lampada tecnica su una base alta e con le ruote, che era stata sistemata alla sua altezza e puntata verso la sua faccia. La lampadina alogena emetteva una luce intensa. Se c’era qualcos’altro dietro quella lampada, lui non riusciva a vederlo.
Sussultò quando un secco suono metallico riecheggiò nella stanzetta—il rumore di una serratura che veniva aperta. Cardini cigolarono, ma Reid non vide nessuna porta. Poi si richiuse con un frastuono discordante.
Una figura si frappose tra lui e la luce, incombendo su di lui e mettendolo in ombra. Reid tremò e non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo.
“Chi sei tu?” La voce era maschile, leggermente più acuta dei suoi precedenti aggressori ma colorata dallo stesso accento mediorientale.
Reid aprì la bocca per parlare, per dire che non era altro che un professore di storia e che avevano preso la persona sbagliata, ma si ricordò che l'ultima volta che ci aveva provato era stato preso a calci fino a svenire. Gli sfuggì solo un gemito.
L’uomo sospirò e si spostò dalla luce. Qualcosa fu trascinato sul pavimento di cemento, le gambe di una sedia. Lo sconosciuto spostò la lampada lontano dal volto di Reid e si sedette davanti a lui, tanto vicino che le loro ginocchia quasi si toccavano.
Reid alzò lentamente lo sguardo. L’uomo era giovane, doveva avere al massimo trent’anni, con la pelle scura e un’ordinata barba nera. Portava occhiali rotondi dalla montatura argentata e una kufi bianca, un cappello tondo senza tesa.
Dentro Reid sbocciò la speranza. Il giovane uomo sembrava un intellettuale, non come i selvaggi che lo avevano attaccato e strappato da casa sua. Forse avrebbe potuto negoziare con lui. Forse era al comando…
“Iniziamo dalle cose semplici,” disse l’uomo. La sua voce era bassa e tranquilla, parlava come uno psicologo avrebbe potuto rivolgersi a un paziente. “Come ti chiami?”
“Io… Lawson.” Al primo tentativo quasi non riuscì a parlare. Tossì, e fu vagamente allarmato di vedere gocce di sangue colpire il pavimento. L’uomo di fronte a lui arricciò disgustato il naso. “Mi chiamo… Reid Lawson.” Perché continuavano a chiedere il suo nome? Glielo aveva già detto. Aveva fatto un torto a qualcuno non volendo?
L'uomo sospirò piano, dentro e fuori dal naso. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si sporse in avanti, abbassando ancora di più la voce. “Ci sono molte persone che vorrebbero essere in questa stanza, al momento. Fortunatamente per te, siamo solo tu e io. Però se non sei sincero con me non ho altra scelta se non invitare… gli altri.