Il Peso dell’Onore . Морган Райс
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Читать онлайн книгу Il Peso dell’Onore - Морган Райс страница 7
“Cosa devo fare?” chiese Merk perplesso.
“La stessa cosa che fanno questi uomini,” rispose Vicor in modo secco. “Guarderai.”
Merk scrutò la stanza di pietra curva e dalla parte opposta, forse a quindici metri da lui, vide una finestra aperta alla quale non si trovava nessun guerriero. Vicor vi si diresse lentamente e Merk lo seguì passando oltre i guerrieri che lo guardavano avanzare e poi tornavano a voltarsi verso le proprie finestre. Era una sensazione strana trovarsi tra quegli uomini e non esserne comunque parte. Non ancora. Merk aveva sempre combattuto da solo e non sapeva cosa significasse appartenere a un gruppo.
Mentre passava e li guardava sentiva che erano tutti, come lui, uomini distrutti, uomini senza un posto dove andare, senza nessun altro scopo nella vita. Uomini che avevano fatto di quella torre di pietra la loro casa. Uomini come lui.
Mentre si avvicinava alla sua stazione, Merk notò che l’ultimo uomo accanto al quale era passato era diverso dagli altri. Aveva l’aspetto di un ragazzo di forse diciotto anni e aveva la pelle più liscia e chiara che Merk avesse mai visto. I capelli erano biondi e lunghi fino alla vita. Era più magro degli altri, con pochi muscoli, e sembrava non essere mai stato in battaglia. Eppure Merk gli lanciò un’occhiata fiera e fu sorpreso di vederlo ricambiare con i medesimi occhi gialli e feroci dei Sorveglianti. Il ragazzo sembrava quasi troppo fragile per trovarsi lì, troppo sensibile, ma allo stesso tempo qualcosa nel suo aspetto lasciava Merk in tensione.
“Non sottovalutare Kyle,” disse Vicor guardando oltre mentre Kyle si girava nuovamente verso la sua finestra. “È il più forte tra noi ed è l’unico verso Sorvegliante qui. Lo hanno mandato qui per proteggerci.”
Merk stentava a crederlo.
Raggiunse la sua postazione e si sedette vicino all’alta finestra guardando verso l’esterno. C’era un ripiano di pietra sul quale sedersi e chinandosi in avanti per guardare attraverso la finestra godette dell’ampia veduta sul paesaggio sottostante. Vide la desolata penisola di Ur, le cime degli alberi della lontana foresta e oltre a quelle l’oceano e il cielo. Si sentiva come se avesse potuto vedere tutta Escalon da lì.
“È tutto?” chiese Merk sorpreso. “Me ne sto solo seduto qui a guardare?”
Vicor sorrise.
“I tuoi doveri non sono neanche iniziati.”
Merk si accigliò contrariato.
“Non ho fatto tutta questa strada per starmene seduto in una torre,” disse mentre alcuni degli altri si voltavano a guardarlo. “Come posso essere di difesa da quassù? Non posso stare di pattuglia a terra?”
Vicor fece un sorrisetto.
“Vedi molto di più da quassù di quanto si possa vedere da terra,” rispose.
“E se vedo qualcosa?” chiese Merk.
“Suona la campana,” gli rispose.
Fece un cenno e Merk vide una campana attaccata vicino alla finestra.
“Ci sono stati molti attacchi alla nostra torre nei secoli,” continuò Vicor. “Sono tutti falliti, grazie a noi. Noi siamo i Sorveglianti, l’ultima linea della difesa. Tutta Escalon ha bisogno di noi e ci sono molti modi di difendere la torre.”
Merk lo guardò andare e sistemandosi nella sua stazione, nel silenzio, si chiese: per cosa esattamente si era arruolato?
CAPITOLO SEI
Duncan conduceva i suoi uomini galoppando nella notte illuminata dalla luna, attraverso le pianure innevate di Escalon, ora dopo ora all’attacco, da qualche parte all’orizzonte, di Andros. La cavalcata notturna gli riportava alla mente ricordi di battaglie passate, dei vecchi tempi ad Andros, del suo servizio al vecchio re. Si ritrovò perso nei pensieri: ricordi che si fondevano con il presente, che si fondeva con fantasie future, fino a fargli perdere la concezione di cosa fosse reale. Come al solito i pensieri lo portarono anche a sua figlia.
Kyra. Dove sei? si chiedeva.
Duncan pregava che stesse bene, che stesse avanzando nel suo allenamento e che presto si potessero riunire per sempre. Sarebbe stata capace di chiamare di nuovo Theo? Altrimenti non aveva idea se sarebbero stati capaci di vincere quella guerra alla quale lei aveva dato inizio.
L’incessante rumore dei cavalli e delle armature riempiva la notte. Duncan sentiva a malapena il freddo, il suo cuore era caldo per la vittoria, per lo slancio, per l’esercito che cresceva dietro di lui e per l’attesa. Finalmente, dopo tutti quegli anni sentiva che la corrente stava girando nuovamente dalla sua parte. Sapeva che Andros era pesantemente sorvegliata da un esercito stabile e professionale, che erano in pesante sotto numero, che avrebbero trovato la capitale fortificata e che non possedevano la forza di uomini per poter sostenere l’assedio. Sapeva che la battaglia della sua vita lo stava aspettando. Una battaglia che avrebbe determinato il fato di Escalon. Eppure questo era il peso dell’onore.
Duncan sapeva anche che lui e i suoi uomini avevano la causa dalla loro, avevano il desiderio, la finalità e soprattutto la rapidità e forza della sorpresa. I Pandesiani non si sarebbero mai aspettati un attacco alla capitale, non da parte di un popolo soggiogato e certamente non di notte.
Finalmente, mentre i primi segni dell’alba iniziavano a intravedersi, il cielo ancora annebbiato e bluastro, Duncan vide apparire vagamente in lontananza i famigliari contorni della capitale. Era una vista che non si sarebbe mai aspettato di avere davanti di nuovo in vita sua, un panorama che gli fece battere il cuore con maggior forza. I ricordi tornarono a lui, ricordi di tutti gli anni vissuti lì al leale servizio del re e della terra. Ricordò Escalon all’apice della sua gloria, una nazione libera e fiera, una nazione che era apparsa imbattibile.
Eppure il vederla gli riportò anche alla memoria dei ricordi amari: il tradimento del suo popolo da parte del re debole, la resa della capitale, di tutta Escalon. Ricordò se stesso e tutti i grandiosi signori dispersi, costretti ad andarsene in vergogna, tutti esiliati nelle loro fortezze in giro per Escalon. Vedendo i maestosi contorni della città provò un’ondata di desiderio e nostalgia, paura e speranza allo stesso tempo. Quelli erano i contorni che avevano dato forma alla sua vita, i contorni della più magnifica città di Escalon, governata da re per secoli, confini così ampi che era difficile vedere dove finissero. Duncan fece un profondo respiro vedendo i familiari parapetti, le cupole e le guglie, tutti profondamente radicati nel suo cuore. In qualche modo era come tornare a casa, eccetto per il fatto che Duncan non era lo sconfitto e leale comandante di un tempo. Ora era più forte, deciso a non rispondere a nessuno. E aveva un esercito al seguito.
Alle prime luci dell’alba la città era ancora illuminata da torce, ciò che restava della veglia notturna che iniziava a scuotersi di dosso la lunga notte nella bruma mattutina. Man mano che Duncan si avvicinava scorse un’altra cosa che gli infiammò il cuore: le bandiere blu e gialle di Pandesia che sventolavano con fierezza al di sopra dei parapetti di Andros. Gli fecero venire la nausea e gli diedero una nuova ondata di determinazione.
Duncan osservò subito con attenzione i cancelli e il cuore gli si gonfiò vedendo che erano sorvegliati solo da una scarna combriccola. Tirò un sospiro di sollievo. Se i Pandesiani avessero saputo che stavano arrivando, migliaia di soldati sarebbero stati di guardia e Duncan e i suoi uomini non avrebbero avuto alcuna possibilità. Ma questo gli diceva che non sapevano nulla. Le migliaia di soldati pandesiani stazionati