L’ascesa dei Draghi . Морган Райс
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Читать онлайн книгу L’ascesa dei Draghi - Морган Райс страница 8
“Nel nome del vostro Lord governatore,” disse uno degli uomini del Lord, un soldato corpulento, con la fronte bassa, le sopracciglia fitte, la pancia prominente e la faccia demarcata da un’espressione stupida, “reclamiamo questo cinghiale. Vi ringrazia anticipatamente per il vostro regalo in questo giorno di festa.”
Fece un cenno ai suoi uomini e questi si fecero avanti come per afferrare il cinghiale.
Ma subito Anvin avanzò, con Vidar al suo fianco, e bloccò loro la strada.
Un silenzio stupito velò la folla: nessuno si opponeva mai agli uomini del Lord, era una tacita regola. Nessuno voleva suscitare l’ira di Pandesia.
“Nessuno ha offerto un regalo, per quanto io possa vedere,” disse con voce d’acciaio, “al vostro Lord governatore.”
La folla si fece più fitta, centinaia di abitanti si riunirono a guardare cosa stesse accadendo, percependo che si poteva scatenare un confronto. Contemporaneamente altri arretrarono, creando spazio attorno ai due uomini, mentre la tensione nell’aria si faceva sempre più intensa.
Kyra sentiva il cuore che le batteva in petto. Inconsciamente strinse il pugno sull’arco, sapendo che l’atmosfera era sempre più pesante. Voleva un combattimento tanto quanto la sua libertà, ma sapeva anche che il suo popolo non poteva permettersi di scatenare l’ira del Lord governatore. Anche se per qualche miracolo avessero sconfitto quei soldati, l’Impero pandesiano era di fronte a loro. Avrebbero potuto raggruppare delle divisioni di uomini grandi come il mare.
Eppure allo stesso tempo Kyra era orgogliosa che Anvin si opponesse a loro. Alla fine qualcuno lo faceva.
Il soldato lanciò un occhiataccia ad Anvin.
“Osi sfidare il tuo Lord governatore?” gli chiese.
Anvin rimase fermo.
“Quel cinghiale è nostro, nessuno te lo sta dando,” rispose.
“Era vostro,” lo corresse il soldato, “e ora appartiene a noi.” Si voltò verso i suoi uomini. “Prendete il cinghiale,” ordinò.
Gli uomini del Lord si avvicinarono e subito una decina di uomini del padre di Kyra avanzarono in difesa di Anvin e Vidar, bloccando la strada agli uomini del Lord con le mani pronte alle armi.
La tensione si fece così intensa che Kyra strinse l’arco fino a che le nocche le divennero bianche e mentre stava lì si sentiva malissimo, come se in qualche modo fosse lei la responsabile di tutto questo, dato che era stata lei ad uccidere il cinghiale. Sentiva che stava per accadere qualcosa di molto brutto e maledisse i suoi fratelli per aver portato quel cattivo presagio nel loro villaggio, soprattutto nella Luna d’Inverno. Accadevano sempre cose strane in quella festa, un momento mistico nel quale si diceva che i morti fossero capaci di passare da un mondo all’altro. Perché i suoi fratelli avevano dovuto provocare gli spiriti a quel modo?
Mentre gli uomini erano gli uni di fronte agli altri e quelli di suo padre si accingevano a sguainare le spade, tutti così vicini a uno spargimento di sangue, una voce autoritaria improvvisamente squarciò l’aria, tuonando nel silenzio.
“La preda è della ragazza!” disse.
Era una voce forte, piena di sicurezza, una voce che richiedeva attenzione, una voce che Kyra ammirava e rispettava più di qualunque altra al mondo: la voce di suo padre. Il comandante Duncan.
Tutti gli occhi si voltarono mentre suo padre si avvicinava e la folla si divise lasciandogli un ampio passaggio. Lui stava lì, una montagna d’uomo, due volte più alto degli altri, con spalle molto più ampie, una barba castana e incolta, lunghi capelli striati di grigio, con una pelliccia sulle spalle e due lunghe spade alla cintura, oltre a una lancia dietro alla schiena. La sua armatura, quella nera di Volis, aveva un drago intagliato sul petto, il simbolo della loro casata. Le sue armi erano graffiate e ammaccate dopo moltissime battaglie e da lui traspariva tutta la sua esperienza. Era un uomo da temere, un uomo da ammirare, un uomo che tutti conoscevano come giusto e onesto. Un uomo amato e soprattutto rispettato.
“È la preda di Kyra,” ripeté, guardando con disapprovazione i due figli e poi voltandosi a guardare Kyra, ignorando gli uomini del Lord. “Sta a lei decidere il suo destino.”
Kyra era scioccata dalle parole di suo padre. Non se lo sarebbe mai aspettato, non avrebbe mai creduto che lui le mettesse tra le mani una tale responsabilità, che le lasciasse una decisione così difficile. Perché non si trattava solo di decidere del cinghiale, ma del destino del proprio popolo.
I soldati si allinearono da entrambe le parti, tutti con le mani alle spade, e mentre lei guardava tutti i volti che si giravano verso di lei, tutti in attesa della sua risposta, capì che la prossima decisione, le sue prossime parole, sarebbero state le più importanti che avesse mai pronunciato.
CAPITOLO QUATTRO
Merk percorreva lentamente il sentiero nella foresta facendosi strada verso Boscobianco e riflettendo sulla sua vita. I suoi quarant’anni erano stati difficili: non si era mai preso prima d’ora il tempo di camminare attraverso un bosco e di ammirare la bellezza che aveva attorno. Guardava le foglie bianche che scricchiolavano sotto i piedi, ascoltava il rumore del suo bastone che picchiettava il soffice suolo della foresta. Sollevò lo sguardo e ammirò la bellezza degli alberi di Esopo, con le loro foglie bianche e luccicati e rami rossi che brillavano alla luce del sole. Le foglie cadevano piovendogli attorno come neve e per la prima volta nella sua vita provò un reale senso di pace.
Di altezza e corporatura media, con capelli neri e la barba sempre incolta, la mascella larga, gli zigomi lunghi e marcati e grandi occhi neri segnati dalle occhiaie, Merk aveva sempre l’aspetto di uno che non dormiva da giorni. Ed era anche sempre così che si sentiva. A parte adesso. Finalmente adesso si sentiva riposato. Qui a Ur, nell’angolo nord-occidentale di Escalon non c’era neve. Le brezze temperate che venivano dall’oceano, ad appena un giorno di viaggio verso occidente, assicuravano un tempo più mite e permettevano alle foglie di ogni colore di rigogliare. Permettevano anche a Merk di stare lì con solo un mantello addosso, senza bisogno di trovare riparo dai venti gelidi, come per la maggiore si faceva ad Escalon. Si stava già abituando all’idea di indossare un mantello invece di un’armatura, di portare un bastone invece di una spada, di picchiettare le foglie con il suo bastone invece di infilzare avversari con un pugnale. Era tutto nuovo per lui. Stava cercando di vedere come si stava nei panni di quella nuova persona che ora desiderava essere. Era una sensazione di pace, ma strana. Come se stesse fingendo di essere qualcuno che non era.
Perché Merk non era in viaggiatore e neppure un uomo pacifico. Nel suo sangue era ancora un guerriero. E non un guerriero qualsiasi: lui era un uomo che combatteva secondo le sue regole e che non aveva mai perso una battaglia. Era un uomo che non aveva paura di portare le sue battaglie dalla corsia dei tornei fino ai vicoli delle taverne che amava frequentare. Era ciò che molti amavano chiamare un mercenario. Un assassino. Una spada in affitto. Aveva molti nomi, alcuni anche meno adulatori, ma a Merk non importavano le etichette, né cosa la gente pensasse. Tutto ciò che gli importava era che lui era uno dei migliori.
Merk, per assecondare il proprio ruolo, era passato lui stesso da un nome