Le Mura Di Tarnek. Goran Segedinac

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Le Mura Di Tarnek - Goran Segedinac

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immaginare che era questione di giorni prima che la donna prendesse in mano la situazione. Era ostinata e testarda. In reazione alla critica, i suoi occhi rivelarono un chiaro messaggio. Se vuoi metterti a discutere, accomodati pure. Forse si sarebbe sottomesso senza opporre resistenza, e avrebbe accettato il lavoro, ma la domanda che seguì s’impose da sé.

      “Con che cosa hai pagato?”. Quell’anno era stato particolarmente pesante, e il terzo trimestre che stavano ora attraversando non infondeva speranze che si concludesse meglio di com’era iniziato. La grande domanda era che cosa avrebbe portato con sé il futuro. Aveva la fortuna di servire l’Ordine, ma poteva ringraziare solo la sua parsimonia per le scorte di balsamo che avevano accuratamente messo da parte. Allo stesso tempo, le ore di straordinario comportavano un ragguardevole profitto, e oggi non si sapeva se la norma ordinaria avrebbe portato frutto. Già tre volte al posto della paga avevano ricevuto una garanzia, un pezzo di carta con cui la città s’impegnava a trasformarlo in quello che si erano onorevolmente guadagnati non appena si fossero accumulate riserve sufficienti. Non avevano potuto rifiutare. Non le aveva mai imposto la propria volontà, ma aveva solo una preghiera, un’unica semplice regola che si aspettava venisse rispettata. Non rivendiamo il balsamo. Raramente avevano altri beni che potevano essere scambiati, perciò vivevano semplicemente, ma perlomeno a differenza di molti non dovevano preoccuparsi per la propria pelle.

      “Ne ho preso appena un po’”. Nella voce c’era senso di colpa, ma non pentimento.

      “Per l’amor di Dio, Monada!”, gridò lui. “Non posso credere che l’hai fatto!”.

      “Ne ho preso un briciolo, non farne subito un problema!”.

      “Ma questo è un problema!”. Dopo la prima volta ne sarebbe giunta anche una seconda, e l’eccezione in brevissimo tempo sarebbe diventata una regola. “Sprechi ciò da cui dipende la nostra vita per qualcosa di insignificante come il collante!”.

      “Non è colpa mia se abbiamo solo quello da spendere”. La sua risposta la colpì come una lama. Non parlavano mai del fatto che solo il suo lavoro era retribuito. Monada era un’artista, una pittrice, e quella professione non era messa bene neppure in tempi migliori. Non aveva mai pensato di lasciarla per quello, era sottinteso che lavorava per entrambi. Era un colpo basso, e non era affatto degno di lui.

      “Mi dispiace, ma è tutto quel che abbiamo”. Aveva abbassato i toni, trattenendosi dall’offesa. “Se pensi che dobbiamo rimanere anche senza quello, fa’ pure. Spendilo tutto”.

      “Non lo farei mai!”. Il mestolo le cadde dalle mani e finì sul pavimento. “Come puoi non capire, volevo proteggerti. Quel buco… dobbiamo rattopparlo”.

      “Sono d’accordo, ma non così. Sai quanti kasi non hanno la possibilità di permettersi nemmeno un unguento annacquato?”.

      “Meglio di te. Il fatto che sei di servizio non significa che tu sia l’unico a vedere quanto accade”.

      Non ne hai la benché minima idea, pensò lui, ma stette zitto. Il giorno prima durante il turno era scoppiato un focolaio. Un criminale era fiorito, e per qualche ragione i più deboli si erano trovati a portata di tiro del bandito. Li avevano inceneriti ancora morenti, nascosti in un angolino, come se la cancrena non avesse già abbastanza amareggiato il loro destino. Era impossibile rintracciarli, la ricerca si era trasformata in un circolo vizioso. I pochi testimoni erano troppo spaventati per dare una qualsiasi informazione, e nuovi focolai germogliavano quasi ogni notte.

      Conscio che una qualsiasi parola di troppo avrebbe solo potuto far scoppiare una lite aggiunse con più calma: “Puoi promettermi che non farai più cose del genere?”. Non voleva trascorrere nell’ira i pochi momenti liberi insieme a lei. Quel che era stato fatto non poteva più essere corretto.

      Lei chinò lo sguardo sul pavimento, come se la risposta si trovasse vicino alle loro gambe. Quando lo guardò, seppe che aveva placato la sua rabbia e inghiottito il rospo.

      “Lo giuro”. Agli angoli della sua bocca c’era qualcosa che poteva sbocciare in un sorriso. “Non avevo intenzione di sprecare quel che abbiamo, ma credo davvero che sia una necessità. Volevo solo il meglio”.

      “Lo so”. La abbracciò e la stanza si riempì di un piacevole silenzio.

      “Ci mettiamo al lavoro o continuiamo a ciondolare?”. Il sussurro di Monada gli solleticò l’orecchio.

      “Al lavoro. Ma dopo dobbiamo goderci questa giornata insieme”.

      Come la maggior parte delle cose che si potevano acquistare a Tarnek, neanche il collante era particolarmente di qualità. Monada teneva il recipiente mentre lui si sforzava di mantenere l’equilibrio sull’instabile sedia e riempiva il buco con il miscuglio che si asciugava più lentamente di quanto previsto. Proprio quando pensava che il lavoro fosse ormai terminato, parte del miscuglio crollava, scoprendo nuovamente un pezzetto di cielo sereno. Quello che sarebbe dovuto essere pronto in meno di un’ora, ne richiese due, e quando finalmente fu terminato entrambi guardarono con soddisfazione il proprio risultato.

      “Finalmente”, disse lei. “Il venditore mi aveva assicurato che era di prima qualità. Che sia maledetto!”.

      “Dove l’hai comprato? Al mercato?”, domandò Nelgor.

      “In Via Argentata. Mi dava fastidio andare tra la folla”.

      “Non sapevo che ci fossero dei venditori anche lì”.

      “Già da un po’, non sono in molti, giusto due o tre. Principalmente di materiali da costruzione. Anch’io li ho visti per la prima volta qualche giorno fa, quando sono andata a trovare Kartagona. Le loro bancarelle sono proprio accanto a casa sua”.

      “Mi stupisce che non ci abbiano ancora mandati a cacciarli via. È un quartiere troppo ricco perché trasformino anche quello in un mercato. Che cosa dice Kartagona, non hanno fatto rapporto?”. Era una kasa pignola, con degli sguardi piuttosto irritanti sulla società, che non perdeva occasione per imporre il proprio pensiero persino nelle situazioni in cui nessuno glielo aveva chiesto. Eppure, rispettava il fatto che fosse amica di Monada.

      “No. Per loro è meglio che si trovino accanto a casa che andare tra la folla. Vorrebbero anzi che l’offerta si ampliasse”.

      “Sono diventati così pigri?”.

      “Non è quello il punto. Hanno paura”.

      La risposta non gli fece piacere. I kasi ricchi da sempre avevano un’alta opinione di sé e amavano ostentare il proprio prestigio. Probabilmente lo trova più degradante di quello che teme. Tuttavia, e se fosse questa la verità? E se fossero infino giunti al punto in cui anche i potenti avevano paura? Per le strade c’erano kasi di ogni tipo e non si era mai trattato di una questione di carattere, ma del loro livello di prepotenza. Quanto siamo diventati impotenti?

      “Penso che esageri”, disse. Monada fece solo un cenno con la testa. Valutare le ragioni altrui non la interessava.

      “Ti ricordi che ti ho parlato della vicina di Kartagona, Jotaka?”.

      Lui annuì.

      “Beh, stamattina le ho incontrate entrambe mentre facevo compere e mi hanno invitato a casa loro”.

      “Un po’ di chiacchiere tra amiche”. Non aveva intenzione di

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