Le Mura Di Tarnek. Goran Segedinac

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Le Mura Di Tarnek - Goran Segedinac

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a lui non servivano indicazioni per capire che la questione era più che importante. Cercando il posto più comodo tra la folla, avvistò Nostros, il giustiziere con cui al momento usciva di pattuglia.

      “Sei qui”, lo salutò quello.

      “Sono appena arrivato. Il capitano è venuto a prendermi, avevo la giornata libera”.

      “Mi hanno trovato per strada. Aspetto già da un’ora”.

      “Sai di cosa si tratta?”.

      Nostros scrollò le spalle. “Non hanno detto niente, ma sembra che stanotte ci siano stati problemi nel Quartiere degli Artigiani. L’ho sentito oggi quando ho preso servizio”.

      C’erano sempre problemi, ma non era un motivo per convocare praticamente tutte le unità. Soprattutto perché la zona della città interessata non era di loro competenza.

      “Che cos’è successo?”.

      “Non so proprio immaginarmelo, sai come sono le voci di corridoio. Alcuni dicono che sia scoppiato un incendio, altri invece affermano che ci siano addirittura dei morti”.

      Nelgor ruotò la testa. “Qualcuno incenerisce i barboni ammalati. Ieri ho intravisto alcuni focolai, non so cosa li ha sopraffatti”.

      “È terribile. Ma non si tratta di questo”.

      “In ogni caso non è un bene”.

      “Concordo. Non mi piace più andare in certi quartieri. Ho anche un po’ paura”.

      “Non temere, Nostros”. Nelgor gli diede un colpetto amichevole sulla spalla. “I delinquenti non osano colpirti. Hai quello sguardo pericoloso, e anche il trinciante a portata di mano”. La lama era una dotazione standard dell’equipaggiamento, ma circa un giustiziere su venti aveva la possibilità di portare il tubo distruttivo. Nella pratica, lo estraevano di rado. L’annientamento del corpo era una cosa seria, rigidamente regolata dalla legge. Per farla breve, un giustiziere persino in quelle situazioni in cui la sua esistenza personale era messa in discussione doveva pensarci bene prima di utilizzarlo. Una cosa era disabilitare un kas, tutt’altra togliergli il diritto di recarsi un giorno nella Torre di Cristallo ed essere nuovamente risvegliato come una persona migliore. Un tempo la necessità di eliminare quasi non si presentava. Tuttavia, le cose erano probabilmente cambiate sul serio.

      L’osservazione dell’amico non confortò Nostros…

      “Neanche le armi bastano più a salvarci la pelle. Hai sentito di quello sfortunato del Terzo Avamposto?”.

      “Quello che è dato per scomparso?”.

      “Sì”.

      “Per quanto mi riguarda, qui non dovrebbe essere successa una cosa del genere. Non capisco tutto questo nervosismo, probabilmente ha disertato”. Purtroppo, simili cose accadevano, e non facevano onore al servizio. Il suo interlocutore sorrise tristemente.

      “I due che erano di pattuglia insieme a lui giurano che non poteva fuggire da nessuna parte, l’edificio non aveva uscite secondarie ma solo un unico ambiente. Il disgraziato è solo entrato per un controllo di routine. Quando la cosa è diventata sospetta sono andati a cercarlo ma dentro non c’era nessuno. Tutto ciò che hanno trovato erano le sue armi, l’uniforme e brandelli di vestiti. Per quanto ti ci sforzi, non c’è una spiegazione logica”.

      “La paura ha grandi occhi, e anche i racconti possono assumere dimensioni prodigiose quando passano di bocca in bocca”.

      “Non so, amico mio, da quando mi sono risvegliato, non ce ne sono mai state così tante. E se anche solo la metà è vera…”.

      All’improvviso risuonò un gran chiasso, e Nelgor avvistò un kas sul balcone dell’edificio. Osservava tranquillo aspettando che tutti si accorgessero di lui e dopo qualche istante calò un silenzio completo. Il tempo delle chiacchiere facoltative era finito, tutti i giustizieri presenti rivolsero la propria attenzione a ciò che era proprio necessario che fosse condiviso con loro. Il Pugno sembrava quasi ieratico mentre reggeva con la mano un pesante mantello di piastrine metalliche, mentre un vento leggero giocava con le pieghe della sua uniforme marrone. Nella pace del cortile, la sua voce profonda riecheggiò forte e distinta.

      “Colleghi giustizieri, dichiaro aperta la riunione straordinaria del Quinto Avamposto dell’Ordine di Tarnek”. Tacque qualche istante e, evidentemente soddisfatto di quanto vedeva, continuò.

      “Nelle prime ore mattutine, il comandante superiore dell’Ordine, il Condottiero Tonas Minar, mi ha convocato insieme ai Pugni degli altri Avamposti nel Palazzo del Comando per condividere con noi delle notizie tutt’altro che buone. Oggi nel Quartiere degli Artigiani si è giunti a una seria infrazione della giustizia quando due pattuglie di giustizieri si sono scontrate con dei banditi numericamente superiori. I fuorilegge hanno manifestato un comportamento apertamente aggressivo, ed è con dolore che v’informo che nessuno dei nostri commilitoni è sopravvissuto”.

      I presenti rimasero scioccati. Nelgor guardò Nostros in cerca di una conferma di quanto aveva realmente sentito, ma tutto ciò che ottenne fu uno sguardo febbrile. I giustizieri parlottavano sottovoce, sconvolti da quanto avevano sentito. La cosa superava anche le voci più ardite. Vi erano casi di ferimento durante il servizio, ma di conseguenze mortali si poteva leggere solo negli archivi. Un sestuplice omicidio era qualcosa che nella lunga storia della città non era mai stato registrato. Che cos’è successo, in nome del mondo?

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