Le Mura Di Tarnek. Goran Segedinac
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу Le Mura Di Tarnek - Goran Segedinac страница 2
“Un passo alla volta. Con tutti i problemi che abbiamo, non dobbiamo correre ulteriori rischi. Preferisco agire con cautela piuttosto che fare le cose di fretta come uno stupido”, rispose Gort.
“E quanti ne hai sistemati tu? O non ci hai fatto attenzione?”, lo punzecchiò Minstrel.
“Ho visto quel che ci basta da inserire nel resoconto. Dimmi, come risulterebbe il nostro rapporto di servizio serale se nessuno di noi fosse in grado di descrivere qual è la situazione nella nostra zona? O forse pensi che sarebbe furbo inventarcelo come Suvi e il suo plotone?”.
Minstrel non ribatté. Gort aveva ragione. Il trimestre scorso Suvi aveva ricevuto una nota disciplinare. Lui e un altro kas, di cui non sapeva il nome, erano finiti in brutto giro di gioco d’azzardo. In breve tempo erano tanto presi dalla passione appena scoperta che quasi non uscivano all’aperto. Trascorrevano le loro giornate nei seminterrati, circondati dalla feccia. Il controllo li aveva tenuti attentamente sott’occhio e alla fine aveva reagito. Probabilmente si sarebbero presto uniti alla gentaglia su qualche piazza.
Soddisfatto dell’effetto ottenuto, Gort continuò. “Bene, sbrighiamoci a chiudere questa faccenda. Minstrel ed io staremo di guardia. Ora andiamo laggiù, e se qualcosa va storto facciamo irruzione. Tu, come d’accordo, tieniti pronto per entrambi i piani”.
Tesos annuì.
“Non trattenerti troppo a lungo. Da’ loro quel che hai e prendi la merce contraffatta e il balsamo. Se sono in troppi, vieni subito fuori. Possiamo sempre giustificarlo come un controllo di routine. Non potranno dimostrare niente”.
“E se qualcuno di quella gentaglia fa qualcosa di pericoloso, datti una mossa e corri fuori. Non credo siano tanto stupidi, ma non puoi mai essere sicuro”, aggiunse Minstrel.
“Non ci proveranno neanche”, disse Tesos. “Il Verde è troppo sporco per prendersi gioco di noi. E finora è sempre stato un vero professionista”.
“Così dev’essere. In ogni caso, sta’ all’erta”.
“Questo è chiaro”, lo rassicurò Tesos. “Andiamo ora”.
Chi conosceva bene Tarnek si poteva muovere con facilità attraverso la rete di fitte strade e giungere senza grandi difficoltà alla destinazione desiderata. I meno pratici sarebbero impazziti per ore. Per gli esperti membri dell’Ordine valeva la prima regola. Più si addentravano nelle viscere della città, meno vi erano potenziali testimoni, e presto rimasero completamente soli. Non appena si trovarono in quelle circostanze, Tesos non poté più rilassarsi. L’impresa odierna non era qualcosa di cui si sarebbero vantati nell’Ordine, ma avevano deciso di realizzarla a tutti i costi. Anche Minstrel si era fatto serio, la sua tensione si leggeva chiaramente sul quel piccolo volto che il cappuccio non riusciva a nascondere. Il fatto che camminiamo per uno spazio deserto aumenta soltanto le probabilità di essere avvistati con più facilità, pensò. Le case e gli edifici circostanti erano pieni di finestre e fessure, e ognuna di esse poteva indicare la presenza di occhi indiscreti.
Il suono uniforme dei loro passi fu infine interrotto da Tesos. “Qui”, disse, e fece un cenno con la mano verso una casa a un piano tutta fatiscente che si ergeva in un angolo. Non si distingueva affatto dall’ambiente circostante se non per il fatto che, a differenza degli edifici vicini, non aveva una porta. Un tappeto spesso, quasi marcito sui bordi per l’umidità e la sporcizia, svolgeva tale funzione. Il luogo dell’incontro non aveva nulla di diverso rispetto ai numerosi nascondigli per i senzatetto che in città si contavano a centinaia. Era un posto scelto con assennatezza.
“Bene. Tutto procede secondo gli accordi, dunque. Ti aspettiamo”, tagliò corto Gort.
Senza esitare nemmeno un istante, Tesos abbassò la testa ed entrò.
Un corridoio insolitamente stretto, simile piuttosto a un tunnel, conduceva allo spazio quasi vuoto che componeva l’interno. Al centro della stanza si trovava un tavolo di legno, e quello era l’intero inventario. Di lì sorrideva un volto conosciuto.
“Sei arrivato”. Il Verde gli indicò con la mano una sedia vuota che lo stava aspettando.
“Verde”, disse Tesos in segno di saluto.
“Così mi chiamano”, rispose quello, e passò la mano tra i lunghi capelli dello stesso colore del suo soprannome. Aveva molti nomi, e nemmeno l’Ordine possedeva dati affidabili. La cosa non rappresentava un problema. Se hai bisogno del Verde, sarà lui a trovarti. Delinquente esperto, piccolo o pericoloso criminale, era quasi impossibile attribuirgli persino quei misfatti la cui paternità era senz’ombra di dubbio sua.
Tesos si sedette. La luce dell’unica candela accesa non sarà stata proprio una torcia, ma bastava, in combinazione con il suo udito sopraffino e l’esperienza pluriennale, perché lui avvertisse la presenza di qualcun altro.
“Come vanno le cose nell’Ordine ultimamente? Ci difendete sempre dal male?”. Negli ultimi tempi l’ironia era divenuta il tratto caratteristico di ogni criminale, e la cosa lo innervosiva. La crisi aveva indebolito la fiducia nella legge, e permesso alle comuni nullità di sentirsi superiori al sistema.
“Noi sterminiamo i criminali, se ti serve protezione dal male, rivolgiti alla Chiesa”.
Il Verde sorrise. “Mi piaci quando sei così tagliente. Pensavo che un criminale fosse necessariamente malvagio, ma ecco, con voi s’impara ogni giorno qualcosa di nuovo”.
“Non sono venuto qua per filosofeggiare”.
“Oh…”, la sua finta sorpresa era quasi credibile. “Accetta le mie scuse. Dimmi dunque, perché sei dove sei?”.
In tutta risposta, Tesos appoggiò il pesante tubo sul tavolo. Senza attendere la reazione dell’interlocutore, ne toccò la punta arrotondata, quindi la premette e fece un movimento semicircolare con la mano intorno alla nuda sommità. Il flebile rumore di un meccanismo squarciò l’oscurità. Palpò con le dita la giuntura, l’estremità opposta all’impugnatura saltò, si aprì, e rovesciò sul tavolo il suo contenuto, finora invisibile. Uno strano congegno simile a una grande mano di ferro giaceva contratto davanti a loro, legato al suo precedente nascondiglio da un cappio forte e sottile che Tesos strappò con un solo tiro, per poi gettare il contenitore a terra.
“Un pesce piccolo del sistema giudiziario ha deciso di vendere il suo prezioso trinciante”, commentò il Verde con un sorriso beffardo. “A essere sincero, mi aspettavo merce contraffatta”.
“Verme. Sapevi benissimo cosa stavo portando”.
“Sono solo realista, non mi sembra un delitto. O almeno non lo era l’ultima volta che ho ascoltato la legge. Inoltre, se ricordo bene, penso che il commercio di qualsiasi arma, figuriamoci dei celebri trincianti, sia severamente vietato. Almeno, un tempo lo era. Forse le cose sono cambiate”.
“Non provare a darmi lezioni”.
“Non ci penso neanche”, rispose il verde. “Dimmi, allora. Cosa ti porta a offrirmi questo?”.
“Non ho intenzione di discutere con te delle mie ragioni”.
“Quanta arroganza! Che cosa triste”. Sembrava che questa volta il Verde avesse riflettuto seriamente prima di parlare. “Faccio questo lavoro da oltre trent’anni. Spesso il prezzo che chiediamo dice più della stessa roba che offriamo. Ci parla delle