Le Mura Di Tarnek. Goran Segedinac

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Le Mura Di Tarnek - Goran Segedinac

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chiunque riesci a spellare. Quelli della cui sfortuna puoi approfittare per bene”, tagliò corto Tesos.

      Il Verde agitò la mano in aria.

      “Non lo nego. Ma questo è lavoro, e tu non capisci proprio. Quel che io capisco perfettamente in tutta questa storia è che per l’arma più costosa del sottosuolo di Tarnek non mi hai chiesto né gioielli né vestiti”.

      “Ti ho chiesto del balsamo”.

      “Esatto. Se le colonne della società, gli onorevoli membri dell’Ordine, custodi dell’ordine pubblico e della legge, tradiscono i propri principi per ottenere del balsamo, allora posso concludere che ce la passiamo davvero brutta”. La sua voce assunse di nuovo un tono particolare. “Non mi fai fesso, quand’è stata l’ultima volta che te lo sei spalmato?”.

      La domanda era straordinariamente maleducata, e Tesos si trattenne a fatica dal prenderlo per il collo. Come se quanto stava facendo non fosse già di per sé un’umiliazione sufficiente, gli toccava pure sopportare le offese della peggior feccia. Un tempo a elementi del genere avrebbe legato mani e piedi e li avrebbe gettati nelle Tenebre. Il Verde, un maestro del suo mestiere, si accorse del cambiamento sul volto dell’interlocutore. Non era una cosa difficile quando si aveva a che fare con Tesos. Nelle zone in cui prestava servizio si era sparsa molto in fretta la voce dei suoi scatti d’umore.

      “Non prendertela, si scherza. Non vorrai mica mandare in rovina una trattativa così importante?”.

      Ci vollero alcuni momenti perché si calmasse e gli rispondesse.

      “Il tuo kas ha detto che mi avresti pagato bene per questo pezzo”.

      “La cosa è relativa, dipende dai punti di vista. Quello che per te è un buon prezzo, per me può essere una minuzia insignificante. E viceversa”.

      “Una riserva annuale di balsamo. Di prima scelta, uso quotidiano”.

      Il Verde allargò i suoi denti neri in un tentativo di sorriso.

      “Piano. Non ti stai un po’ sopravvalutando?”.

      “Sai bene quel che ti offro. Non fare il finto tonto. Il sogno di ogni rinnegato di Tarnek è mettere le mani su una bellezza del genere. Un movimento del dito e apre il petto di un avversario. Fa un foro abbastanza grande da passarci attraverso”.

      “Mi darebbe fastidio rimetterci la testa”.

      “Come ti pare. Non è roba facile da reperire sul mercato nero”.

      “I tuoi colleghi fanno offerte più vantaggiose. E sono anche più cortesi. Dicono che presto non ne avranno più bisogno. Sostengono che presto arriverà la salvezza dall’altra parte delle mura, e li guiderà nella luce futura. Forse si sono fatti irretire dalle storie dei santoni”.

      Il Verde si comportava come se non sapesse con chi parlava. Anche se l’eresia fosse sbocciata, nessun abitante di Kazis avrebbe potuto lasciare la città in cui si era risvegliato. Quel privilegio inglorioso era riservato solo ai peggiori delinquenti, e li aveva sempre portati a morte certa. Creature terrificanti si aggiravano per i Territori. Anche se in teoria sarebbe stato possibile raggiungere le mura di qualche altra città di Kazis, non vi era speranza di ricevere il permesso di entrare. È lì dove ti sei risvegliato che ti addormenterai, e così andrà avanti in eterno. Vi erano confini precisi, invalicabili tra quel che rimane dentro e quel che abita fuori, e se qualcuno avesse provato a infrangere questa regola, il Custode se ne sarebbe occupato e lo avrebbe trascinato nel nulla. Solo i Reggenti e i Sommi Sacerdoti potevano comunicare tra loro, ed era una l’unico legame che testimoniava l’esistenza di un ordine dall’altra parte del muro. Perché quindi mentire in modo tanto stupido? Che cosa pensava di ottenere? Il suo padrone di casa era ovviamente soddisfatto dall’assenza di reazioni.

      “Sei sorpreso. E devi esserlo”.

      “Non sono sorpreso, sono soltanto stupito che tu sia un pessimo negoziatore”.

      Quello rise sonoramente. “Non mi credi. Perché?”.

      “Devo davvero risponderti?”, Tesos era davvero scoraggiato.

      “Mi sottovaluti”.

      “E tu mi consideri uno stupido”.

      “Forse, ma non ha niente a che vedere con quel che ti sto dicendo. Non credere ciecamente a quel che ti propinano. Se vuoi, posso portarti con me la prossima volta che vado a fare rifornimenti. Anche se non ho niente a che spartire con l’Ordine, potresti essermi utile”.

      “Se sei tanto cortese da lasciarmi dare una sbirciata ai tuoi affari, potrei sistemarti in una cella confortevole. Ammetti un fattuccio di cui sei sospettato, e ti accompagnerò personalmente in cima alle mura e ti farò conoscere il fuoco”.

      “Così mi piaci, Tesos. Vedo che gli scherzi colpiscono”, si corresse e accennò con la testa davanti a sé. “Questo è un buon pezzo. Ti darò quanto chiedi, ma in quantità sufficiente per sei mesi”.

      “Ma non ha senso. È un furto”.

      “No, caro mio, il furto l’hai fatto tu. Per essere più precisi, penso che si possa definire appropriazione indebita dell’arsenale di Tarnek. Io mi occupo di commercio, e se facciamo le cose per benino sarà un peccato inferiore al tuo gesto”.

      “Tu che parli di morale e peccato?”.

      “Perché, non posso? C’è qualche differenza tra noi due in questo momento?”. Per quanto fosse cosciente del lavoro che svolgeva, sembrava che il Verde in qualche modo snaturato avesse un’alta considerazione di sé. Le prediche al suo onore non lo toccavano.

      “Certo che ce ne sono. Ce ne sono sempre state e sempre ce ne saranno”.

      “Non c’è alcuna differenza”, esclamò il Verde e sbatté la mano sul tavolo. Il pezzo sobbalzò, quasi quanto Tesos. Era abituato a ritrovarsi in situazioni tese, ma lo aveva colto impreparato. Lo spazio in cui si trovavano aveva un’influenza un po’ strana su di lui – la luce fioca giocava stranamente con la sua concentrazione.

      Sembra si sia fatto più buio.

      “Ti ho fatto una buona offerta. Accettala. È balsamo concentrato, e se lo diluisci ti durerà a lungo”.

      “Non ci penso proprio a diluirlo. Avevamo un accordo. Gli altri partecipanti…”, Tesos si fermò. Senza pensarci, aveva svelato dei dettagli superflui.

      “Non sei solo in questa cosa, e devi dividere il bottino con i tuoi complici che aspettano qua davanti”, terminò il Verde al posto suo.

      Dunque sapeva, pensò Tesos. Era normalissimo e prevedibile che avesse le sue spie nei dintorni, probabilmente li avevano avvistati da un bel po’. Sperava solo che non provassero a fare qualcosa di stupido. Quel che lo preoccupava ulteriormente era il fatto che il contrabbandiere si stava davvero sforzando per rifilargli metà della merce. La domanda principale era se ci fosse ancora un modo di tornare indietro. Se si fosse alzato e incamminato, quello, per desiderio di vendetta, gli avrebbe potuto tirare un brutto gioco. Il Verde aveva una certa reputazione, e questa diceva che in qualsiasi affare, persino il più insolito, amava uscirne vincitore. Sapendo di aver raggiunto il punto di non ritorno, contro la propria natura impulsiva tentò di ribaltare un’ultima volta la cosa a proprio vantaggio.

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